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Ultima Chiamata a Urbania

Salve a tutt*,
per chi dovesse trovarsi dalle parti di Urbania (Pesaro – Urbino) il 21 di maggio, potrebbe essere interessante partecipare alla proiezione del film-documentario “Ultima Chiamata” di Enrico Cerasuolo.

Ancora? Be’, sì. Dopo l’accordo siglato fra Transition Italia e la produzione del film, finalmente possiamo promuoverlo nella sua versione integrale (quella della Rai era forse troppo “ridotta”).

Trovate i dettagli qui.

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Climate After Growth in italiano

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Ecco un regalo per l’inizio del nuovo anno. Forse ricorderete questa pubblicazione dei nostri amici del Post Carbon Institute firmata da Miller e Hopkins e disponibile solo per angloabili (?). Bene, grazie a Dario Tamburrano, coadiuvato da altri volonterosi traduttori (tutti santi subito) ora potete leggere il tutto in un comodo italiano arricchito da una prefazione dello stesso Dario. Ne cito uno stralcio:

In questo breve documento gli Autori fanno luce sul perché potrebbero essere la nostra, come la passata generazione, ad aver goduto del picco massimo di prosperità media della storia dell’intera umanità, squarciando in poche sintetiche pagine il buio dell’informazione e della cultura mainstream che tuttora colpevolmente ignora i problemi reali che ci minacciano.

Hopkins e Miller infatti, supportati da numerosi dati, focalizzano e descrivono in forma estremamente lucida e comprensibile i nuovi mutati contesti storici che negli ultimi anni si sono andati delineando nel campo dell’energia, del clima e dell’economia e che, perso il loro carattere di eccezionalità, divenuti permanenti e sistemici, vengono pertanto appropriatamente definiti come le Nuove Normalità.

In questo scenario, che delinea un vero e proprio spartiacque, il paradigma della irrinunciabilità della crescita economica assume le sembianze di una medaglia a due facce: se da un lato ha permesso un invidiabile e innegabile “progresso”, dall’altro, non contemplando i limiti biofisici del pianeta, ha creato i presupposti per le sfide che abbiamo di fronte, diventando pertanto una vera e propria trappola mentale ed economica, predominante e globalizzata che ci impedisce di affrontare in maniera logica e razionale i nuovi contesti standard che minano la nostra stessa sopravvivenza.

Già che siete lì a leggere, vi invito a fare anche un po’ correzione di bozze collettiva e se trovate errori, refusi, ecc. segnalatecelo che Dario li sistema. Buona lettura!

“L’economia del dono esiste”

“L’economia del dono esiste. Va avanti indipendentemente dalle partite doppie dare-avere, dai pareggi di bilancio e dagli investimenti a lungo termine. L’economia del dono non è solamente quella estrema che dà vita ad altra vita, come un cuore tolto ad uno che se n’è andato per una morte violenta. È anche il dono del tempo libero, ad esempio. Quest’economia del dono già regge questo paese. In tempi di crisi aggravata (anche se non siamo ancora messi male come la Grecia) se la cavano meglio quelli che hanno praticato l ’economia del dono: è lo scambio gratuito fra quelli che sono allenati alla fraternità. È la migliore tecnica di sopravvivenza. La fraternità, insomma, non è una virtù della morale, è un sistema di convivenza in momenti difficili.”

Erri De Luca – tratto da qui 

(grazie Cristina di Ferrara in Transizione per la segnalazione)

Risvegli: La ripresa

Anche nei media tradizionali si comincia a raccontare il mondo un po’ più per come è:

Nei prossimi cinque anni ci potrebbe essere una potenziale “tempesta perfetta” sui mercati finanziari, risultato di una combinazione di ingente bisogno di capitali delle società, deleveraging delle banche e difficoltà economiche di Stati Uniti e Eurozona. A lanciare l’allarme è l’agenzia di rating Standard and Poor’s nel report sul credito globale intitolato The Credit Overhang: Is A $46 Trillion Perfect Storm Brewing? stima che le società non finanziarie di Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Eurozona e Giappone avranno bisogno di 30mila miliardi di dollari di nuovo debito per rifinanziare i bond in scadenza e i prestiti erogati nel periodo pre crisi (le società europee contano per il 30%), più altri 13-16mila miliardi di nuovi capitali che si stima siano necessari per finanziare la crescita. Nel complesso quindi 46 trilioni di dollari (ovvero 35mila miliardi di euro).

Sole24Ore

Confindustria: ‘In Italia la ripresa si allontana: la domanda interna (specie i consumi) cala piu’ del previsto e l’export ha perso slancio rispetto a qualche mese fa, nonostante il commercio mondiale vada meglio’

Repubblica

Crisi: tempo di paure e opportunità

Venerdì 27 gennaio 2012 ore 21.00 a Caponago (MB): Seminario su “Tempi di crisi e trasformazione: Il nostro viaggio interiore tra paure e opportunità”, che tratterà il tema della nostra preparazione psicologica ad affrontare le possibili conseguenze dei cambiamenti e crisi in atto. Cambiamo il nostro punto di vista e scopriamo gli importanti valori e risorse, che possiamo recuperare dentro di noi per contribuire alla ricostruzione e alla solidarietà della Comunità.

Organizzato dalla Banca del Tempo di Caponago in collaborazione con Transition Italia.

Le idee che sono in giro

Agli angloabili con un po’ di tempo libero mi sento di consigliare l’ultimo video pubblicato sul blog di Rob Hopkins. È sempre molto interessante sentire quel che racconta nelle sue uscite pubbliche.

Il suo intervento a Sunrise Off Grid comincia con una citazione di Milton Friedman (economista USA) che mi pare davvero adatta questa fase:

Only a crisis—actual or perceived—produces real change. When that crisis occurs, the actions that are taken depend on the ideas that are lying around.That, I believe, is our basic function: to develop alternatives to existing policies, to keep them alive and available until the politically impossible becomes politically inevitable.

Solo una crisi – reale o percepita – produce veri cambiamenti. Quando una simile crisi avviene, le azioni che vengono compiute dipendono dalle idee che stanno circolando in quel momento. Questa, io credo, è la nostra funzione di base: sviluppare alternative alle politiche esistenti, mantenerle disponibili fino a che ciò che è politicamente impossibile diviene politicamente inevitabile.

Penso che in questo periodo, in cui il disfacimento del sistema si manifesta progressivamente sempre più visibile (e tangibile), l’idea di essere tra coloro che preparano strategie per il “politicamente inevitabile” possa essere di grande motivazione per tutti. Per chi sta sperimentando la Transizione, ma più in generale per tutti quelli che sono alla ricerca di modelli differenti e che fanno “circolare idee” che potranno essere raccolte al momento opportuno da tutti gli altri.

La disponibilità all’ascolto aumenta ogni giorno, e se guardate Repubblica di oggi, in prima pagina trovate un editoriale (di Zygmunt Bauman) che cita Tim Jackson e riflette abbastanza seriamente sul senso della crisi.

Entriamo in una nuova, interessante fase di passaggio, un’altra tappa della inevitabile transizione verso il futuro. Approfittiamo dei cambiamenti e spargiamo buone idee… sempre più persone ascolteranno, sempre più persone ne avranno bisogno.

Messaggio in bottiglia

L’infaticabile Rupo (secondo me ultimamente fa uso di sostanze eccitanti) ha tradotto dallo spagnolo un bel post di Antonio Turiel (ricercatore dell’Istituto per le Scienze Marine di Barcellona) apparso recentemente sul blog spagnolo The Oil Crash. Taglio drammatico, ma utile per fare il punto sulla situazione.

Pane e petrolio

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La BP, in Spagna (Valencia), regala un filone di pane a chi fa almeno 35 litri di benzina. Sì, avete capito bene, regala pane (solo se avete la carta punti BP eh..). Brutti segnali.

Via Petrolio

Petrolio e recessione

Una delle chiavi di lettura di questa epoca di “crisi” è quella di una stretta correlazione tra la fine del petrolio a basso prezzo e la recessione. Se si aggiungono a questi ingredienti tutti gli altri di cui spesso parliamo (picchi vari di ogni tipo, per altro strettamente correlati a quello del petrolio) otteniamo la “tempesta perfetta” che ci accompagnerà in questi anni.

Purtroppo, visto che tutti continuano ad aspirare alla crescita, sentirete raramente un economista di quelli che hanno accesso a televisioni e giornali, raccontare la storia in questo modo.

Su “Come Don Chisciotte” c’è la traduzione di un post di Euan Mearns pubblicato su The Oil Drum che potete leggere se vi sfugge la correlazione tra petrolio e crisi, se ancora non l’avete chiara penso sia il momento di togliersi il pensiero.

Il risveglio dei media: Wall Steet Journal

In questo grafico sono evidenziati i picchi di costo del petrolio (linea rossa) e le fasi di recessione economica (fasce verticali in azzurro più scuro). Traete voi le conclusioni.

Non sarà che il petrolio ha qualche cosa a che fare con la crisi economica? JUSTIN LAHART del Wall Street Journal si fa cogliere dal dubbio. Progressivamente la realtà riconquisterà l’attenzione degli esseri umani, persino dei giornalisti che si occupano di borsa ed economia, è fatale (se fosse prima sarebbe meglio, ma tant’è).

L’articolo è per angloabili, ma direi che non dice nulla di interessante per chi segue le vicende del picco del petrolio (quindi non state a fare la fatica di leggerlo). È importante invece che la consapevolezza, sia pure con una lentezza imbarazzante, avanzi. Se invece vi va di approfondire, vi consiglio questo articolo su TOD.

2011 – Comincia qui l’economia della felicità?

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Gli amici del Post Carbon Institute presentano oggi l’anteprima del nuovo film “The Economics of Happiness” un film di Helena Norberg-Hodge, Steven Gorelick e John Page con la partecipazione di Vandana Shiva, Bill McKibben, David Korten, Michael Shuman, Juliet Schor, Richard Heinberg, Rob Hopkins, Andrew Simms, Zac Goldsmith, Samdhong Rinpoche.

Prendo spunto da questo per riflettere sul fatto che, archiviati i primi 10 anni del secolo, questo potrebbe essere il decennio in cui l’umanità prende finalmente piena coscienza della situazione sociale, economica e ambientale che abbiamo prodotto e decide di riorganizzarsi attorno a nuovi concetti, nuove idee, nuove linee evolutive.

I prossimi anni

I prossimi 10 anni potrebbero essere meravigliosamente rivoluzionari o semplicemente terrificanti (o una delle sfumature intermedie possibili). Non serve un gran che tentare previsioni perché, come è sempre stato, il futuro siamo noi. Dipende da noi quello che succederà, dalle nostre scelte in tutti gli ambiti della nostra vita. Ma per cominciare a scegliere, primo passo è vedere il mondo per come è, e ora direi che si vede abbastanza bene.

La home page di ieri del Financial Times è piuttosto utile per fare il punto: il petrolio costa troppo, crisi alimentare già in corso, rischio debito per gli stati. Oggi trovate le stesse cose anche su Repubblica, trafilettino addirittura in prima pagina e pagine 8 e 9 all’interno (gli altri giornali italiani parlano solo di cashmere e amenità di politica interna). Sul Sole 24 Ore troviamo però un simpatico articolo sul fatto che gli USA sono a rischio di default, sì come Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia, Gran Bretagna, ecc. Ah, dimenticavo, Tremonti da Parigi dichiara: la crisi non è finita.

Che mi sto dimenticando? Mmmmm vediamo… ah sì, il clima. La situazione climatica è semplicemente sconcertante. L’Australia affoga, la fascia tropicale si è allargata, probabilmente abbiamo già condannato all’estinzione tutte le barriere coralline del mondo, il ghiacciaio Chacaltaya in Bolivia non c’è più (era lì da 18.000 anni) i dati (NOAA) sul metano in atmosfera ci dicono che sta aumentando pure lui (è un gas serra molto più potente del CO2). Tutto questo per dire che le conseguenze del riscaldamento globale sono già tutte qui, non cose di cui si preoccuperanno i nostri nipoti.

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