Perché usare S3

Mettete degli umani assieme a decidere qualcosa, a costruire un’organizzazione, a pianificare il futuro e molto probabile che combineranno guai, anche se armati delle migliori intenzioni del mondo e di tutta la possibile buona fede.

Perché? Perché il COME si decide di procedere in queste attività pesa in modo determinante sul COSA si finirà a fare. Sulla qualità del COSA, sulla sua reale rispondenza ai bisogni che si sono identificati.

Sinceramente ci ho messo un po’ a capirlo, modificare questo aspetto del sistema in modo parziale, ad esempio aggiungendo un po’ di facilitazione qui, un po’ di gestione dei conflitti là, un po’ di comunicazione non violenta… ecc. non basta. Serve qualcosa di più completo e potente, un vero e proprio modello di governance.

Anche dopo essere arrivato a quest conclusione ho dovuto però ammettere che un modello con le caratteristiche adeguate non lo vedevo in giro: fino a quando non ho scoperto la Sociocrazia 3.0.

È stato il mio primo incontro con qualcosa che mi sembrasse sufficientemente completo, flessibile e sul pezzo (efficace insomma). Come spesso accade con tutte le metodologie davvero potenti, è semplice e difficilissima nello stesso tempo: semplice nei principi, difficile nell’applicazione perché scardina i nostri consolidati meccanismi mentali di singoli e di gruppo.

Non contiene nulla di veramente nuovo (direi), ma una intelligente organizzazione di molti metodi noti. In pratica un’integrazione della Sociocrazia classica, Agile e Lean, ma con molte attenzioni e spunti che vengono dalla CNV (come anche James Priest mi ha confermato).

Questa combinazione permette di superare molti limiti delle singole metodologie arrivando ad avere un sistema davvero completo e adattabile a mille contesti e situazioni. Non sarà perfetto o definitivo, ma un bel passo avanti.

Va esplorato accompagnati e ci vuole un po’ di tempo a prendere confidenza, ma è davvero una svolta. A livello di rete internazionale Transition ha strutturato il suo modello di governance prendendo forte ispirazione da qui e, lavorandoci tutti i giorni da qualche anno, è facile ora rendersi conto dei tantissimi vantaggi e della profonda modificazione culturale che ha prodotto in noi.

Ora che l’ho provato per un po’ sulla mia pelle, sto facendo tanti esperimenti di trasferimento in altri contesti organizzativi, siamo agli inizi, ma mi pare che i risultati siano già molto incoraggianti. Vedremo più avanti come va.

Todo cambia…anche la famiglia

FAMIGLIE A GEOMETRIA VARIABILE Quali interventi per le nuove famiglie?
Bologna – Sabato 28 ottobre 2017, dalle ore 9,00 alle ore 18,00 presso il Centro Civico Borgatti in via Marco Polo, 51, Open Space Technology. Info : 331.122.888.9

La geometria della famiglia varia al mutare della società : monogenitoriale, omogenitoriale, allargata, polinucleare, di fatto, e tutta una serie di incredibili terminologie necessarie per ri-definire il concetto di famiglia.

Eppure, il nostro Stato sociale continua a pensare a beni e servizi rivolti quasi esclusivamente alla famiglia tradizionale.

Come promuovere e costruire nuove reti a supporto delle nuove famiglie?

Quali interventi per le nuove famiglie?

invece del classico convegno, Zoè Teatri, in collaborazione con Associazione Smallfamilies, per le famiglie monoparentali, Lame in transizione-Transition italia, propone un laboratorio partecipato secondo la modalità Open Space Technology ( O.S.T.).

L’agenda la svilupperemo insieme al momento : ciascuno potrà contribuire attraverso il proprio modo di essere, le proprie esperienze e conoscenze.

Programma della giornata : Continua a leggere

Fermarsi a riflettere

 

Non sempre ci prendiamo il tempo che servirebbe per interrogarci su quello che stiamo facendo, sul senso delle cose che ci girano attorno. In questi mesi il gruppo del Transition Network ha deciso di rielaborare la loro attività attraverso un periodo di riflessione profonda e di riconversione tra tutti i componenti della struttura.
Trovate in questo post di Sarah un riassunto di come questo processo si è svolto e nel filmato qui sopra Rob ha catturato le riflessioni personali dei partecipanti (tutto per anglofili), anche per chi non capisce la lingua, credo che il messaggio importante sia quello dell’importanza di fasi come questa.

AL1

Ecco il programma della Transition Fest

Ecco le prime anticipazioni sul programma della tr Fest 2015. Le altre info sono nella pagina dedicata.
La Fest’ continua a voler essere luogo di scambio per conoscersi, conoscere, celebrare e raccontare quello che ci è successo in questi anni e vedere i molti visi dietro i blog). Celebreremo quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato (c’è sempre tanto da imparare e insieme si fa prima). Ne usciremo ispirati, energizzati, con nuovi contatti e tante idee e progetti da provare e sviluppare. Il tutto in modo co-creativo e partecip-attivo, secondo un modello “caordico” (caos+ordine), cioè con un minimo di struttura di supporto (spazi e programma di attività) ma all’interno del quale regna assoluta libertà e responsabilità per chi partecipa in quanto a proposte di contenuti ed attività.

La Cura del Creato

Papa Francesco sembra fare sul serio. Dopo l’enciclica “Laudato sì“, Papa Bergoglio ha istituito in via permanente la “Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato“. Da quest’anno in poi, per tutti i cattolici (e per chiunque altro voglia celebrare) il 1° settembre sarà dedicato al nostro pianeta. Ora, sappiamo che la Transizione non aderisce ad alcuna fede religiosa né politica, ma collabora con chiunque abbia a cuore il destino dell’umanità e della biosfera.

Questo ritorno agli insegnamenti di San Francesco d’Assisi, con tutto ciò che questo comporta per un cristiano/cattolico, mi è quindi sembrata un’occasione eccezionale di collaborazione. Grazie a Papa Francesco, le distanze presenti fra religione e scienza sono state coperte quasi completamente, grazie a questa enciclica e a questo vigoroso sforzo di promuovere una visione sostenibile della nostra presenza sul pianeta, il Creato.
Continua a leggere

Contiamoci! – Biellese che cambia

Proprio una bella storia da raccontare e condividere. Il tutto nasce da un sogno all’interno di Biellese in Transizione da parte di un gruppo di persone che vorrebbero dedicarsi al progetto Reconomy per il territorio. Lavorano con il metodo del Dragon Dreaming per realizzare questo sogno collettivo. Un anno di incontri per consolidare il gruppo e avviare le prime iniziative e progetti, ma una delle aree di azione individuate rimane sempre lì …. “fare una mappatura” di quello che già succede e delle persone, gruppi ed idee che si mobilitano. Sono consapevoli dell’importanza ma mancano le risorse, soprattutto di tempo. Ma la provvidenza sembra sempre essere in ascolto e quando si chiede si riceve ….. “E così è arrivato a noi Roberto, che in origine aveva contattato il Transition Network per fare uno stage-lavoro presso Reconomy Totnes, ma tramite vari step alla fine approda a noi dando la sua disponibilità e preparazione come neolaureato in Economia a Torino. Gli facciamo quindi subito la proposta indecente: “che ne dici di aiutarci nella mappatura?”. Ed è subito un sì entusiasta. Da quel momento sembra di viaggiare sulle montagne russe: presentazione, contatti, progettazione dettagliata e quindi eccolo qui il progetto “Contiamoci! – Biellese che cambia”.

11270469_1430806263892953_81958117993245616_o

 

Roberto, che ha anche trovato subito in Edoardo, biellese e a Bologna per una parentesi di studio, un compagno di viaggio altrettanto motivato con il quale condividere questa fantastica esperienza. Partiranno il 13 giugno.

11103095_1431501580490088_3860558443137351772_o

50 giorni con bici, videocamera e taccuino per perlustrare le valli biellesi alla ricerca di “agenti di cambiamento” e raccontare le loro storie che costituiranno una bellissima storia collettiva di persone, imprese e associazioni che sognano e costruiscono un mondo diverso.

11243997_1430807387226174_2496199118687746503_o

Potrete seguire il viaggio di Roby e Edo sulla pagina FB dedicata e fare già da ora il tifo con tanti “like”. A breve si parte anche con il crowdfunding e ogni contributo sarà apprezzato e onorato. Grazie, grazie, grazie.

11136280_1431089483864631_7129611890248434633_o

 

 

Quest’estate: 2 Vision Quest in cantiere

Segnalo che per quest’estate sto co-organizzando 2 proposte di Vision Quest (ricerca della visione) in Piemonte (Valle Elvo – Biella).  Una è rivolta a giovani dai 16 ai 28 anni e l’altra per donne. E’ davvero un potente strumento di trasformazione che vorrei diffondere maggiormente in Italia.  E  per il futuro … mi sento ispirata a costruire un percorso specifico per comunità in transizione, ma ci devo ancora lavorare (e trovare il tempo per farlo).

Ecco quindi quello che bolle al momento in pentola:

Dal 5 al 27 luglio 2015: Prova di maturità nella natura – vision quest per giovani. 

CVA Jugend VQ 15 ital

 

Condotto da Shanti Petschel, Helen Schulz e staff della CreaVista Academy

Tre settimane intense e appassionanti nella natura Il seminario prevede un periodo di preparazione per i 3 giorni e le 3 notti introspettivi che saranno trascorsi in solitudine e a digiuno nel bosco o sulla montagna. Al rientro da questo prova di iniziazione, i giovani saranno ri-accolti nel cerchio per i 5 giorni di rielaborazione ai quali possono partecipare anche i genitori per celebrare e onorare la nuova maturità del ragazzo/a.

L’anno scorso hanno partecipato anche 2 ragazzi italiani al gruppo internazionale di giovani che arrivavano da Germania, Svizzera e Francia e speriamo che la italo-rappresentanza quest’anno sarà anche maggiore.  Vedi qui

Maggiori info qui

Dal 7 al 20 agosto: Forza selvatica e femminilità morbida – un Vision Quest per donne.

(Il materiale sul Vision Quest per donne è al momento in tedesco ma sarà sostituito con la versione italiana non appena questa sarà disponibile.) CVA 1- Frauen VQ 15

Condotto da Helen Schulz e staff della CreaVista Accademy

Con la luna e madre natura come alleate, le donne che partecipano ritroveranno se stesse e si confronteranno su quesiti che riguardano la loro essenza e eventuali pulsioni verso un cambiamento. 4 giorni di preparazione, 4 giorni di esperienza in solitaria nella natura e 4 giorni di rielaborazione. Intenso, nutriente e trasformante.

Maggiori info qui 

Entrambe le attività si svolgeranno in Valle Elvo (Biella) presso Eden Sangha, centro olistico e permaculturale in divenire, ubicato in un magnifico luogo ai margini con il selvatico.

Le lingue utilizzate saranno il tedesco, l’inglese e l’italiano.

Per maggiori informazioni: ellen.bermann(at)gmail.com, 392-9059542

6 innovazioni della Transizione Interiore che hanno cambiato la mia vita

Dal blog di Rob Hopkins
(traduzione di SVF)

Quando viaggio per incontrare gruppi in Transizione in luoghi differenti, le due cose che questi gruppi desiderano maggiormente conoscere tendenzialmente sono la REconomy e la Transizione Interiore. Mentre la REconomy sarà il soggetto del nostro prossimo argomento di discussione, questa settimana celebreremo la Transizione Interiore, e il varo della serie di nuovi films di Sophy Bank su questo soggetto.

Ecco il mio contributo, la celebrazione dei 6 modi in cui la Transizione Interiore ha trasformato la mia esperienza nel tentare di fare sì che il cambiamento accada. Non è da molto nel corso dell’evoluzione della Transizione di Totnes, 2006, che Hilary Prentice e Sophy Banks vennero a trovarmi a casa per discutere dei semi di ciò che sarebbe poi stato conosciuto come Transizione Interiore, o “il Cuore e l’Anima della Transizione”.

Ricordo poco dell’ora che passammo nella mia sala da pranzo, ma di certo ricordo che qualcosa risuonava istintivamente giusto. Il loro ragionamento era che ogni successo in un processo di Transizione, avesse bisogno tanto della vita interiore delle persone e dei gruppi che lo facevano accadere (con attenzione alla salute del gruppo, dinamiche e resilienza), quanto dei pannelli solari, carote e Piani di Decrescita Energetica. E aveva davvero senso. E continua ad averne tantissimo oggi: perciò così tante persone vogliono saperne di più a proposito. Nove anni fa, il concetto di Transizione Interiore correva all’interno della Transizione come un filo d’oro ( sebbene più in certi posti che in altri ).

La Transizione è sempre stata sulle spalle di tanti grandi movimenti che l’hanno preceduta, e ha provato ad imparare, dove possibile, dalla loro esperienza. Esaurimento (burnout) e conflitto sono stati a lungo il tallone di Achille dell’attivismo dal basso. Per esempio, tra gli attivisti dediti alle manifestazioni di strada so che il burnout, spesso sottoforma di profondo cinismo e rassegnazione, era largamente diffuso. Progetto dopo progetto, che si trattasse di permacultura, attivismo comunitario di vario genere, od ogni sorta di ambiziosi sforzi per cambiare il mondo, collassava sotto il peso del conflitto e della povertà di comunicazione, schiacciato inevitabilmente dal peso collettivo dei tanti “elefanti senza nome” presenti nella stanza. La Transizione sentì che era troppo importante per non sforzarsi di imparare da tutto questo.

Quindi ecco qui la mia selezione dei 6 outputs estratti dal lavoro sulla Transizione Interiore di Sophy , Hilary e altri da cui ho beneficiato, o che hanno trasformato la mia esperienza del fare Transizione:

1-Home Groups

Una delle prime evidenze di ciò di cui divenni consapevole furono gli Home Groups, i precursori delle Transition Streets, dove piccoli gruppi auto-facilitanti si incontravano per darsi supporto l’un l’altro, supporto che poteva essere personale o pratico. Il pacchetto di risorse degli Home Groups, offriva consigli concernenti il buon ascolto, tanto quanto i consigli sul risparmio energetico. Questo stesso approccio era largamente diffuso in altri movimenti di crescita di consapevolezza, come quelli sulle donne, diritti civili e movimenti pacifisti.

Gli Home Groups davano ai loro membri uno spazio per “digerire” informazioni preoccupanti e le loro implicazioni e per elaborarle, costruendo solidi rapporti e celebrando i successi insieme ad altre persone. Molti gruppi si formavano in occasione di una serata evento organizzata da un gruppo, altri prendevano il via tra le persone che assistevano alle mie lezioni serali, col chiedersi cosa avrebbero potuto fare dopo. Gli Home Groups erano un’idea che mai mi sarebbe venuta in mente. Furono uno dei contributi chiave della successiva riuscita delle Transition Streets, e le condizionò profondamente quando ci sedemmo per lavorare alla nostra prima bozza di progetto. Cosa che Naomi Klein ha colto in un suo recente evento live del Guardian: “ è qualcosa che il movimento femminista ha fatto bene, e tantissime persone nel movimento della Transizione dedite alla Transizione Interiore, provengono da movimenti femministi, perché c’è una comprensione del fatto che se stai per far collassare la visione che la gente ha del mondo, devi restare nei paraggi a raccogliere i pezzi”.

2-Mentoring (sostegno, tutoraggio)

Un altro elemento della Transizione Interiore che si è rivelato veramente potente è l’idea del Mentoring. Come avrete probabilmente notato, “fare” la Transizione può essere veramente estenuante, stressante e drenare le energie (così come può essere esilarante, ispirante, ed energizzante). Ci sono volte in cui un’ iniziativa di Transizione finisce sotto molta pressione. Circa 4 anni fa, Transition Town Totnes fu bersagliata da un media locale, nel mirino finimmo io ed un altro membro del gruppo. Fu profondamente stressante, preoccupante e durante quel periodo il mentoring è stato enormemente importante. È stato di grande aiuto nel mantenere le strategie di autodifesa e nel non prendere niente a livello personale.

Il progetto di Mentoring di Totnes consiste, in sostanza, in un gruppo di consiglieri, consulenti e terapisti che offrono gratuitamente il loro tempo a coloro che operano all’interno del nostro centro. Questo lavoro è il soggetto di uno dei nuovi video sulla Transizione Interiore (vedi link qui sotto). Per me, ha fatto un’enorme differenza. Avere uno spazio protetto dove si possa discutere delle proprie paure, preoccupazioni, paura del fallimento, e a volte anche paura del successo (!) si è rivelato un potente antidoto all’esaurimento. Non potrò mai raccomandarlo abbastanza.

3 – Essere e Fare

Un’altra evoluzione della Transizione Interiore che si è dimostrata una rivelazione, è stato definire una distinzione tra essere e fare. Io sono uno che fa. Io faccio cose. Molti di quelli coinvolti nella Transizione sono così. Viviamo in una cultura che tende a valorizzare unicamente il fare. Generalmente ci si aspetta che si portino solo testa e mani sul posto di lavoro, e che si lasci la restante parte di noi al di fuori. Qualsiasi preoccupazione riguardo la nostra vita privata, lo stato del pianeta, le nostre speranze e sogni, vengono tutte lasciate a casa. Questa separazione è profondamente malsana e, nella Transition Network , uno dei modi con cui ce ne occupiamo, è quello di alternare le nostre riunioni mensili tra incontri incentrati sull’essere ed incontri incentrati sul fare. Gli incontri sul fare sono focalizzati su questioni pratiche, piani di lavoro, aggiornamenti sul lavoro di ciascuno e così via.

Gli incontri sull’Essere sono spazi di riflessione che invitano a riflettere su “Come stiamo?” e “Come stiamo lavorando insieme?” Quando ognuno lavora per raggiungere degli obiettivi e fare accadere delle cose, questo è un validissimo approccio, creare spazi per fermarsi, verificare e riflettere. Non riesco a immaginare come le persone riescano a gestire delle organizzazioni senza far questo.

4 – Checking in (Come stai?)

Questo punto viene percepito ora come un qualcosa che semplicemente facciamo e non come una innovazione o quant’altro. Non ricordo di averlo visto in precedenza nelle organizzazioni di cui ho fatto parte, ma posso chiaramente osservare la differenza che fa. Sono coinvolto anche in un altro progetto riguardante la comunità, uno di quelli quasi completamente incentrati sul fare e, recentemente, colto da esasperazione, ho suggerito di introdurre i check ins nei nostri incontri di lavoro.

La ragione che sentivo così stringente era che le persone stavano portando questioni, stress, e preoccupazioni provenienti dai giorni al di fuori delle riunioni, e che queste cose non dette dominavano gli incontri . Non c’era un meccanismo grazie al quale le persone potessero rendersene conto e quindi parcheggiare i loro stress in modo tale da potersi concentrare solo sull’incontro in sé. Se qualcuno sta avendo un momento difficile, gli altri presenti possono percepirlo e risentirne, così si affondano le capacità di procedere insieme in quello su cui si sta lavorando. Abbiamo introdotto i check ins (Come stai?) all’inizio dei nostri incontri e fanno un’enorme differenza. Secondo le attività della Transition Network’s ‘Inner Transition riguardo le linee guida degli incontri, potete anche proporre una delle seguenti domande: Qualcosa che stai gustando di questa parte dell’anno Qualcosa che ami del posto in cui vivi Qualcosa che ti piacerebbe trasmettere alle future generazioni Qualcosa per cui sei grato Qualcosa di bello che ti è capitato dall’ultimo incontro Qualcosa che hai imparato da un anziano Qualcosa di creativo che fai Un posto che ami in natura …e tutto questo fa veramente la differenza.

5 – Il valore del Custode

In Transition Network, abbiamo cominciato un paio di anni fa a introdurre, all’inizio di ogni riunione, le figure dei tre Guardiani per supportare il ruolo del facilitatore o di chi presenzia l’incontro. Questo ci deriva dall’esperienza degli incontri Nazionali, dove li abbiamo visti usare con ottimi effetti. Essi sono il Guardiano della Memoria (che prende nota e registra in qualche modo l’incontro), il Guardiano del Cuore ( che tiene un occhio alle persone, ai cali di energia, a qualsiasi tensione o questione carica che abbia bisogno di essere definita, e così via), e il Guardiano del Tempo (che si assicura che venga rispettata la tabella di marcia). Negli incontri che includono partecipanti che assistono via Skype abbiamo aggiunto il Guardiano delle Tecnologia. Definire questi ruoli all’inizio degli incontri significa mettere in campo una struttura che può grandemente assicurare lo svolgersi della serata fino al dispiegarsi di tutto il suo potenziale. È una sorta di pratica della mindfulness (disciplina meditativa della mente) e fa una grande differenza.

6-Digestione

Ho menzionato quanto la “digestione” sia utile nel contesto degli Home Groups. Ma è uno strumento altrettanto utile in altre situazioni. Ad esempio quando presentate alle persone un sacco di grandi idee e informazioni potenzialmente angoscianti, avete il dovere di preparare per loro uno spazio in cui poterle digerire. Uno dei modi in cui uso questa idea è quando sto tenendo dei talks. Piuttosto che passare direttamente dalla fine del mio discorso alle domande e risposte, invito sempre i presenti a rivolgersi verso le persone al loro fianco per dibattere se ci sia qualcosa di particolarmente sorprendente, inquietante o ispirante nel discorso da me tenuto, come si sentono, e quali domande faccia sorgere in loro. Così facendo, quando poi entriamo nel vivo delle domande, queste sono molto più ricche, pertinenti, e illuminanti. Ho recentemente tenuto un discorso prima del quale un vecchio signore infuriato, con le guance rosse di rabbia, era intervenuto con la domanda “ Cosa farai per l’immigrazione?”.

Abbiamo avuto un’ interessante discussione sull’argomento ( partita col il mio mettere in chiaro che non c’era realmente molto che io potessi fare anche volendo), ma quando ho iniziato a parlare era chiaro che fosse ancora carico dall’argomento e sul punto di scatenare un dibattito pubblico. Quando ho finito di parlare ci siamo presi 5 min di digestione, dopo di che la sua fu la prima mano ad alzarsi. Rassegnato all’inevitabile domanda riguardo quanto realistico sia fare Transizione in una nazione innondata da emigranti, lui invece chiese a proposito dei muri costruiti in paglia.

Questi sei punti sono solo una piccola selezione dell’innovazione della Transizione Interiore e di ciò che ho in particolare osservato nel corso della mia esperienza di fare Transizione, e possono essere ricondotti al quel primo incontro con Sophy e Hlary. Ce ne sono senza dubbio molti altri che non sono stati menzionati qui, o dei quali io non sono consapevole. E certamente di molti di essi abbiamo già fatto esperienza sotto una forma o l’altra, per questa ragione non sto dicendo che essi siano nuovi, ma solo che erano nuovi per me. Come gran parte delle cose migliori della Transizione, la Transizione Interiore ha portato con sé un invito ad innovare, invito che è stato accolto da iniziative sparse in tutto il mondo. Per me, Transizione Interiore, al meglio della sua espressione, è profondamente pratica. Ha trasformato la Transizione in qualcosa che si sente supportato, sorretto e che vede la resilienza nel senso più ampio del termine. Comunità resilienti hanno bisogno d’individui resilienti e di gruppi resilienti, che vedano l’ essere capaci di prendersi cura l’un dell’altro come parte essenziale del proprio essere capaci di prendersi cura del mondo.

Tutto questo è troppo importante per poter rischiare che venga schiacciato dal peso di quegli elefanti nella stanza. Ben più utile è avere il mezzo per fare con loro amicizia e portarli con noi a spasso nel parco. Chiuderò con il quarto video della serie sulla Transizione Interiore che è stato mostrato questa settimana, in cui Sophy Banks and Hilary Prentice riflettono sulla storia della Transizione Interiore:

Avviare un’Impresa di Transizione

Ciao a tutt*, poiché presto si terrà a Bologna un seminario sulla RiEconomy italica, ho pensato che sarebbe stato interessante avere un’idea di quanto sta succedendo nella “astronave madre” inglese e se può esserci in qualche modo di ispirazione. Buona lettura e buon anno a tutt*.

Da “Reconomy Project”. Traduzione di MR (h/t Federico Carocci)

Questo è il primo post di una serie sul processo di avvio di un’Impresa di Transizione. Su questo blog tenteremo di definire una Impresa di transizione e di guardare i primissimi stadi del “viaggio” in_the-_beginning2-352x198di start-up. Il nocciolo di questo post, e di quelli a seguire, formeranno una guida scaricabile per far partire un’Impresa di transizione che sarà disponibile all’inizio del 2015.

Cos’è un’Impresa di Transizione?

Negli ultimi anni c’è stata un’impennata delle Imprese Sociali, che commerciano a scopo sociale e reinvestono i propri profitti principalmente nell’impresa stessa. Un’Impresa di Transizione è semplicemente un tipo di Impresa Sociale che, mentre si occupa della sostenibilità dell’impresa, tende ad essere ancorata alla comunità locale e a soddisfare un qualche bisogno importante. Molte imprese commerciano a scopo sociale ma sono ancora una parte attiva di un sistema economico che sta degradando il nostro ecosistema e, mentre possono dimostrare una sostenibilità finanziaria, il loro utilizzo di risorse in particolare è insostenibile.

TE Principles

Principi di IT: suggeriamo che questi principi siano di ispirazione, scelti ed auto-valutati – non un qualcosa che richiediamo che ogni singola impresa abbracci sin dall’inizio. Questo non deve essere inteso come uno schema certificato.

Principi di IT: suggeriamo che questi principi siano di ispirazione, scelti ed auto-valutati – non un qualcosa che richiediamo che ogni singola impresa abbracci sin dall’inizio. Questo non deve essere inteso come uno schema certificato.

Un’Impresa di Transizione (IT) è un’entità commerciale finanziariamente fattibile* che soddisfa un reale bisogno della comunità, fornisce benefici sociali ed ha impatti ambientali benefici, o perlomeno neutri.

* fattibilità significa che perlomeno soddisfi i costi e significa che si può praticare lo scambio di cose che non siano denaro. Continua a leggere

La Banca d’Inghilterra indaga i rischi di una “bolla del carbonio”

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Inchiesta per valutare le possibilità di un collasso economico se le regolamentazioni per il cambiamento climatico rendessero i beni di carbone, petrolio e gas privi di valore

Vista aerea delle sabbie bituminose a Fort McMurray, Alberta, Canada. Se viene raggiunto un accordo globale per limitare le emissioni di carbonio per i 2°C, le riserve di carbone, petrolio e gas non potrebbero essere bruciate. Foto: Alamy

Di Damian Carrington

La Banca d’Inghilterra sta per condurre un’indagine sul rischio che le società di combustibili fossili causino un grande collasso economico se le future regolamentazioni sul cambiamento climatico rendessero i beni di carbone, petrolio e gas privi di valore. Il concetto di una”bolla del carbonio” si è guadagnato un rapido riconoscimento dal 2013 e viene preso in considerazione sempre più seriamente dalle grandi società finanziarie, comprese Citi Bank, HSBC e Moody’s, ma l’indagine bancaria è finora il riconoscimento più significativo da parte di un istituto regolatore. La preoccupazione è che se i governi del mondo adempiono ai loro obiettivi accordati di limitazione del riscaldamento globale a +2°C tagliando le emissioni di carbonio, allora circa 2/3 delle riserve provate di carbone, petrolio e gas non possono essere bruciate. Essendo le società di combustibili fossili fra le più grandi del mondo, forti perdite del loro valore potrebbero indurre una nuova crisi economica.

Mark Carney, il governatore della banca, ha rivelato l’indagine in una lettera al comitato per il controllo dell’ambiente (EAC) della House of Commons, che sta conducendo la propria indagine. Carney ha detto che c’è stata una discussione iniziale all’interno della banche sui beni di combustibili fossili “immobilizzati”. “Alla luce di queste discussioni, approfondiremo ed amplieremo la nostra indagine sull’argomento”, ha detto, coinvolgendo il comitato di politica finanziaria che ha l’incarico di identificare i rischi economici sistemici. Carney ha sollevato il problema ad un seminario alla Banca Mondiale in ottobre. La notizia dell’indagine della banca giunge nel giorno in cui si aprono i negoziati per l’azione sul cambiamento climatico a Lima, in Perù, e mentre una delle società energetiche europee più grandi, la E.ON, ha annunciato che stava per scorporare gli affari legati ai combustibili fossili per concentrarsi sulle rinnovabili e sulle reti. L’IPCC dell’ONU ha recentemente avvertito che il limite di emissioni di carbonio coerente con i +2°C si stava avvicinando e che l’energia rinnovabile dev’essere perlomeno triplicata.

“I politici ed ora le banche centrali si stanno svegliando rispetto al fatto che gran parte del petrolio, carbone e gas delle riserve mondiali dovrà rimanere nel sottosuolo, a meno che la cattura del carbonio e le tecnologie di stoccaggio non possano venire sviluppate più rapidamente, ha detto Joan Walley MP, che persiede la EAC. “E’ tempo che gli investitori riconoscano anche questo e mettano in conto l’azione per il cambiamento climatico nelle loro decisioni sugli investimenti in combustibili fossili”, ha detto la Walley al Financial Times. Anthony Hobley, amministratore delegato del thinktank Carbon Tracker, che è stato importante nell’analisi della bolla del carbonio, ha detto che l’ultima mossa della banca potrebbe portare a cambiamenti importanti. “Le società di combustibili fossili dovrebbero rivelare ora quante emissioni di carbonio sono racchiuse nelle loro riserve”, ha detto. “Al momento non c’è alcuna coerenza nei rapporti, quindi è difficile per gli investitori prendere delle decisioni informate”. ExxonMobil e Shell hanno detto all’inizio del 2014 che non credevano che le loro riserve di combustibili fossili sarebbero state immobilizzate. A maggio, Carbon Tracker ha riportato che oltre 1 trilione di dollari viene attualmente scommesso in progetti petroliferi ad alto costo che non vedranno mai un ritorno se i governi del mondo adempiono ai loro impegni sul cambiamento climatico.

Funzione Energia: com’è andata a Roma

Funzione energia

Preambolo per chi non avesse seguito le puntate precedenti.

Mercoledì scorso siamo stati a Roma a fare la prima “uscita pubblica” del seminario sulla Funzione Energia per gli Enti Locali (Comuni, Unioni di Comuni). L’iniziativa era organizzata da CURSA con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente ed era dedicata ad amministratori e tecnici.

Questo lavoro di ricerca lo stiamo facendo sotto la sigla PSTE (Polo Strategico per la Transizione Energetica), un raggruppamento informale di tre soggetti, CURSA, ANCI ER e Transition Italia, che cooperano per sviluppare metodologie di approccio all’immenso problema della transizione verso modelli sociale ed economici circolari, sostenibili e resilienti.

La sfida

Chi frequenta questo blog sa che un passaggio epocale di questo genere non si può fare se non in modo sistemico e producendo cambiamenti profondi dentro e fuori di noi esseri umani.

La domanda è: se questo è gestibile a livello di relazioni interpersonali e di gruppi è possibile tradurre questo tipo di percorsi a livello istituzionale, partendo da quello che c’è? Partendo quindi dall’attuale apparato legislativo, organizzativo, infrastrutturale. Si può fare o si tratta di pura utopia? Lungi dall’avere risposte definitive possiamo dire che, certamente, si può provare. E infatti ci stiamo provando.

Funzione Energia2 Continua a leggere

Immaginiamo un quartiere felice a Catania dal 4 al 6 Dicembre al Festival della Felicità Interna Lorda

Questo laboratorio si ispira alle Città di Transizione e al percorso della “Ri-economy”, che promuove un’imprenditoria locale, resiliente e portatrice di benessere sul territorio. Durante il Fil Festival Festa della Felicità Interna Lorda, proveremo a costruire, guidati da Deborah Rim Moiso, un “quartiere felice” che risponda ai nostri bisogni e rifletta le nostre aspirazioni.

fil

 

Quest’anno abbiamo scelto di dedicare il FILfest al tema delle Città Felici.
Vorremo tornare a riflettere sul nostro modello di sviluppo urbano, per capire come valorizzare un patrimonio relazionale capace di determinare il benessere delle persone, nei luoghi di lavoro come nella vita sociale e familiare.

Anche quest’anno il festival sarà auto finanziato, per sostenere il progetto potete fare una piccola donazione attraverso questa piattaforma

http://buonacausa.org/cause/filfest#.VEOHo6Ab8-Q.facebook

Il programma completo del Festival lo trovate qui:

http://www.filfest.org/?page_id=293

Ci vediamo a Catania, a presto!

Rob a Bologna, visto da Rob

Stretta di mani col Sindaco di Bologna

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

 

Sono appena tornato da una due giorni dentro e nei dintorni della bella città di Bologna, in Italia, dove ho partecipato ad una serie di eventi che mi hanno dato l’impressione di aver generato una buona attrattiva efficace intorno alla Transizione. L’Italia si trova in un momento interessante, ad un bivio. Il suo governo sta proponendo un nuovo disegno di legge per aprire il paese al fracking e alle trivellazioni in mare per petrolio e gas, sostenendo che questo è ciò che permetterà alla pessima situazione economica del paese di riprendersi. C’è molta opposizione a questo, quindi parte della mia speranza riguardo al viaggio era di essere in grado di esporre una strada alternativa, di mostrare cosa può offrire la Transizione a queste discussioni.

Dato che l’Italia non ha nessuna crescita e che la situazione sta peggiorando, forse piuttosto che aprire il paese all’estrazione da parte delle compagnie del fracking e ai dirigenti petroliferi, potrebbe essere che invece essa diventi consapevolmente la prima economia post crescita del mondo? E’ senza dubbio più adatta di molti altri paesi europei a fare questo, con una maggiore risorsa di energia solare e sta già generando molta energia rinnovabile. La sua cultura del cibo locale è probabilmente più intatta che in gran parte dei paesi europei. Potrebbe modellare il futuro al quale inevitabilmente dovremo passare.


Ma l’Italia, come mi hanno ricordato tutti ovunque sia andato, “è molto complicata”. Il suo sistema politico è di una confusione sconcertante, con governi di coalizione che cambiano con regolarità allarmante, con partiti politici fortemente trincerati e felici di fare qualsiasi cosa per minarsi fra loro e il senso che, come mi ha detto Cristiano Bottone di Transition Italia, “qualsiasi cosa tu voglia fare come gruppo di Transizione, da qualche parte c’è una legge che lo impedisce”.

Quindi la comune esperienza delle persone è che fare avvenire il cambiamento è molto difficile e che le possibilità, e il sistema, sono tutti contro. Eppure la diffusione della Transizione in Italia, e il modo abile con cui hanno costruito le connessioni con le persone in molti dei luoghi in cui gli ostacoli possono essere rimossi, è un vero indicatore del fatto che forse c’è un altro modo di far accadere le cose.

E’ stato questo lo sfondo del mio viaggio a Bologna, provare a ispirare e coinvolgere le persone in alcune delle istituzioni chiave che potrebbero aiutare ad accelerare realmente le cose a Bologna, che probabilmente è la città più progressista d’Italia ed è il luogo in cui è più probabile che un tale approccio possa radicarsi.

Essendo arrivato in treno, ho cominciato il martedì mattina alla Sala Centro Fiori in città con un incontro per studenti ed insegnanti da 5 diverse scuole di Bologna e dintorni. Alcuni erano studenti di agraria, ma anche di diversi altri indirizzi. Erano circa 300 e si è rivelata essere una sessione affascinante.

Ho parlato in particolare di Transizione e cibo e come dovrebbe essere una nuova cultura del cibo. Erano tutti attenti, hanno posto alcune domande interessantissime e mi hanno applaudito quando ho parlato di coltivare funghi sui fondi di caffè! (Immagino che Bologna produca molti più fondi di caffè di Exeter, il luogo da cui proviene l’esempio che ho usato …). Ecco il video di quella conversazione:

https://www.youtube.com/watch?v=DaRGmI4BthY

Dopo la conversazione, molti studenti si sono raccolti intorno a me per sapere come potevano iniziare a fare Transizione nelle loro scuole. Gli insegnanti hanno parlato delle cose che stavano già succedendo e come piacesse loro l’idea di mettere tutto insieme nell’idea di una Scuola in Transizione. Sono rimasto davvero toccato dal livello di entusiasmo fra i ragazzi, molto stimolante.


Poi con Cristiano Bottone di Transition Italia, la mia splendida interprete Deborah e Glauco, il nostro autista di San Lazzaro Citta’ di Transizione, ci siamo diretti alla mitica Monteveglio, il luogo di nascita della Transizione in Italia. Un bel paesino ai margini di un parco nazionale, la mia prima impressione è stata come fosse fresca e deliziosa l’aria.

                                                                 Monteveglio

Dopo un pranzo delizioso che comprendeva una deliziosa schiera di cibi locali e la prima volta che ho visto tartufi veri raccolti quella mattina nel bosco, ci siamo diretti alla Sala Consorzio Vini, uno splendido edificio ai margini del paese, per un incontro informale con molti Sindaci italiani e funzionari di autorità locali che stanno lavorando, a livelli diversi, per integrare la Transizione nel loro lavoro. A quell’incontro siamo rimasti tutti d’accordo di incontrarci di nuovo e di rimanere in contatto in modo regolare, un passo importante per il loro lavorare insieme. Poi siamo passati alla modalità intervista, facendo un sacco di interviste per la RAI TV,la BBC italiana (troppo buono Rob, ndt.), per un documentario che faranno sulla Transizione così come con l’Italia Che Cambia.

 

La parte finale della giornata è stata, essendoci riavviati verso Bologna, un raduno transizionista di persone che fanno Transizione in città e nei dintorni. E’ stata una festa di celebrazione, con una deliziosa cena condivisa, dell’ottimo vino e birra locale, dove ho incontrato delle persone splendide. C’è stata anche una performance teatrale ispirata alla Transizione, musica ed altre forme di giochi collettivi molto divertenti. Verso le 10, essendomi svegliato alle 5 quella mattina senza aver dormito bene sul vagone letto, le palpebre hanno cominciato a scendere e mi sono diretto al B&B in cui alloggiavo.

Divertimento improvvisato con diverse persone della Transizione Bolognese…

Divertimento improvvisato con diverse persone della Transizione Bolognese…

Era una stanza splendida in cui risvegliarsi. Proprio in cima di una casa alta, si godeva della vista della città, sui sui tetti, le chiese e le torri per le quali la città è famosa. Grazie alla mattinata molto limpida, è stata una gran bella vista. Il primo evento della giornata era alla Sala Farnese, in Municipio a Bologna, un palazzo incredibile. Amo i vecchi palazzi e questo era davvero bello.


 

Si entra da una serie di grandi scalinate con strane pietre lungo ogni scalino che era, mi hanno spiegato, perché erano state progettate nel periodo medievale per permettere alle persone di salire e scendere a cavallo. Soffitti dipinti in modo incredibile, affreschi antichi. L’evento si chiamava “Verso una società low carbon” e si è tenuto in una bella sala con affreschi, dipinti antichi ed un soffitto molto alto.

Soffitti medievali dipinti incredibilmente belli in Municipio

 

Soffitti medievali dipinti incredibilmente belli in Municipio

L’incontro è stato presentato dal Sindaco di Bologna, Virginio Merola, ecco il suo discorso:

Poi ci sono stati alcuni relatori dell’Università di Bologna che hanno a loro volta dato una mano ad impostare il contesto: Dario Braga, Patrizia Brigidi e Alessandra Bonoli. Ecco Dario Braga:

Cristiano ha fatto un’introduzione e quindi ho parlato io per circa 40 minuti, dopo di che sono seguite molte belle domande e risposte. Ecco il video di quel discorso.

C’era molto brusio in sala, sembrava che la gente fosse molto stimolata ed entusiasmata. In seguito ho incontrato un sacco di gente. Poi, una volta che il tutto si avviava alla conclusione, mi sono avviato all’uscita con diverse persone di Transition italia per una pizza in un ristorante biologico locale di Bologna, in effetti molto buono, devo dire.

Sull’antica scalinata costruita per il passaggio dei cavalli con diversi membri di Transition Italia

Sull’antica scalinata costruita per il passaggio dei cavalli con diversi membri di Transition Italia

L’evento pomeridiano si teneva all’Università di Bologna, l’Università più antica del mondo. Di recente hanno dato inizio un’iniziativa chiamata ‘Alma Low Carbon’, una “squadra di ricerca integrata” che mette insieme diversi dipartimenti per, come dicono loro stessi, “lo scambio e l’integrazione delle competenze della nostra Università nei campi della riduzione delle emissioni di CO2 e dei gas climalteranti”.

Discorso all’Università

Billy Connolly?

Discorso all’Università

Il mio discorso si è focalizzato su “come potrebbe essere un’Università in Transizione?” Ho fatto una riflessione sul fatto che nell’Università in cui sono andato, dove studiavo sostenibilità, c’erano solo erba e cemento e non rappresentava in alcun modo quello che stavamo studiando. Come sarebbe stata, ho chiesto, se un’Università fosse una vetrina, incorporando ad ogni livello gli approcci della Transizione?

Insegnerebbe in modo diverso, si relazionerebbe diversamente, con la comunità userebbe i suoi appalti in modo diverso, produrrebbe la propria energia e così via. Quando il tutto è finito, ci siamo diretti fuori verso l’aria fresca della sera, siamo passati di fianco ad una statua in un corridoio dell’Università che sembrava di Billy Connolly, e quindi è cominciato il lungo viaggio di ritorno a casa.

Colonnato illuminato in modo splendido sulla via per la stazione

Colonnato illuminato in modo splendido sulla via per la stazione

Lascerò a questa citazione da un post sul blog de l’Italia Che Cambia le ultime riflessioni sul viaggio:

Che dire di questa visita? La tela di relazioni che sta nascendo, il positivo interesse di istituzioni di livello nei confronti dell’idea della Transizione e il grande riscontro che essa ha avuto fra i ragazzi di scuole e università, sono tutti aspetti che confermano la bontà del percorso fatto sinora e pongono ottime basi per un ulteriore salto di qualità, che – come sta già avvenendo in Gran Bretagna e in molti altri paesi – abbia la capacità di mettere a sistema il lavoro dei tanti agenti del cambiamento in Italia. Ma ciò che forse ci ha rincuorato e rinvigorito di più sono state la simpatia, l’umiltà e la grande positività che Rob Hopkins è stato capace di portare fra noi, facendoci cogliere, al di là di studi e progetti, la vera essenza della Transizione.

Grazie a tutti coloro che sono venuti, a chi ha organizzato, a Deborah, la Traduttrice di Transizione, a Glauco per i passaggi, a Cristiano per tutto il lavoro organizzativo, al mio ospite, a tutte le persone meravigliose della Transizione che ho incontrato per il grande lavoro che stanno facendo e all’Università per l’invito.

Carote in mezzo al cemento: il ruolo dell’agricoltura urbana

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

 

Mentre gli architetti e gli sviluppatori pianificano nuove evoluzioni, pensano sicuramente a strade parcheggi e impronte ma pensano anche a piantagioni produttive, al ruolo degli orti sui tetti ed alla biodiversità? Quasi sicuramente no. Avendo visto alcune grandi iniziative di agricoltura urbana negli ultimi due anni, questo sembra un peccato per due ragioni. Primo perché l’agricoltura urbana sta rapidamente prendendo piede, quindi lasciandola fuori vengono lasciati indietro – e secondo perché stanno progettando per un futuro che ne avrà molto bisogno. L’agricoltura urbana è l’avanguardia. E’ ciò di cui abbiamo bisogno adesso.

Per inserire l’agricoltura urbana, e il suo potenziale, nelle nostre discussioni di questo mese su “Re-immaginare il Sistema Immobiliare”, cosa c’è di meglio che parlare con André Viljoen e Katrin Bohn, architetti, accademici ed autori del libro recentemente pubblicato Seconda Natura: progettare città produttive. Il loro primo libro, Paesaggi Produttivi Urbani Continui (PPUC), pubblicato nel 2004, mette il concetto dell’agricoltura urbana nell’agenda della professione dell’architetto. Le cose sono cambiate molto da allora. Li ho raggiunti su skype poche settimane fa. Come mi ha detto André, la reazione quando 10 anni fa hanno proposto agli editori un libro sull’agricoltura urbana è stata “agricoltura? Noi facciamo architettura”!

Il cambiamento da quando è uscito PPUC è stato notevole. Per esempio, la città di Berlino ora ha adottato una strategia urbana che vuole ospitare panorami produttivi e molte delle storie di come si sta diffondendo nel mondo sono catturate nel libro (alcune iniziative di Transizione e il loro lavoro sulla produzione urbana di cibo compaiono a loro volta). Il libro è presentato come una rassegna delle più recenti ricerche e progetti così come “una cassetta degli attrezzi tesa a rendere possibile l’agricoltura urbana”. Riesce molto bene in entrambe le cose.

Agricoltura urbana e nuova economia

Una delle prime cose che spicca nel nuovo libro è la misura in cui le iniziative di agricoltura urbana, in modo analogo ai gruppi di Transizione, stiano sempre più guardando alla fattibilità economica in quello che stanno facendo. Ho chiesto a Katrin di questa tendenza:

Alcuni degli esempi del libro funzionano ci si guadagna da vivere. Solo se le imprese riescono a fare questo c’è un futuro per la coltivazione urbana di cibo. Ciò non significa che questi schemi commercialmente fattibili debbano essere commercialmente fattibili in un modo orientato al profitto. Possono essere imprese sociali. Ma ciò che è stato notato negli ultimi 10 anni, ciò che è realmente cruciale, è che se vogliamo mantenere il presupposto per cui l’agricoltura urbana possa cambiare l’apparenza fisica delle città, allora dobbiamo fornire concetti in cui l’agricoltura sia anche un fattore economico. Non posso dire orti comunitari”.

Per Katrin, la nascita di progetti fattibili commercialmente di agricoltura urbana nel mondo le danno, come lo esprime lei, “il diritto di dire sì, l’agricoltura urbana è stata una buona idea. Perché possiamo vedere che queste versioni fattibili stanno cominciando a funzionare”.

One of Growing Communities' market gardens in Hackney. Uno degli orti urbani comunitari di Hackney

Uno dei migliori esempi di questo, che André ha indicato, è Growing Communities a Hackney, a Londra. Hanno costituito un’impresa in espansione che coinvolge formazione, orti urbani ed un modello in evoluzione per come Londra potrebbe alimentare sé stessa. Tuttavia, André ha riconosciuto che:

Mentre possiamo vedere la nascita di progetti che stanno cominciando ad essere economicamente fattibili, c’è ancora molto duro lavoro e le persone che li gestiscono ci mettono molta energia. Molti di loro hanno altri redditi”.

Come esempio, ha citato quello che probabilmente è l’azienda agricola su tetto più famosa, la Brooklyn Grange Farm a New York. La loro fattibilità commerciale deriva non solo dalla produzione alimentare, ma dall’aver tenuto un approccio imprenditoriale più ampio. Come lui mu ha detto:

Hanno operato commercialmente in relazione alla quantità di cibo, che va bene, ma hanno anche affittato lospazio all’aperto come luogo per celebrazioni, matrimoni, feste ed eventi. Questa è una parte importante del loro reddito. Sono agili, coltivano alimenti in modo molto intenso e convenzionale e penso che la domanda interessante si se i sistemi idroponici possano essere convertiti in sistemi acquaponici, che ci portano più vicini ai sistemi ad anello chiuso”.



Brooklyn Grange Farm, New York

 

Le sfide dell’aumento di scala

 

Un’altra chiave per fare agricoltura urbana economicamente fattibile, secondo André, è essere visti come una parte integrante dei sistemi di ciclo chiuso che usano gli scarti per il compost e il nutrimento. Come dice lui:

Se si comprende questo, allora la possibilità di renderlo commercialmente fattibile pensando ad esso in relazione al flusso di scarti diventa più probabile”.

Ma come possiamo aumentarlo di scala? Mi intriga sapere come pensano come potremmo vedere più abilmente adottata l’agricoltura urbana e più ampiamente dai progettisti e dagli architetti come luogo comune della vita nel pianificare nuovi sviluppi. Katrin mi ha detto:

A Brighton, dove risiediamo entrambi, il Comune ha inserito un piccolo cambiamento sul sito web fra i requisiti che controlla, al momento dell’inserimento delle domande di costruzione, non solo se si fornisce un parcheggio o sufficienti superfici di finestre o balconi, ma anche se questo nuovo sviluppo fornisce spazio per la coltivazione del cibo”.

Per lei, potrebbe essere attraverso questa tipologia di leggi, in cui Brighton ed altri sono pionieri, che l’agricoltura potrebbe venire meglio accettata ed attecchire. “Il modo migliore potrebbe esserePAN-150x213 attraverso queste leggi di modo che la gente capisca che la loro amministrazione locale richiede qualcosa e che essa ne ha un vantaggio”, mi ha detto.

Il precedente di Brighton emerge da Coltivazione del cibo e sviluppo, una nota consultiva di pianificazione sviluppata dal Comune in associazione con Brighton e Hove Food Partnership. Pur non essendo condizioni per ottenere il permesso di progettazione, significano che se si intraprendono certe attività, la domanda sarà vista più favorevolmente. A Brighton, André mi ha detto: “questo ha avuto un impatto notevole sul numero di domande che includono spazi per coltivare cibo al loro interno”. Questo poi, naturalmente, porta a nuove sfide. Come dice André:

La sfida che emerge è che se si introducono spazi per coltivare il cibo, sappiamo come progettarli, ma c’è il problema di chi li gestisce e li mantiene e questo in alcuni progetti è ancora una sfida”.


Mappare i benefici dell’agricoltura urbana

Uno dei modi chiave per espandere l’agricoltura urbana è quello di puntare sulla base delle prove accumulate dei suoi impatti benefici. Come mi ha detto André:

Ci sono molti lavori che documentano i benefici per la salute mentale dell’accesso a spazi aperti, la coesione sociale si giova dalla coltivazione di cibo da parte della comunità. Il programma Pollice Verde a New York, che sostiene gli orti urbani, ha accumulato un bel po’ di prove a favore dei benefici sociali e di salute, sia fisici sia mentali, di quegli spazi”.

Ci sono anche altri benefici. André ha indicato il High Line a New York e anche se ha prevalentemente piante ornamentali piuttosto che commestibili, è comunque un enorme attrazione per la gente, cosa che ha aumentato i prezzi delle proprietà nella zona. Il Prinzessinnengarten a Berlino ha dimostrato che l’agricoltura urbana è un’estetica che piace ai turisti e un altro orto urbano, Marzahn, sempre a Berlino, sta dimostrando come l’agricoltura urbana stia aumentando l’attrattiva di un quartiere povero.



Arnie al Prinzessinnengarten, Berlino.

Un altro beneficio, uno che abbiamo già esaminato in un tema precedente, è che la misura in cui l’agricoltura urbana (e la Transizione, del resto) può essere vista come una strategia di salute pubblica. E’ un’idea a cui André ha pensato:

C’è l’idea delle “città che favoriscono la salute” ed attività come l’agricoltura urbana sono del tutto adatte a quel filone di pensiero, probabilmente più delle ‘palestre verdi’. Ma ci sono alcune prove che sarebbero davvero interessanti da verificare. A Middlesbrough abbiamo fatto un progetto chiamato DOT, “Design of the Times 2007”, che introduce l’agricoltura urbana a Middlesbrough su una serie di scale diverse.

Una nostra studentessa che ha intervistato i residenti ha scoperto che a Middlesbrough la gente che ha cominciato a coltivare cibo, anche se in forma del tutto simbolica tipo coltivare un paio di pomodori e cose del genere, ha cominciato realmente a cambiare comportamento. Ha cominciato a comprare cibo di stagione ed a mangiare più frutta fresca e verdure. Lei ha confrontato la gente che vive a Cambridge a quella che vive a Middlesbrough ed ha scoperto che a Cambridge, dove la gente era già molto impegnata con massaggi salutari e dove era consapevole dei fattori ambientali, più che a Middlesbrough, la coltivazione del cibo non ha avuto un impatto così grande.

Ma in un posto come Middlesbrough ha comportato un enorme cambiamento di comportamento. Ciò non è mai stato, a quanto ne so, oggetto di una ricerca più rigorosa. Pensiamo che probabilmente sia una di quelle attività che la gente cerca sempre, attivita che favoriscono il cambiamento di comportamento direttamente collegate ai miglioramenti della salute”.

Per Katrin, è anche un metodo semplice per trasmettere educazione ambientale generale:

Che siano luoghi dove si coltiva cibo di tipo commerciale o comuni, molti progetti si impegnano anche in attività educative, gruppi scolastici o sessioni specifiche dove si impara a riconoscere le diverse lattughe”.

L’agricoltura urbana e la professione di architetto

L’architettura è, come il mondo della moda, incline alle mode. Ciò che va un anno, il successivo è già passato e l’idea all’avanguardia di quest’anno in quattro anni potrebbe essere “come nel 2014”. Come si potrebbe evitare questo? Come assicurare che l’agricoltura urbana rimanga? Katrin ha riconosciuto che questo potrebbe essere un rischio:

Questo pericolo è una delle ragioni per cui molti protagonisti del movimento della coltivazione urbana di cibo sono consapevoli che le loro idee devono fare questo salto nella politica. Influenzare in maniera sostenibile le politiche di progettazione è molto importante. L’architettura è alla moda e segue la moda, ma segue anche le richieste dei suoi clienti. Così, fincheé il cliente richiede questi spazi per produrre cibo gli architetti li accontenteranno”.

André ha aggiunto:

Siamo ad uno stadio in cui abbiamodavvero bisogno di far capire alla gente il significato di questi spazi in termini di parte dell’infrastruttura ecologica della città che la gente percepisce come spazi essenziali, parte dell’infrastruttura essenziale all’interno di una città. Se viene creato questo cambiamento mentale e pensiamo che ci siano prove sufficienti che lo sostengono, allora questi spazi diventeranno parte integrante delle città. E’ proprio questo lo stadio in cui ci troviamo, credo”.

Partendo da questo, per André e Katrin, una parte chiave del rendere mainstream l’agricoltura urbana è attraverso la buona ricerca. Fanno parte del progetto di ricerca chiamato Trasformazioni Urbane dalla Pratica alle Politiche. In termini di ricerca, André punta sul lavoro di Debra Solomon in Olanda, chiamato ‘Urbaniahoeve’. Là hanno introdotto paesaggi alimentari in diverse città. Il punto centrale del loro lavoro, nel lasso di tempo che porta ad una conferenza nel settembre 2015, sarà sviluppare strumenti per far leva sul cambiamento delle politiche riguardo all’agricoltura urbana.


 

Ultimi pensieri

Architettura Urbana Seconda natura è proprio straordinario. Se dobbiamo proprio costruire ambienti che sono ‘chiusi’ all’interno del futuro radicalmente a basso tenore di carbonio, dobbiamo creare, non possiamo davvero permetterci di costruire qualsiasi nuovo sviluppo che non includa l’agricoltura urbana. Dev’essere ovunque e chiaramente in questo momento non sta avvenendo abbastanza rapidamente. Viljoen e Bohn affrontano questo aspetto da diverse angolazioni e c’è qualcosa in questo che ispira le persone che rientrano in una gamma, da un lato, di chi si chiede come coltivare cibo nella città in cui vive a, dall’altro lato, dei pianificatori e progettisti che vogliono intraprendere progetti di scala ambiziosi. Difficile raccomandarglielo abbastanza.

Chi sono?

AndreSono André Viloen e sono un architetto. Attualmente lavoro all’Università di Brighton dove con Katrin Bohn abbiamo insegnato in un programma per studenti del Master e prima fare questo ero molto impegnato nella ricerca di un’architettura di edifici a basso uso di energia e come renderli passivi. E’ così che siamo arrivati ad interessarci all’agricoltura urbana”.

Katrin BohnSono Katrin Bohn, anch’io insegno all’Università di Brighton, ma ho anche una cattedra come esterna all’Università Tecnica a Berlino e in entrambi i casi cerco di lavorare il tema del cibo e la città. Con André condivido anche il lavoro alla Bohn and Viljoen Architects, che ora piuttosto ridotto, facciamo più che altro consulenza, installazione, studio di fattibilità. Di nuovo, siccome quel tema dei paesaggi produttivi è diventato così importante per noi, è ciò che facciamo prevalentemente. E ci piace”.

Perché ‘Agricoltura Urbana Seconda Natura’?

(Dal libro): “Il termine ‘seconda natura’ ha un doppio significato: da un lato descrive le abitudini ed i costumi integrati e normalizzati che hanno luogo senza un pensiero, dall’altro lato si riferisce allo spazio coltivato fatto dall’uomo che ci circonda in modo analogo alla (prima) natura”.

Selezionato dall’intervista completa che ho fatto a Andre e Katrin. Potete ascoltare l’intervista completa, o scaricarla, sotto.

https://soundcloud.com/transition-culture/viljoen-and-bohn-on-designing-productive-cities

Ci serve la crescita economica?

Salve a tutt*,

ho pensato che l’articolo suggerito da Cristiano nel suo ultimo post, dove presentava la locandina dell’evento bolognese di mercoledì 29, valesse la pena di essere tradotto, quindi eccolo qui.

Ci vediamo a Bologna?

Buona lettura.


Osiamo mettere in discussione la crescita economica?

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Ci hanno venduto in maniera molto efficace la storia che la crescita infinita sia essenziale per mantenere e migliorare la nostra qualità della vita. Ma questo non potrebbe essere più lontano dalla realtà.

Di Warwik Smith



Il pianeta ha risorse finite. Foto:Reid Wiseman/NASA/Rex/Reid Wiseman/NASA/Rex

Il perseguimento infinito della crescita economica ci sta rendendo infelici e rischia di distruggere la capacità della Terra di sostenerci. La buona notizia è che muoversi per rendere le nostre vite più sostenibili ci renderà anche più felici e sani. Vi piacerebbe un fine settimana di quattro giorni, ogni settimana?

Sono stato a due conferenze con premesse di base analoghe, nell’ultimo anno. La prima è stata all’Università Nazionale Australiana sull’economia ecologica e la seconda, appena la scorsa settimana, è stata sull’economia di stato stazionario all’Università del Nuovo Galles del Sud. La premessa dietro ad entrambe le conferenze è semplicemente ed innegabilmente vera, tuttavia è così destabilizzante da essere fondamentale per il nostro attuale stile di vita:
Continua a leggere