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Rob Hopkins intervista Jorgen Randers

Salve a tutte/i,
ho letto e tradotto questo post di Rob Hopkins su Transition Culture. L’ho trovato molto controverso, ma anche stimolante; quindi ho pensato che potesse essere buono proporvelo (lo trovate anche su Effetto Cassandra).
Molte delle cose che Randers sostiene sono evidentemente in contrasto con l’approccio di Transizione (seppur egli non nasconda una certa simpatia per il movimento), però credo che siano riflessioni che non dovremmo respingere e con le quali è giusto confrontarsi. In fondo si tratta di uno dei ricercatori che nel 1972  aveva preso parte alla ricerca sui I Limiti dello Sviluppo commissionata dal Club di Roma e che aveva, quando molti di noi non erano ancora nati o erano in fasce, già inquadrato piuttosto bene i problemi che avremmo avuto, grazie alla “dinamica dei sistemi” di Jay Forrester.
Onorare gli anziani e la loro esperienza è sempre una cosa buona. E poi, in fondo, spetta a noi far sì che le previsioni di Randers siano sbagliate. Sì tratta sempre di noi e di quello che vogliamo fare del nostro futuro. Buona lettura. Continua a leggere

Transition Culture : Ecco tre ingredienti. Ora avvia un’iniziativa.

Salve a tutte/i,

volevo segnalarvi questo articolo pieno di spunti pubblicato il 13 Marzo da Rob Hopkins su Transition Culture. Se è vero che i vecchi paradigmi hanno sostanzialmente fallito nel creare un mondo vivibile, sostenibile e dove possiamo cercare liberamente di soddisfare i nostri veri bisogni in accordo con gli altri esseri umani, è anche vero che forse buttare il bambino con l’acqua sporca non è la cosa giusta da fare. In tutti i “pensieri”, probabilmente, c’è qualcosa che vale la pena di prendere in considerazione. Ad esempio il punk, che potrebbe essere visto piuttosto male come fenomeno dai più, ha in sé idee straordinarie.

L’invito di Rob Hopkins è: se vogliamo il coinvolgimento delle persone nel processo, non dobbiamo aspettare di essere già “imparati”. Si parte con quello che c’è: passione, consapevolezza dell’importanza del momento, amore.

Buona lettura.

Ecco tre ingredienti. Ora avvia un’iniziativa.

Di Rob Hopkins. 13 Mar 2012

Traduzione da Transition Culture di Massimiliano Rupalti (su segnalazione di Pierre “Pingus” Houben)

– Questo è un accordo –

Mi sembra di aver fatto un sacco di discorsi nelle scuole di recente. Ne ho fatto uno la scorsa settimana nel quale ho mostrato alcune clip di ‘In Transition 2.0‘ ed ho parlato di ogni sorta di storie provenienti dalle Iniziative di Transizione nel mondo. E’ stato anche il primo che abbia fatto, durante il quale nessuno stava digitando messaggini in fondo alla classe, il che è stato un bel cambiamento (quello di assicurarsi che nessuno di loro abbia un segnale di telefonia mobile potrebbe essere un modo sicuro per alzare gli standard educativi nelle scuole? Un po’ radicale). Una delle domande che mi hanno fatto è stata su come è iniziata la Transizione, una domanda che mi pongono ancora con allarmante regolarità. Questo mi ha fatto pensare alla questione di come far partire le cose.

Parlando in seguito con gli studenti, ho percepito che c’è molto nervosismo su come far partire le cose. Potrebbero fallire e farvi sembrare ridicoli. O, piuttosto, che c’è la sensazione che devi sapere che qualcosa funziona prima di cominciarla. La Transizione è la prova vivente che non è così. Ripensando a questo tornando a casa in un treno stipato per Reading, ho pensato che l’avvio della Transizione, nel 2005/6 ha richiesto, col senno di poi, una ricetta particolare, di cui, io e gli altri coinvolti in quella fase, eravamo ampiamente inconsapevoli in quel momento:

. Essere mossi profondamente dalla dimensione della sfida e voler fare qualcosa per questo ora

. Un po’ di vecchio spirito punk ‘fai da te’ (do it yourself), almeno per me.

. Una convinzione ingenua che, per le parti che non sapevamo come fare, qualcun altro sarebbe arrivato ad aggiungerle nella miscela

. Una sconsiderata mancanza di coscienza di sé nell’ammettere che c’erano grandi parti di questa che non avevamo ancora capito, avevamo fiducia sarebbero emerse col tempo

. Alcuni co-creatori davvero splendidi e pazienti che sono arrivati molto presto

. Una sensazione istintiva che ci fosse bisogno di una risposta sostenuta dalla compassione piuttosto che dalla sopravvivenza

. Una visione sostenuta non da idee astratte ma da cose che avevo già visto in pratica nelle fattorie, negli orti, nelle case della gente

. Essere preparati alla possibilità che se fosse andata del tutto male non sarebbe stata la peggior cosa al mondo, insieme a

. Una appassionata convinzione che questo fosse quello a cui volevamo dedicare il nostro tempo, la nostra creatività e passione e che eravamo preparati a dedicargli gran parte della nostra vita, energia e cuore

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