Continua…
La filiera delle orticole è molto più “semplice” necessita di molto più lavoro, ma di minori strutture, il primo anno abbiamo avuto la ventura di incontrare un “esperto perma-sinergic-orticoltore” che ci ha “aiutato” a fare l’orto, in pratica ci ha detto di stare lontani e di lasciarlo lavorare, per lavorare lavorava, anche troppo, dall’alba al tramonto scavava come un pazzo, inverno o estate, senza fermarsi un attimo, diciamo che aveva una gestione fantasiosa dell’orto, sono state scavate buche, alzate colline, formati laghetti e trincee con inserti artistici, il risultato era splendido, il lavoro immane, la produzione molto limitata, a distanza di quattro anni il suo orticello di 2500 metri quadri è una selva di erbe spontanee insidiosissime, che non ti permettono di vedere tutte quelle buche, trincee e fosse varie, dove, abbiamo scoperto ultimamente, giacciono i resti di vari imprudenti animali selvatici. Dal secondo anno con l’avvento di nuove forze (il primo orticoltore se n’è andato disgustato dalla nostra ignoranza, ma n’è arrivato un altro, che lavora ugualmente dall’alba al tramonto e trova una perdita di tempo insopportabile bere d’estate o slacciarsi una scarpa stretta anche se duole, con risultati da ricovero…) ci siamo avventurati in nuovi spazi strappando terreni incolti al degrado, abbiamo cominciato a colonizzare giardini privati e pendii impervi, abbiamo tralasciato solo le aiuole spartitraffico e le rotonde, grande lavoro, buoni risultati. Oggi abbiamo circa un ettaro di orti in quattro aziende diverse, due soci che ci lavorano e una produzione invidiata dagli altri orticoltori della valle. La necessità per il prossimo anno è quella di avere almeno due ettari nello stesso posto e magari qualche tunnel per allungare la stagione produttiva. La vendita del cosiddetto “fresco” (la frutta e la verdura) si è dimostrato fondamentale nei nostri banchetti e insieme al pane e alle farine rappresentano tutt’ora i nostri punti di forza. Oltre ai mercati abbiamo cominciato la distribuzione di cassette di ortofrutta, questo passo, oltre ad essere un notevole impegno logistico e organizzativo è un modo di differenziare e ampliare la nostra offerta di fronte alla comunità (dobbiamo sempre ricordare che il nostro primo obiettivo è ricreare una comunità sulla terra in cui vive). In tutte le nostre attività cerchiamo di differenziare le possibilità di ingresso al gruppo. Nella filiera del pane, per esempio, puoi avvinarci ed essere coinvolto perché ti interessano i grani antichi, il biologico, il biodinamico, visitare un mulino e scoprire come il panettiere fa il pane, seguire una lezione di panificazione o di pasta fresca, recuperare o spacciare pasta madre o semplicemente mangiare un pane che sa di pane (la critica più esilarante che abbia sentito sul nostro pane è che “si sente un po’ troppo il grano”).
L’ultima nata è la filiera del suino, è sempre stata la mia fissa, sono anni che giro gli allevamenti biologici d’Italia e d’Europa per lavoro, possibile che non riesca ad allevare suini a casa mia? Un mini allevamento nella valle c’era già, un verro e una scrofa in un piccolo allevamento all’aperto, una quindicina scarsa di suini grassi l’anno. L’allevatore è un amico, siamo così amici che ogni volta che mi promette della carne sono certo che mi riserva una qualche sorpresa, a Natale mi aveva promesso quattro maiali, ne è arrivato uno e mezzo, il mese scorso il mezzo maiale pattuito è andato ad altri, è l’ho saputo il giorno della consegna, con tutti gli amici che aspettavano. Ma non ci perdiamo d’animo, abbiamo progettato tre nuovi piccoli allevamenti da agricoltori che vogliono diversificare le produzioni e entrare nella nostra rete di produzione e vendita. Abbiamo coinvolto i colleghi dell’AUSL e stiamo già invadendo la valle con strani suini neri recuperati non so dove, un po’ Cinta Senese, un po’ Casertana, un po’ un mistero (sono belli e simpatici -vedi foto- ma sono così rustici che non cresceranno mai). Anche attorno a questa filiera abbiamo costruito una rete di relazioni, non solo agricoltori per produrre mangime e allevare suini, ma anche e soprattutto consumatori, sia famiglie che ristoratori con l’idea, già collaudata nelle altre filiere, di produrre in modo sostenibile (per tutti: ambiente, produttore e consumatore) alimenti di alta qualità provenienti dalla nostra valle.
La prossima filiera che organizzeremo (quando ne avremo le forze) sarà quella del vino, cercheremo di radunare i piccoli produttori d’uva per raggiungere una massa (d’uva) critica per vinificare per conto nostro… i viticoltori sono interessati, vedremo come si svilupperà.
Su tutto sono in vigore le regole della Transizione (anche se in realtà molti del gruppo ancora non sanno cos’è), l’importante è applicarle costantemente al vivere quotidiano e aiutarsi l’un l’altro a comprenderle meglio.
Un altro spicchio dell’attività Streccapogn è quella socio-educativa. Nella valle è attivo un infaticabile gruppo di educatrici/tori, abbiamo un elenco di attività formidabile e organizziamo incontri e laboratori per scuole di ogni livello, inoltre portiamo il nostro progetto, con conferenze e dibattiti, a tutte le comunità e i gruppi che lo chiedono. La parte sociale è in stretta relazione con una cooperativa sociale e i servizi sociali che ci permettono di gestire persone con handicap, migranti e a breve anche detenuti. In un progetto di comunità abbiamo il dovere di occuparci di tutti anche di chi dall’attuale società spesso viene emarginato.
Oggi dopo quattro anni di lavoro insieme, quando penso al gruppo eterogeneo di persone che lavora negli Streccapogn capisco che siamo solo i pionieri di un nuovo modo di agire, una prima linea che con la sua azione sta provando a offrire un alternativa credibile (economica, ambientale e sociale), la nostra funzione primaria si esaurirà quando con la nostra azione riusciremo a creare posti di lavoro a noi e a quelli arriveranno dopo, che consolideranno il nostro lavoro. Sono sempre più convinto che ogni persona abbia un momento e un luogo adatto per agire, ognuno di noi ha infatti capacità e limiti che lo caratterizzano. Il modo di far funzionare un sistema, è quello di lasciare che ognuno trovi la sua posizione e che sia libero di esprimere il suo potenziale. Vi auguro di intraprendere anche voi una esperienza del genere, non ci vogliono persone eccezionali, ci vogliono le giuste persone, alcuni con la capacità di vedere tutto il sistema in evoluzione, molti con la voglia di fare qualche cosa di diverso e di mettersi in gioco.
PS 1. Dimenticavo, sono Davide (http://montevegliotransizione.wordpress.com/progetto-alimentazione-sostenibile/ ), uno dei fondatori degli Streccapogn e primo “agente” della Transizione nel gruppo, nel quale col passare del tempo e con mio grande sollievo si sono aggiunti e si stanno aggiungendo altri amici Transizionisti.
Il nostro sito è http://www.streccapogn.org/ , è un po’ statico, abbiate pazienza.
la mia mail è davboch@hotmail.com se mi scrivete, abbiate pazienza anche qui, appena possibile vi risponderò.
PS 2. lo streccapogn è un radicchio selvatico (Crepis vesicaria) tipico delle nostre parti, con cui noi facciamo il meraviglioso pesto di streccapogn. Lo abbiamo scelto perché è tenace, resiliente e attaccato alla terra.
PS 3. Se volete una spiegazione a braccio, confusa e con una buffa voce nasale: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=elWeeTjdGq4 ringrazio Federico Carocci di Transizione Trevi che ha reso disponibile questa mia intervista (e mi ha regalato una stupenda foglia di streccapogn “galvanizzata”).