Articoli

Su un aereo per fermare il CO2

Salve a tutte/i,

eccovi uno splendido spunto di Rob Hopkins per riflettere sulle nostre scelte. Quando può essere utile al processo, dovremmo essere capaci di fare anche cose che ci sembrano apparentemente sbagliate, o che vanno contro il nostro modo di sentire e le nostre scelte. La resilienza è adattamento a ciò che la vita ci pone di fronte, unita alla capacità di pensare a lungo termine.

Magari a nessuno di noi si è presentata una possibilità come questa che si è presentata a Rob, ma potrebbe essere utile calare la situazione che lui ci descrive nella nostra esperienza specifica, per capire dove anche noi potremmo tirare le leve giuste e dalla parte giusta. E poi, chi lo dice che non potrebbe capitarci una situazione simile?

Buona lettura e… non prenotate un volo dopo aver letto questo articolo!


Perché marco il passaggio a 400 ppm tornando su un aereo

Di Rob Hopkins

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR



Nel novembre del 2006, ero seduto in fondo al cinema Barn, a Dartington, e guardavo “Una scomoda verità”. Quel film ha avuto un tale impatto su di me allora, che avevo deciso che semplicemente non potevo lasciare quel cinema senza marcare l’evento facendo un qualche cambiamento nella mia vita. Ho deciso quella sera di non volare più e non ho più preso un aereo da allora. Ho svolto un ruolo attivo nel sostenere la crescita di un movimento internazionale in 40 paesi da allora, partecipando a innumerevoli workshop e discusso la Transizione a livello internazionale via Skype e discorsi pre-registrati, in molti dei quali comincio parlando di quanto carbonio ho risparmiato non viaggiando di persona. Tuttavia, ho visto recentemente il film “Chasing Ice”, e questo ha avuto, se non altro, un impatto ancora più viscerale di “Una scomoda verità”. La mia decisione dopo averlo visto, rafforzata dal recente passaggio per la prima volta a 400 ppm di CO2 in atmosfera, è stata che fosse tempo di tornare su un aereo e voglio utilizzare questo post per raccontarvi il perché.

Quando sono nato, la concentrazione atmosferica di CO2 nell’atmosfera terrestre era di 325,36 ppm. Avevo 19 anni quando ha superato le 350 ppm per la prima volta, il livello che scienziati del clima come James Hansen sostengono essere la concentrazione più alta possibile se vogliamo “preservare un pianeta simile a quello sul quale si è sviluppata la civiltà ed al quale si è adattata la vita sulla Terra”. Quando, nel 2004, sono stati seminati i primi semi della Transizione, nel momento in cui ero seduto coi miei studenti al Further Education College di Kinsale (Irlanda) a guardare The End of Suburbia, ci trovavamo a 376,15 ppm. Nel giorno in cui è partito questo blog col suo primo post, ci trovavamo a 378,29 ppm. Quando ho visto “Una scomoda verità”, era a 380,18 ppm. Il giorno in cui è stato fondato ufficialmente il Transition Network avevamo raggiunto le 386,40 ppm. Il

Il giorno in cui ho lasciato Venezia lo scorso settembre, dopo la conferenza sulla Decrescita (alla quale ero andato in treno), guardando Venezia dal battello come quel gioiello straordinario che è, a pochi pollici sul livello del mare, le concentrazioni avevano raggiunto le 391,06 ppm.

The rise in atmospheric CO2 concentrations during my lifetime (http://www.esrl.noaa.gov/gmd/ccgg/trends/#mlo_data).

Un paio di settimane fa abbiamo superato, per la prima volta, 400 ppm. E’ solo un numero, ma ha avuto un profondo impatto su di me, una linea sulla sabbia che fa riflettere, uno schiaffo in piena faccia profondamente inquietante da parte della realtà. Come dice Joe Romm su Climate Progress:

Certo, visto che siamo arrivati a 400 ppm per la prima volta nell’esistenza umana senza nemmeno un piano per evitare i 600 ppm, o gli 800 ppm e quindi i 1000 – senza nemmeno una discussione nazionale o una protesta da parte della cosiddetta intelligentia – vale la pena di chiedersi, perché? C’è qualcosa di innato nell’Homo “Sapiens” che ci rende dimentichi dell’ovvio?

Questo significa che gli attuali livelli di CO2 nell’atmosfera sono di gran lunga maggiori di quanto lo siano stati perlomeno negli ultimi 4,5 milioni di anni. Il grafico sotto mostra come le concentrazioni siano fluttuate durante gli ultimi 800.000 anni. Per via del contesto, 30.000 anni fa, l’uomo di Cro-Magnon era fiorente, cacciava, raccoglieva e dipingeva le pareti delle grotte. Il Guardian ha creato una splendida infografica che racconta la storia delle 400 ppm e cosa significano in modo molto ben comprensibile. Come dice Damien Carrington sul The Guardian “l’ultima volta che c’è stata così tanta CO2 in aria è stato diversi milioni di anni fa, quando l’Artico era senza ghiacci, la Savana si è diffusa sul deserto del Sahara e il livello del mare era fino a 40 metri più alto di oggi”.

Nonostante tutti gli sforzi dei movimenti verdi, delle iniziative di Transizione, di una moltitudine di conferenze internazionali e di inutili accordi, l’aumento è continuato inesorabilmente. Mostra piccoli segni di rallentamento, l’International Energy Agency ha avvertito lo scorso anno che il mondo è sulla strada per un aumento delle temperature di almeno 6 °C per il 2100.

Carbon dioxide concentrations for the last 800,000 years (http://keelingcurve.ucsd.edu/)

So che la mia scelta di non volare più ha ispirato molta gente a fare la stessa cosa, ma ha avuto un qualche impatto in termini assoluti sull’aumento dei livelli di emissione? Chiaramente no. Ma è stata la cosa giusta, finora, da fare? Assolutamente. Un affascinante saggio di Joakim Sandberg dal titolo Le mie emissioni non fanno differenza ha esplorato questo tema. Egli scrive:

Il mio consiglio è che abbiamo un obbligo collettivo di cambiare i nostri modi e questo obbligo collettivo potrebbe essere parzialmente separato dall’obbligo individuale. Mentre il mio volare o non volare non fa differenza, dovrebbe essere considerato, il cambiamento climatico potrebbe essere evitato se tutti cambiassimo i nostri modi. Ma allora sembra plausibile dire che noi agiamo in modo sbagliato come collettività, anche se nessun guidatore o passeggero di aerei non stesse facendo niente di sbagliato. Questa visione potrebbe essere ulteriormente spiegata dicendo che la questione morale può essere posta almeno su due livelli, con riferimento implicito ai diversi tipi di attori. Una cosa è chiedersi “Cosa dovrei fare?”, ma chiedersi “Cosa dovremmo fare?” è una cosa molto diversa e le risposte potrebbero non essere sempre convergenti.

Il fatto è che in un momento della storia in cui abbiamo disperatamente bisogno di tagliare in modo netto le emissioni, abbiamo tutti la responsabilità di rivalutare il comportamento che intraprendiamo e che rende normale, per le persone intorno a noi, modi di agire che generano alti livelli di emissioni. Come dice Sandberg, “mentre potrebbe non essere proprio sbagliato per me guidare o volare, potrebbe però essere sbagliato per noi farlo e dobbiamo per questo trovare modi per coordinare i nostri sforzi ambientali in modo più efficace”. Continuerò a non volare per le vacanze o per ragioni familiari, alle conferenze, praticamente quasi per nessuna ragione. Tuttavia ho deciso, dopo discussioni con le persone con le quali lavoro, che superare le 400 ppm, la portata della crisi climatica, significa che è tempo di tornare su un aereo, nel caso in cui i benefici possano essere considerati come maggiori degli impatti. Circa il 25% delle emissioni mondiali provengono dagli Stati Uniti, il più grande emettitore mondiale di biossido di carbonio. Di recente ho avuto una conversazione toccante con una persona che negli Stati Uniti lavora per un’organizzazione che finanzia i gruppi che agiscono sul cambiamento climatico e che è molto ben collegata politicamente negli Stati Uniti. Lei mi ha detto, con la voce rotta dall’emozione, che aveva la sensazione, dai sui colloqui con gente che conosce alle Nazioni Unite e di altre organizzazioni, che sembra esserci un consenso nel dar loro altri 18 mesi, al massimo 2 anni, e poi il finanziamento e quindi lo sforzo politico passeranno dalla mitigazione all’adattamento e la difesa. Lo dirò ancora. Il finanziamento e lo sforzo politico passeranno dalla mitigazione all’adattamento e la difesa. O, per dirlo con altre parole, si arrenderanno. Il consenso passerà al presupposto che sia troppo tardi. Ufficialmente. L’imminente briefing della Casa Bianca sullo stato del ghiaccio Artico e le sue implicazioni probabilmente non sarà di aiuto, data la gravità e l’apparente irreversibilità della situazione. Mi rifiuto di accettare che lo sbilanciamento a 500 ppm, 600 ppm, 800 ppm sia una cosa inevitabile. Mi rifiuto di accettare, come ha cercato di dire Nigel Lawson nel suo dibattito con l’incredibilmente paziente Kevin Anderson alla trasmissione radiofonica di Jeremy Vine di recente, che fare qualcosa per il cambiamento climatico impatterebbe sulla crescita economica e quindi non dovremmo disturbarla. Mi rifiuto di essere d’accordo con Peter Lilley che l’unico modo di preservare la nostra economia si di permettere il fracking per il gas senza restrizioni e ovunque l’industria del gas decida di voler perforare perché “non ci sono semplicemente tecnologie rinnovabili disponibili che ci possiamo permettere per rimpiazzare i combustibili fossili”. Mi rifiuto di accettare che non possiamo fare un po’ meglio di quanto facciamo ora e che le comunità abbiano solo un ruolo passivo da giocare nel fare qualcosa per questo col lavoro vero fatto dai governi e dalle aziende. Mi rifiuto di arrendermi finché c’è ancora una possibilità.

Così, quando mi è arrivato un esplicito invito a parlare ad un incontro dai più grandi finanziatori filantropi al loro incontro negli Stati Uniti, e l’opportunità di presentare loro con la Transizione un modello dal basso, un’azione condotta dalla comunità e di spiegare come la Transizione si sia sempre più concentrata sulla creazione di una nuova economia, di proprietà della gente, a beneficio della gente, del clima e del futuro, ho dovuto pensarci due volte. Questa è proprio un’opportunità straordinaria di provare ed influenzare la mentalità della gente che ha il potere e la capacità di sostenere significativamente le comunità, e di altri attori cruciali, che hanno bisogno di agire per fare un vero e rapido passaggio così necessario. Ci ho pensato a lungo e duramente.

E sono giunto a un punto, anche questo attraverso discussioni con altra gente qui al Transition Network e con discussioni coi nostri amici di Transition US e del Post Carbon Institute, di sentire che valga la pena di andare e salire su un aereo per fare il viaggio, nella (probabilmente ingenua) speranza che questo possa seminare qualche seme di una nuova direzione nelle menti di qualcuno dei più importanti finanziatori statunitensi, dare una spinta a Transition US, elevarne il profilo, facendo quello che posso per provare e sostenere ciò che sta già avvenendo lì. Mi aspetto di tornare spremuto come una spugna. Questo non apre la porta al volare qua e là. Questo è un invito molto particolare che è stato valutato interamente nel merito.

Cosa faccio adesso? Molti dei movimenti, idee, persone e progetti che mi hanno ispirato durante gli ultimi 20 anni sono venuti dagli Stati Uniti. Avvengono cose straordinarie laggiù, progetti ispirati, grandi movimenti, reti incredibili. Ma se la Transizione può portare qualcosa di energizzante, qualche intuizione dal proprio esperimento globale di 7 anni, qualche tipo di rinnovato ottimismo sul fatto che il cambiamento è possibile, qualcosa, qualsiasi cosa, allora sembra valere la pena farlo, prima che la finestra di possibilità si chiuda.


Ciò che mi tormenta ogni giorno, e non c’è dubbio che lo farà per il resto dei miei giorni, è cosa dirò ai miei nipoti quando mi chiederanno cosa ho fatto durante il tempo in cui il cambiamento climatico poteva essere messo sotto un qualche tipo di controllo, quando i cambiamenti necessari potevano essere messi in atto per creare una cultura a basso tenore di carbonio, resiliente e prosperosa che nutrisse le culture umane. Sono stato efficace come potevo essere? Ho fatto tutto ciò che potevo? Avendo riflettuto su questo per un po’ di tempo, sembra meschino declinare un’opportunità che potrebbe potenzialmente avere un impatto di gran lunga più positivo di quello negativo del volo. Così, a un certo punto a fine settembre, sembra che farò quel viaggio. Piuttosto, quello che farò quando sarò lì deve ancora essere concordato (anche se ovviamente vi farò sapere). Se questo avrà un qualche impatto significativo è ancora meno certo. Ma deve essere fatto, quindi lo faccio.

Le statistiche della concentrazione di CO2 provengono dal sito web dell’Earth System Research Laboratory, da misurazioni prese alla stazione di ricerca di Mauna Loa.