La Transizione nel Nord e nel Sud del Mondo

Salve a tutte/i,
ancora refusi da Venezia ed ancora da parte di Rob Hopkins. Da amante antico dell’America Latina e dei suoi mille popoli dalla profonda saggezza, non potevo mancare di proporvi questa intervista. Credo che ci troverete diversi spunti di riflessione su come le nostre azioni siano profondamente legate ad ogni cosa che succede in questo pianeta. Inoltre troverete alcuni elementi di quello che viene chiamato il Buen Vivir, che un po’ il concetto di Transizione nato ed adattato alle peculiarità di quelle terre e culture.

Buona lettura.

‘Alternative allo sviluppo’: intervista con Arturo Escobar

Di Rob Hopkins

Da “Transition Culture”. Traduzione di Massimiliano Rupalti

Alla conferenza per la Decrescita di Venezia del 2012, uno dei momenti culminanti per me è stato il discorso di Arturo Escobar (sul quale potete trovare le mie note qui). E’ l’autore di Encountering Development (Incontrare lo Sviluppo) e Territories of Difference (I Territori di Diversità), fra gli altri. Il suo discorso riguardava come potrebbe essere la Transizione nel Sud del Mondo e conteneva molte intuizioni affascinanti. Questa è l’intervista che gli ho fatto, prima come file audio e sotto come trascrizione.

http://soundcloud.com/transition-culture/transition-culture-arturo

Arturo, potresti raccontarci qualcosa di te?
Il mio nome è Arturo Escobar, sono nato e cresciuto in Colombia ed insegno negli Stati Uniti all’Università della Carolina del Nord, a Chapel Hill. Insegno antropologia e gran parte del mio lavoro come antropologo lo svolgo in Colombia, specialmente nella regione della foresta pluviale, nella regione del Pacifico, dove ci sono movimenti e comunità di origine africana.

Ieri hai fatto una presentazione su come potrebbe essere la Decrescita nel contesto del mondo sviluppato e in quello in via di sviluppo. Il Nord del Mondo, il Sud del Mondo. Potresti esporci quella che credi essere la motivazione primaria in ognuno di questi luoghi, cosa c’è di diverso fra i due?
Va bene. Uno dei punti che stavo cercando di sollevare è un parallelo fra il movimento della Decrescita come insieme di idee e progetti sociali e politici per la trasformazione o la transizione nel Nord del Mondo, specialmente in Europa e negli Stati Uniti, specialmente in Europa, gli Stati Uniti sono ancora orientati verso sud, come probabilmente sai meglio di me. Il movimento parallelo negli Stati uniti, in America Latina almeno, potrebbe essere, non tanto per il Sud del Mondo nel suo complesso quanto per l’America Latina, che è la regione del mondo che conosco meglio perché vengo da lì e ci ho lavorato a lungo come antropologo ed ecologo, come attivista, quello che chiamo “Alternative allo Sviluppo”. Quando parli di Decrescita, penso che uno dei relatori vi abbia fatto riferimento, credo fosse Marcelo il teologo che ne ha parlato nella nostra sessione… Quando lui parla di Decrescita in Brasile la gente gli ride dietro: “perché avremmo bisogno di Decrescita con tutta questa povertà e tutti questi problemi e le possibilità di crescita? Noi brasiliani stiamo crescendo come pazzi, la Decrescita non ha alcun senso”. Credo in America Latina ci sia una percezione errata di quello che è la Decrescita, perché la gente che si è interessata di Decrescita e di Città in Transizione in Sud America, compresi alcuni ambientalisti, le trovano attraenti ma non sufficienti per affrontare i problemi del Sud America.

Uno fra principali di questi ambientalisti, se volessi indicarti una singola fonte nel dibattito sudamericano sulla Transizione e le alternative allo sviluppo e del Buen Vivir (buon vivere o vivere bene), sarebbe questo ecologista Uruguaiano il cui nome è Eduardo Gudynas – e potrebbe essere un grande personaggio per te da intervistare. Egli conosce le Città di Transizione, ha letto i tuoi libri, ha un bel gruppo a Montevideo, ma passa gran parte del suo tempo nella regione andina, in particolare in Nicaragua, Bolivia, Perù, Ecuador e Colombia (il Nicaragua non è nella regione andina, ma compare ugualmente nel testo originale come tale, ndT.). Non in Cile, non in Brasile, non in Venezuela, soprattutto nei 4 paesi andini. L’altra persona che si sta molto concentrando su questo è un ecuadoriano il cui nome è Alberto Acosta, che era il presidente dell’assemblea costituente che ha scritto la nuova costituzione dell’Ecuador, dove c’è una nutrita sezione sul Buen Vivir e i diritti della Natura. Entrambi hanno scritto sulle alternative allo sviluppo e sull’altro concetto che non sono arrivato a spiegare ieri, che è la transizione ad un modello post-estrattivista di società ed economia. Quello che hanno scoperto è che la Decrescita – e loro hanno qualche differenza rispetto ad essa – è che qui in America Latina dobbiamo ancora crescere in qualche modo, dicono. I mezzi di sussistenza della gente devono migliorare ed è difficile farlo senza una qualche crescita. Salute, educazione, abitazioni, ecco alcuni settori in cui l’economia deve ancora crescere. Ma nel secondo punto dicono che la crescita dev’essere subordinata ad una diversa visione dello sviluppo, che è il Buen Vivir.

Potresti dirci qualcosa di più su cos’è?
Sì. Il Buen Vivir è un concetto che è emerso in maniera forte durante gli ultimi 10 anni, specialmente in Sud America, nel contestualmente alla comparsa dei regimi di sinistra in molti paesi del Sud America, in quasi tutti i paesi sudamericani eccetto la Colombia e il Perù (be’, è difficile dire cosa sia l’attuale regime peruviano). In quel contesto, è la ricerca di un diverso modo di pensare lo sviluppo spinto dagli indigeni e, in una certa misura, dai contadini, dai discendenti degli africani, in collaborazione con gli ecologisti, a volte le femministe e a volte attivisti di altri movimenti sociali. Essi hanno cominciato a dire che è il momento di cambiare questo modello di sviluppo, da uno orientato alla crescita e all’estrazione di risorse naturali a qualcosa di più olistico, qualcosa che esprima la cosmovisione indigena della gente, nella quale questa idea di prosperità basata sul benessere materiale e sul consumo non esiste. Ciò che è stato coltivato tradizionalmente fra le popolazioni indigene non è nemmeno lontanamente paragonabile a un’idea di sviluppo, questa è la chiave, perché la gente sta dicendo che la nuova teoria dello sviluppo è il Buen Vivir. No, non è una teoria dello sviluppo. La gente lo traduce come “buona vita”. Io preferisco tradurlo come benessere collettivo. Ma è un benessere collettivo sia degli esseri umani che non umani. Esseri umani, comunità umane e mondo naturale, tutti gli esseri viventi.

E com’è nella pratica? Quali sono i suoi elementi?
Questa è la domanda chiave, la pratica, l’implementazione del Buen Vivir. Questa è la battaglia, specialmente in Ecuador e Bolivia che hanno governi andati al potere principalmente supportati da coalizioni di movimenti sociali, in particolar modo movimenti indigeni, e sono stati eletti con la promessa che avrebbero portato questo mandato del Buen Vivir nelle costituzioni di Bolivia ed Ecuador , con nozioni diverse di Buen Vivir in entrambe le costituzioni. Detto questo, l’obbiettivo delle politiche di stato dovrebbero essere per la promozione del Buen Vivir, il che implica giustizia sociale, una nuova nozione di diritto che comprende i diritti della Natura, sostenibilità ecologica, eliminazione della povertà o la sua riduzione. La riduzione della povertà e la protezione della natura sono le due dimensioni principali di questo. Quindi ci sono due lati del Buen Vivir, che sono il lato sociale, economico e politico ed il lato ecologico rappresentato dai diritti della Natura. E così anche l’obbiettivo delle costituzioni e dei piani di sviluppo. Ho visto i piani di sviluppo di entrambe le costituzioni e sono davvero contraddittori, perché dicono “dobbiamo portare a termine questo mandato”, ma continuano a tornare indietro alle vecchie idee sulla crescita e l’estrazione di risorse naturali e alla pianificazione come esercizio dall’alto. Così noi esperti abbiamo deciso il piano del Buen Vivir, ma le comunità ne sembrano escluse. Quindi si stanno scontrando in entrambi i paesi. E’ così nel sud della Colombia, nel sud del Messico, Chiapas e Oaxaca, fra gli indigeni, i contadini e i movimenti dei neri, movimenti che sono per il Buen Vivir e per una diversa visione dello sviluppo, da un lato e l’approccio statale che è ancora, come lo definiscono Gudynas e Acosta, ‘neo-estrattivista’ dall’altro. Sono neo-estrattivisti perché si basano ancora sull’estrazione di risorse naturali: petrolio, gas naturale, litio, semi di soia, zucchero di canna, agro combustibili di ogni tipo, oro, minerali. Sono regimi di sinistra che fanno transazioni con le multinazionali canadesi, americane, europee, sudafricane e cinesi per esportare le risorse naturali. Non sono estrattivisti per tradizione, come per esempio i vecchi regimi venezuelani, perché lì c’era tanto petrolio, ma il petrolio dava beneficio ad una piccola elite. Ora l’idea di questi regimi di sinistra, che ovviamente è un’idea molto buona, è che useranno quegli introiti, che sono molto maggiori che nei regimi precedenti, visto che questi ultimi sostanzialmente davano tutto alle multinazionali. Useranno gli introiti per la redistribuzione sociale, per ridurre la povertà, le diseguaglianze e in qualche misura lo stanno facendo. Ma nel processo sono diventati questa specie di neo-sviluppisti , proprio come nel passato, ma con una migliore politica sociale.

E’ interessante che il punto di partenza fosse la giustizia sociale legata alla protezione dell’ambiente mentre in Inghilterra al momento, per esempio, il governo britannico dice sostanzialmente che dobbiamo indirizzarci vero la crescita economica a tutti i costi e la protezione ambientale è un optional. E’ interessante vedere come grazie al Buen Vivir, questa sia stata presente sin dall’inizio.
Esattamente, quello che dici sta succedendo anche negli Stati Uniti, con politiche come il fracking, alle quali è stata data carta bianca dappertutto.

Nella Transizione ci viene chiesto come questa dovrebbe essere nel Sud del Mondo e noi diciamo che dovrebbe avere a che fare con la costruzione di resilienza in entrambi i luoghi, che il processo di globalizzazione della produzione del cibo ha ridotto la resilienza alimentare nel Nord del Mondo perché siamo diventati molto dipendenti dalle importazioni, dal muovere le cose per il mondo e nel Sud del Mondo questo significa la distruzione dei piccoli contadini e così via, e così via. Qual è la percezione che hai di quell’equilibrio riguardo a come costruiamo resilienza in entrambi i contesti? Ed anche, cosa possono fare attraverso le loro azioni i gruppi di Transizione che lavorano nel Nord del Mondo per sostenere quello che succede al Sud?

Penso che il concetto di resilienza sia molto buono e so che lo enfatizzi sin dal primo libro. Io penso che sia un concetto che potrebbe essere trasversale al Nord come al Sud del Mondo. Dovrei andare e vedere con più cura se questo viene usato in America Latina, ma è un concetto molto fecondo e in realtà potrebbe essere una buona domanda per Eduardo Gudynas che è un mio buonissimo amico, quindi gliela porrò. Ci sono dei paralleli che penso possano essere pensati sia per il Nord sia per il Sud del Mondo come principio. In pratica avranno le loro proprie specificità come hai detto tu stesso ieri nella tua presentazione all’inizio della serata, perché ogni città ha di fondo le proprie specificità. Il cibo locale credo che sia una di queste, molto importante nel Nord del Mondo. Sta diventando sempre più importante anche nel Sud del Mondo, sotto un altro punto di vista. Il diverso punto di vista è quello della sovranità alimentare, dell’autonomia alimentare. In Colombia, per esempio, i movimenti preferiscono usare autonomia alimentaria (autonomia alimentare) che è in qualche modo diverso dalla sovranità alimentare. La sovranità alimentare tende a mettere l’enfasi sul livello nazionale, quindi una contea potrebbe dire stiamo producendo alimenti per la popolazione bla bla bla, il che non è sufficiente. Ci deve essere l’autonomia alimentare localmente, a livello regionale e nazionale. Quindi movimenti di contadini come Via Campesina, che è un movimento molto importante in America Latina e nel mondo, è concentrato sulla sovranità e sulla autonomia alimentare in modo minore. Quindi la questione del cibo è cruciale come punto iniziale della Transizione. Energia? L’energia è molto importante nel Nord del Mondo, vedo che ha minore importanza nel Sud del Mondo e questo non significa necessariamente che sia qualcosa di buono. Dovremmo pensare di più all’energia ,ed è proprio uno dei collaboratori di Gudynas, ora che mi ricordo, che ha un programma sull’energia, in particolare per il Sud America. Lui parla delle trasformazioni che devono aver luogo a livello energetico perché le transizioni avvengano.

La gente che nel Nord del Mondo dice ‘non puoi parlare di cibo locale perché se parli di cibo locale condanni i contadini del Kenya e del Cile alla povertà e alla disoccupazione’. Come rispondi a questo argomento?
Credo che non abbia alcun senso! Se guardi bene, sicuro, c’è molto cibo che viene coltivato in Africa, Asia e Sud America per i mercati europei e americani, ma chi ne beneficia? Il più delle volte non sono i contadini locali. I contadini locali non ci sono più da almeno due o tre decenni. Persino alcuni agro-combustibili tanto propagandati come grandi soluzioni a livello ambientale e così via, come le palme africane che conosco molto bene perché sono state piantate dappertutto in Colombia, vengono prodotti a spese delle comunità locali, degli ecosistemi locali, da grandi capitalisti colombiani e da grandi multinazionali. So che in parti dell’Africa e del Medio Oriente sono principalmente le multinazionali tedesche ed europee che coltivano cibo in quei paesi, con lavoro locale a basso costo, per poi esportarlo nei mercati europei. Quindi, al contrario, penso che il cibo locale nel nord sarà buono per il cibo locale al sud. Quest’idea che il sud dovrà produrre cibo esotico per il Nord del Mondo sta per finire.

Quindi se un’iniziativa di Transizione nel Nord del Mondo lavora attivamente per localizzare la sua fornitura di cibo, per ridurre la sua impronta di carbonio, per installare infrastrutture di energia rinnovabile, localizzare la propria economia, pensi che questo, per definizione, aiuti il movimento verso uno sviluppo alternativo nel Sud del Mondo o, consapevolmente, si potrebbe fare qualcosa di più, in modo più intenzionale, per sostenere quello sforzo?
Penso che la prima opzione che hai sottolineato sia il modo migliore di pensarci. Questo non significa che non dovremmo farlo pensando anche al Sud del Mondo e a come ne venga colpito. Ci potrebbero essere dei casi nei quali gruppi particolari nel Sud del Mondo potrebbero essere danneggiati dalla pratiche che si manifestano nel Nord del Mondo intorno alle iniziative di Transizione. Per esempio, una delle relatrici del mattino, Antonella Picchio, un’economista femminista, dice che dovremmo sempre pensare dal punto di vista delle donne. Di principio questo è molto valido. Poniamoci la domanda – come potrebbero le nostre attività nelle iniziative di Transizione del Nord del Mondo portare benefici o danni a particolari gruppi vulnerabili nel Sud del Mondo? Le donne, le genti indigene, la gente di colore, le minoranze etniche ed i contadini in particolare. Penso che sia sempre una buona domanda da fare. Non è una domanda così enorme alla quale rispondere, si tratta di seguire le conseguenze delle azioni. Ma nel complesso tenderei a pensare che le attività di Transizione nel Nord del Mondo tendano a contribuire, se non immediatamente quanto meno ad un certo punto, alle alternative allo sviluppo ed alle autonomie locali ne Sud del Mondo, nella misura in cui continuino ad erodere il potere delle multinazionali, che è ciò che ci unisce e che ha davvero rovinato tutti, compresa la gente del Nord del Mondo. I miei amici finlandesi e canadesi mi dicono che le stesse multinazionali che hanno rovinato il Sud del Mondo per così tanti decenni, ora stanno facendo al stessa cosa nel nord del Canada e della Finlandia. Quindi non sarà più risparmiato nemmeno il Nord. In quel senso, penso che debbano essere fatte delle alleanze. La comunicazione fra gli attivisti della Transizione del nord e quelli del sud dev’essere coltivata. Saranno in qualche modo comunicazioni difficili e credo che le domande che mi stai facendo siano quelle da cui cominciare. Per il concetto e la pratica di Transizione che usiamo per diverse parti del mondo, dobbiamo tenere conto che ci saranno comunicazioni interculturali, inter-epistemologiche, diverse conoscenze saranno coinvolte e queste richiedono una traduzione. Una traduzione attraverso le conoscenze, attraverso le culture, attraverso le storie, attraverso diversi modi di essere negativamente condizionati dalla globalizzazione, attraverso livelli di privilegio e così via.

E’ solo applicando il concetto di localizzazione che andiamo a generare sufficiente occupazione per creare il tipo di occupazione di cui hanno bisogno questi paesi?
Probabilmente no. Penso che debba essere un livello, certamente molta enfasi sulle azioni locali, sulle soluzioni locali, ma dev’esserci un qualche grado di pensiero e di politica di implementazione a livello regionale e nazionale. Lo Stato deve diventare di più parte della soluzione che non parte del problema come lo è ora. Ora è molto più che il problema. Con alcuni di questi regimi progressisti ha cercato di diventare parte della soluzione anche in termini di connessione con i movimenti sociali, ma il dare e avere fra i movimenti sociali che stanno spingendo di più per l’autonomia locale, la protezione dei territori, la conservazione delle diversità culturale e biologica da un lato e lo Stato, che ha in mente il livello nazionale e transnazionale sta diventando di nuovo molto teso e cominciano a verificarsi delle rotture, anche in paesi come la Bolivia e l’Ecuador dove c’è stata più vicinanza fra lo Stato e i movimenti.

Qual è il ruolo della tecnologia in questo? Ci sono persone che sostengono che se si potesse fare modificazione genetica open-source questo avrebbe un ruolo. Ci sono tutte queste tecnologie come l’energia nucleare, questo genere di cose. Dal tuo punto di vista sulle alternative allo sviluppo cosa costituisce una buona tecnologia e cosa una tecnologia per la quale non c’è posto?
Penso che la tecnologia sia super importante. Penso che le comunità indigene, quelle di discendenza africana e quelle di contadini di Buen Vivir non si oppongano alla tecnologia di per sé. Se possono essere connessi ad Internet, se possono avere tecnologie per migliorare la produttività del suolo, se possono avere tecnologie che migliorino il loro standard di vita, ciò è meraviglioso. Ciò a cui si oppongono è avere tecnologie che vanno a discapito della loro autonomia, dei loro territori, delle loro tradizioni culturali, delle loro visioni del mondo e dei modi di vivere. Ma quando leggi – e credo che questa sia un’idea sbagliata – che il Buen Vivir, siccome è stato promosso principalmente dai movimenti indigeni e da intellettuali, è qualcosa che riguarda il tornare al passato, è sbagliato. Non lo è affatto. Non significa andare indietro. Qualcuno ha detto questo anche qui, oggi, che la Decrescita non significa tornare indietro, significa andare avanti. Stessa cosa con le comunità indigene, significa andare avanti, ma come? La differenza è: “come”? Il modo in cui andiamo avanti oggi sulla base della crescita, dell’istruttivismo, del profitto e del dominio di un particolare modello che è il capitalismo e la modernità, secondo molte comunità e movimenti, che è alla fine e che deve fermarsi. Ma non è anti-tecnologia e non è anti-moderno. Per me il criterio è indebolire o diminuire il dominio del modello della crescita, il modello hi-tech, il modello economico neo-liberale ed il dominio di un particolare contesto culturale che è il contesto culturale della modernità e di permettere molti contesti e diverse visioni del mondo.

1 commento
  1. Daniele
    Daniele dice:

    grazie per l’intervista molto interessante anche per comprendere meglio cosa succede in sudamerica oggi

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