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Un prototipo per facilitare la transizione a Roveri

Articolo di Martina Francesca – sito web: http://martinafrancesca.it/ 

Tra i bilanci e le valutazioni che vengono così bene nel periodo a cavallo tra la fine di un anno e l’inizio di uno nuovo, mi sono concentrata in particolare a riflettere su come è andata l’esperienza a Bologna tra settembre e novembre: ho partecipato al programma Pioneers into Practice della Climate-KIC, nel quale persone provenienti da ambiti professionali e disciplinari diversi hanno l’opportunità di trascorrere un periodo di scambio professionale in Italia o all’estero lavorando con enti di ricerca, università o imprese sull’innovazione sistemica e il cambiamento climatico.
Io ho avuto l’opportunità di contribuire al progetto Roveri Smart Village, promosso da vari enti tra cui l’ENEA (dove appunto ho trascorso il mio periodo da pioniera). Obiettivo del progetto è accompagnare la transizione verso la sostenibilità del distretto industriale Roveri a Bologna.

Il mio ruolo è stato quello di facilitare l’avvio del processo di transizione, progettandone le varie fasi e occupandomi di mappature, interviste ed eventi pubblici che coinvolgessero i diversi attori che a Roveri vivono o lavorano. È stata per me un’esperienza estremamente istruttiva e anche sfidante, descritta più in dettaglio nel caso studio che si può scaricare qui. In questo post vorrei raccontare la lezione che, a livello personale e professionale, mi sono portata a casa dall’esperienza di Roveri.

Una facilitatrice a scuola di pazienza

Ho sempre pensato di potermi descrivere come una persona paziente. A Roveri ho scoperto che non sempre è così e che la curiosità di arrivare subito al cuore del processo e il senso di urgenza hanno reso difficile seguire un ritmo che a volte percepivo come troppo lento rispetto al mio. E invece la pazienza è una grande dote di chi facilita (insieme al tenere un passo più serrato quando occorre, naturalmente).

Ritmi diversi
Il placement del Pioneers into Practice dura al massimo un mese e mezzo. Anche se io mi sono fermata un po’ di più a Bologna, il tempo a disposizione è stato davvero pochissimo per le interviste, per organizzare gli eventi e il materiale informativo. E pochissimo anche per soddisfare il desiderio di relazioni e comunità che sono emersi nelle interviste e nell’incontro pubblico (ma qui c’è una buona notizia: non mi aspettavo di incontrare questo bisogno così forte in un distretto industriale, e invece spesso mi sono sentita dire: “non ci conosciamo, non so chi sia il mio vicino di capannone”, che fa eco a molte frasi simili sentite altrove. Mi è sembrato un punto interessante su cui fare leva).
La lezione: occorre pazienza, perché abbiamo a che fare con processi lunghi e complessi in cui non è detto che i risultati arrivino quando o come ce li aspettiamo. Fiducia nell’effetto farfalla.

La mente del principiante
A volte mi sento impaziente perché vorrei sperimentare metodi di facilitazione pioneristici, vorrei che chi partecipa a un incontro sia entusiasta quanto me nel sottoporsi a modi nuovi e strani di interagire e mi sento frustrata se mi imbarco in discorsi infiniti sulla facilitazione o la visione sistemica e dall’altra parte vedo facce perplesse.
Promemoria per me: le persone che ho di fronte potrebbero non aver mai sentito nominare la parola facilitazione, potrebbe essere la prima volta che si siedono in cerchio a ragionare su come immaginano Roveri nel futuro. Mettendomi nei loro panni, sono costretta a fare appello alla mente del principiante. Ed è un dono che mi invita a non dare nulla per scontato, ad essere paziente e riscoprire quanto può essere straniante, ma anche potente, sedersi in cerchio o aspettare il proprio turno per parlare. Una cosa così semplice! Eppure può scardinare abitudini e modi di pensare consolidati.
Morale della favola: lo strumento più sofisticato inventato dalla guru di turno non sempre è adatto, mentre è fondamentale selezionare e coltivare ciò che è essenziale. Mi alleno a diventare una facilitatrice minimalista.

Lavora con e non contro
Pazienza a Roveri è stato anche saper accogliere resistenze e dubbi: c’è un motivo nel loro essere lì. Possiamo provare a forzare un po’, ma sempre con un occhio attento a cogliere il feedback che arriva dal gruppo o dal nostro interlocutore. A volte si tratta  di fare un passo indietro per rispettare le resistenze e le loro ragioni, che possono essere le più disparate. Cosa ho imparato quindi? Pazienza se non si riesce a fare tutto quello che abbiamo in mente: coltivando flessibilità possiamo adattare i nostri piani per seguire la strada a minor resistenza e arrivare all’obiettivo. Come al solito il processo, il “come”, è altrettanto importante del “cosa”.

Per approfondire l’esperienza di Roveri e per altre riflessioni sull’esperienza, scarica qui il caso studio.