Carote in mezzo al cemento: il ruolo dell’agricoltura urbana
Da “Transition Culture”. Traduzione di MR
Mentre gli architetti e gli sviluppatori pianificano nuove evoluzioni, pensano sicuramente a strade parcheggi e impronte ma pensano anche a piantagioni produttive, al ruolo degli orti sui tetti ed alla biodiversità? Quasi sicuramente no. Avendo visto alcune grandi iniziative di agricoltura urbana negli ultimi due anni, questo sembra un peccato per due ragioni. Primo perché l’agricoltura urbana sta rapidamente prendendo piede, quindi lasciandola fuori vengono lasciati indietro – e secondo perché stanno progettando per un futuro che ne avrà molto bisogno. L’agricoltura urbana è l’avanguardia. E’ ciò di cui abbiamo bisogno adesso.
Per inserire l’agricoltura urbana, e il suo potenziale, nelle nostre discussioni di questo mese su “Re-immaginare il Sistema Immobiliare”, cosa c’è di meglio che parlare con André Viljoen e Katrin Bohn, architetti, accademici ed autori del libro recentemente pubblicato Seconda Natura: progettare città produttive. Il loro primo libro, Paesaggi Produttivi Urbani Continui (PPUC), pubblicato nel 2004, mette il concetto dell’agricoltura urbana nell’agenda della professione dell’architetto. Le cose sono cambiate molto da allora. Li ho raggiunti su skype poche settimane fa. Come mi ha detto André, la reazione quando 10 anni fa hanno proposto agli editori un libro sull’agricoltura urbana è stata “agricoltura? Noi facciamo architettura”!
Il cambiamento da quando è uscito PPUC è stato notevole. Per esempio, la città di Berlino ora ha adottato una strategia urbana che vuole ospitare panorami produttivi e molte delle storie di come si sta diffondendo nel mondo sono catturate nel libro (alcune iniziative di Transizione e il loro lavoro sulla produzione urbana di cibo compaiono a loro volta). Il libro è presentato come una rassegna delle più recenti ricerche e progetti così come “una cassetta degli attrezzi tesa a rendere possibile l’agricoltura urbana”. Riesce molto bene in entrambe le cose.
Agricoltura urbana e nuova economia
Una delle prime cose che spicca nel nuovo libro è la misura in cui le iniziative di agricoltura urbana, in modo analogo ai gruppi di Transizione, stiano sempre più guardando alla fattibilità economica in quello che stanno facendo. Ho chiesto a Katrin di questa tendenza:
“Alcuni degli esempi del libro funzionano ci si guadagna da vivere. Solo se le imprese riescono a fare questo c’è un futuro per la coltivazione urbana di cibo. Ciò non significa che questi schemi commercialmente fattibili debbano essere commercialmente fattibili in un modo orientato al profitto. Possono essere imprese sociali. Ma ciò che è stato notato negli ultimi 10 anni, ciò che è realmente cruciale, è che se vogliamo mantenere il presupposto per cui l’agricoltura urbana possa cambiare l’apparenza fisica delle città, allora dobbiamo fornire concetti in cui l’agricoltura sia anche un fattore economico. Non posso dire orti comunitari”.
Per Katrin, la nascita di progetti fattibili commercialmente di agricoltura urbana nel mondo le danno, come lo esprime lei, “il diritto di dire sì, l’agricoltura urbana è stata una buona idea. Perché possiamo vedere che queste versioni fattibili stanno cominciando a funzionare”.
Uno degli orti urbani comunitari di Hackney
Uno dei migliori esempi di questo, che André ha indicato, è Growing Communities a Hackney, a Londra. Hanno costituito un’impresa in espansione che coinvolge formazione, orti urbani ed un modello in evoluzione per come Londra potrebbe alimentare sé stessa. Tuttavia, André ha riconosciuto che:
“Mentre possiamo vedere la nascita di progetti che stanno cominciando ad essere economicamente fattibili, c’è ancora molto duro lavoro e le persone che li gestiscono ci mettono molta energia. Molti di loro hanno altri redditi”.
Come esempio, ha citato quello che probabilmente è l’azienda agricola su tetto più famosa, la Brooklyn Grange Farm a New York. La loro fattibilità commerciale deriva non solo dalla produzione alimentare, ma dall’aver tenuto un approccio imprenditoriale più ampio. Come lui mu ha detto:
“Hanno operato commercialmente in relazione alla quantità di cibo, che va bene, ma hanno anche affittato lospazio all’aperto come luogo per celebrazioni, matrimoni, feste ed eventi. Questa è una parte importante del loro reddito. Sono agili, coltivano alimenti in modo molto intenso e convenzionale e penso che la domanda interessante si se i sistemi idroponici possano essere convertiti in sistemi acquaponici, che ci portano più vicini ai sistemi ad anello chiuso”.
Brooklyn Grange Farm, New York
Le sfide dell’aumento di scala
Un’altra chiave per fare agricoltura urbana economicamente fattibile, secondo André, è essere visti come una parte integrante dei sistemi di ciclo chiuso che usano gli scarti per il compost e il nutrimento. Come dice lui:
“Se si comprende questo, allora la possibilità di renderlo commercialmente fattibile pensando ad esso in relazione al flusso di scarti diventa più probabile”.
Ma come possiamo aumentarlo di scala? Mi intriga sapere come pensano come potremmo vedere più abilmente adottata l’agricoltura urbana e più ampiamente dai progettisti e dagli architetti come luogo comune della vita nel pianificare nuovi sviluppi. Katrin mi ha detto:
A Brighton, dove risiediamo entrambi, il Comune ha inserito un piccolo cambiamento sul sito web fra i requisiti che controlla, al momento dell’inserimento delle domande di costruzione, non solo se si fornisce un parcheggio o sufficienti superfici di finestre o balconi, ma anche se questo nuovo sviluppo fornisce spazio per la coltivazione del cibo”.
Per lei, potrebbe essere attraverso questa tipologia di leggi, in cui Brighton ed altri sono pionieri, che l’agricoltura potrebbe venire meglio accettata ed attecchire. “Il modo migliore potrebbe essere attraverso queste leggi di modo che la gente capisca che la loro amministrazione locale richiede qualcosa e che essa ne ha un vantaggio”, mi ha detto.
Il precedente di Brighton emerge da Coltivazione del cibo e sviluppo, una nota consultiva di pianificazione sviluppata dal Comune in associazione con Brighton e Hove Food Partnership. Pur non essendo condizioni per ottenere il permesso di progettazione, significano che se si intraprendono certe attività, la domanda sarà vista più favorevolmente. A Brighton, André mi ha detto: “questo ha avuto un impatto notevole sul numero di domande che includono spazi per coltivare cibo al loro interno”. Questo poi, naturalmente, porta a nuove sfide. Come dice André:
“La sfida che emerge è che se si introducono spazi per coltivare il cibo, sappiamo come progettarli, ma c’è il problema di chi li gestisce e li mantiene e questo in alcuni progetti è ancora una sfida”.
Mappare i benefici dell’agricoltura urbana
Uno dei modi chiave per espandere l’agricoltura urbana è quello di puntare sulla base delle prove accumulate dei suoi impatti benefici. Come mi ha detto André:
“Ci sono molti lavori che documentano i benefici per la salute mentale dell’accesso a spazi aperti, la coesione sociale si giova dalla coltivazione di cibo da parte della comunità. Il programma Pollice Verde a New York, che sostiene gli orti urbani, ha accumulato un bel po’ di prove a favore dei benefici sociali e di salute, sia fisici sia mentali, di quegli spazi”.
Ci sono anche altri benefici. André ha indicato il High Line a New York e anche se ha prevalentemente piante ornamentali piuttosto che commestibili, è comunque un enorme attrazione per la gente, cosa che ha aumentato i prezzi delle proprietà nella zona. Il Prinzessinnengarten a Berlino ha dimostrato che l’agricoltura urbana è un’estetica che piace ai turisti e un altro orto urbano, Marzahn, sempre a Berlino, sta dimostrando come l’agricoltura urbana stia aumentando l’attrattiva di un quartiere povero.
Arnie al Prinzessinnengarten, Berlino.
Un altro beneficio, uno che abbiamo già esaminato in un tema precedente, è che la misura in cui l’agricoltura urbana (e la Transizione, del resto) può essere vista come una strategia di salute pubblica. E’ un’idea a cui André ha pensato:
“C’è l’idea delle “città che favoriscono la salute” ed attività come l’agricoltura urbana sono del tutto adatte a quel filone di pensiero, probabilmente più delle ‘palestre verdi’. Ma ci sono alcune prove che sarebbero davvero interessanti da verificare. A Middlesbrough abbiamo fatto un progetto chiamato DOT, “Design of the Times 2007”, che introduce l’agricoltura urbana a Middlesbrough su una serie di scale diverse.
Una nostra studentessa che ha intervistato i residenti ha scoperto che a Middlesbrough la gente che ha cominciato a coltivare cibo, anche se in forma del tutto simbolica tipo coltivare un paio di pomodori e cose del genere, ha cominciato realmente a cambiare comportamento. Ha cominciato a comprare cibo di stagione ed a mangiare più frutta fresca e verdure. Lei ha confrontato la gente che vive a Cambridge a quella che vive a Middlesbrough ed ha scoperto che a Cambridge, dove la gente era già molto impegnata con massaggi salutari e dove era consapevole dei fattori ambientali, più che a Middlesbrough, la coltivazione del cibo non ha avuto un impatto così grande.
Ma in un posto come Middlesbrough ha comportato un enorme cambiamento di comportamento. Ciò non è mai stato, a quanto ne so, oggetto di una ricerca più rigorosa. Pensiamo che probabilmente sia una di quelle attività che la gente cerca sempre, attivita che favoriscono il cambiamento di comportamento direttamente collegate ai miglioramenti della salute”.
Per Katrin, è anche un metodo semplice per trasmettere educazione ambientale generale:
“Che siano luoghi dove si coltiva cibo di tipo commerciale o comuni, molti progetti si impegnano anche in attività educative, gruppi scolastici o sessioni specifiche dove si impara a riconoscere le diverse lattughe”.
L’agricoltura urbana e la professione di architetto
L’architettura è, come il mondo della moda, incline alle mode. Ciò che va un anno, il successivo è già passato e l’idea all’avanguardia di quest’anno in quattro anni potrebbe essere “come nel 2014”. Come si potrebbe evitare questo? Come assicurare che l’agricoltura urbana rimanga? Katrin ha riconosciuto che questo potrebbe essere un rischio:
“Questo pericolo è una delle ragioni per cui molti protagonisti del movimento della coltivazione urbana di cibo sono consapevoli che le loro idee devono fare questo salto nella politica. Influenzare in maniera sostenibile le politiche di progettazione è molto importante. L’architettura è alla moda e segue la moda, ma segue anche le richieste dei suoi clienti. Così, fincheé il cliente richiede questi spazi per produrre cibo gli architetti li accontenteranno”.
André ha aggiunto:
“Siamo ad uno stadio in cui abbiamodavvero bisogno di far capire alla gente il significato di questi spazi in termini di parte dell’infrastruttura ecologica della città che la gente percepisce come spazi essenziali, parte dell’infrastruttura essenziale all’interno di una città. Se viene creato questo cambiamento mentale e pensiamo che ci siano prove sufficienti che lo sostengono, allora questi spazi diventeranno parte integrante delle città. E’ proprio questo lo stadio in cui ci troviamo, credo”.
Partendo da questo, per André e Katrin, una parte chiave del rendere mainstream l’agricoltura urbana è attraverso la buona ricerca. Fanno parte del progetto di ricerca chiamato Trasformazioni Urbane dalla Pratica alle Politiche. In termini di ricerca, André punta sul lavoro di Debra Solomon in Olanda, chiamato ‘Urbaniahoeve’. Là hanno introdotto paesaggi alimentari in diverse città. Il punto centrale del loro lavoro, nel lasso di tempo che porta ad una conferenza nel settembre 2015, sarà sviluppare strumenti per far leva sul cambiamento delle politiche riguardo all’agricoltura urbana.
Ultimi pensieri
Architettura Urbana Seconda natura è proprio straordinario. Se dobbiamo proprio costruire ambienti che sono ‘chiusi’ all’interno del futuro radicalmente a basso tenore di carbonio, dobbiamo creare, non possiamo davvero permetterci di costruire qualsiasi nuovo sviluppo che non includa l’agricoltura urbana. Dev’essere ovunque e chiaramente in questo momento non sta avvenendo abbastanza rapidamente. Viljoen e Bohn affrontano questo aspetto da diverse angolazioni e c’è qualcosa in questo che ispira le persone che rientrano in una gamma, da un lato, di chi si chiede come coltivare cibo nella città in cui vive a, dall’altro lato, dei pianificatori e progettisti che vogliono intraprendere progetti di scala ambiziosi. Difficile raccomandarglielo abbastanza.
Chi sono?
“Sono André Viloen e sono un architetto. Attualmente lavoro all’Università di Brighton dove con Katrin Bohn abbiamo insegnato in un programma per studenti del Master e prima fare questo ero molto impegnato nella ricerca di un’architettura di edifici a basso uso di energia e come renderli passivi. E’ così che siamo arrivati ad interessarci all’agricoltura urbana”.
“Sono Katrin Bohn, anch’io insegno all’Università di Brighton, ma ho anche una cattedra come esterna all’Università Tecnica a Berlino e in entrambi i casi cerco di lavorare il tema del cibo e la città. Con André condivido anche il lavoro alla Bohn and Viljoen Architects, che ora piuttosto ridotto, facciamo più che altro consulenza, installazione, studio di fattibilità. Di nuovo, siccome quel tema dei paesaggi produttivi è diventato così importante per noi, è ciò che facciamo prevalentemente. E ci piace”.
Perché ‘Agricoltura Urbana Seconda Natura’?
(Dal libro): “Il termine ‘seconda natura’ ha un doppio significato: da un lato descrive le abitudini ed i costumi integrati e normalizzati che hanno luogo senza un pensiero, dall’altro lato si riferisce allo spazio coltivato fatto dall’uomo che ci circonda in modo analogo alla (prima) natura”.
Selezionato dall’intervista completa che ho fatto a Andre e Katrin. Potete ascoltare l’intervista completa, o scaricarla, sotto.
https://soundcloud.com/transition-culture/viljoen-and-bohn-on-designing-productive-cities