L’aria che si respirava alla conference transizionista a Malmo (che è una cittadina nel sud della Svezia proprio a est di Copenaghen), era quella famigliare di tutti gli incontri che si realizzano nel contesto del movimento. Anche Ralph (hub del Belgio di lingua francese) che era ospite come me dell’evento ha avuto subito la stessa sensazione di familiarità e confidenza, di essere in un posto in cui sei già stato con persone che conosci da sempre.
Per gli svedesi è stata un occasione per tirare le somme e prendere atto di quante iniziative siano in corso nel loro territorio a livello locale. Le presentazioni di progetti si sono susseguite una dopo l’altra ed è emerso chiaramente che in alcune zone del paese c’è un bel fermento, altre invece non sono ancora state contaminate.
È molto difficile fare paragoni tra Italia e Svezia, il contesto è diverso per mille ragioni, la cultura, le dimensioni (immense) e l’organizzazione del paese, la disponibilità di risorse finanziarie, ma alcuni aspetti non cambiano.
Anche là è difficile far capire alle persone cosa sta succedendo esattamente, anche là è più facile dividersi che cooperare, anche là c’è il timore del nuovo e del diverso. Il governo attuale è fortemente orientato a destra e sta addirittura mettendo tasse sul fotovoltaico scoraggiando le rinnovabili…
Insomma, anche la Svezia non è poi questo paradiso di meraviglie che spesso immaginiamo e non è insensibile alle scosse del sistema che crolla e si trasforma.
E nella migliore tradizione transizionista, alla sera tutti a magnà…
Una rete che prende consistenza, un hub particolare
Detto questo, alla conference si è visto che la rete di Transizione comincia oggi ad avere una presenza significativa e a garantire un sistema di relazioni estremamente interessante. Tanto si muove e la sensazione molto forte è che tantissimo si muoverà.
L’hub svedese ha caratteristiche piuttosto particolari, dalla nascita è stato collocato all’interno di un’altra organizzazione esistente, molto grande e solida. Questo gli ha conferito un carattere meno spontaneo di altri hubs, ma ha fatto sì che il gruppo fondatore fosse composto da persone con profili molto particolari, grandi competenze, capacità di visione strategica e di collegamento con entità chiave dell’organizzazione sociale del paese.
Questa genesi ha prodotto diversi effetti, alcuni anche non piacevoli, ad esempio molte tensioni nel gruppo e probabilmente una certa difficoltà a crescere insieme con modalità relazionali diverse. Un po’ per necessità un po’ per attitudine, tendono a ricorre a certi percorsi formali che noi qui in Italia abbiamo, per esempio, volutamente rifiutato fin dal primo giorno.
Proprio per questo hanno però potenzialità sorprendenti, ci siamo vicendevolmente scoperti e credo che possano nascere collaborazioni interessantissime con grande giovamento di tutti. La loro capacità e volontà di lavorare, oltre che dal basso, anche con le istituzioni è molto simile alla nostra, stanno sviluppando strumenti simili a quelli che sviluppiamo noi, hanno ottime relazioni con le università e i centri di ricerca… insomma ottimo. Stiamo tutti crescendo e maturando, è un segnale bellissimo.
Una delle sessioni di meeting degli hub presenti: Danimarca, Finlandia, Belgio, Svezia e Italia
Anche Belgio, Danimarca e Finlandia
All’incontro di Malmo abbiamo anche fatto due sessioni di lavoro sul tema di una potenziale rete degli hub scandinavi. In particolare Svezia, Danimarca e Finlandia si sono interrogate sulla opportunità di trovare modi per lavorare assieme e coordinarsi nella strategia e nella pratica operativa.
Ci sono alcuni grandi temi comuni, come quello della progressiva “morte” del mar Baltico, che hanno certamente più probabilità di soluzione se vengono affrontati in modo organico e coordinato. Io e Ralph abbiamo contribuito con le nostre esperienze, soprattutto per arricchire il piatto delle possibilità e prendere spunto da cose che abbiamo già visto succedere in altre zone (si sta pensando a un raggruppamento in sud america, ed esiste già un embrione di raggruppamento regionale dell’Europa centrale).
La scoperta delle “Future Week”
Naturalmente è stata anche un’occasione per portarsi a casa nuovi strumenti operativi, in particolare ci è piaciuta molto l’idea delle “Settimane del Futuro” che gli svedesi praticano da anni e sono un’ottima “scusa” di coinvolgimento delle comunità in modo ampio.
Si tratta in pratica di programmi di eventi dedicati al futuro (in ogni senso possibile, quindi arte, cultura, tecnologia, visioni, ecc.) che vengono organizzate con il coinvolgimento dei comuni e alle quali sono invitati a partecipare tutti i soggetti di un certo territorio. A seconda delle dimensioni del comune coinvolto, le attività possono essere concentrate in un quartiere, in un’area specifica o interessare l’intero abitato (nel caso di piccole realtà). Sembra che qui questo tipo di approccio abbia avuto un buon successo, prendiamo nota.
Abigale Sykes, la direttrice di LandetsFria, il giornale che ogni settimana dedica due pagine alla Transizione svedese.
LandetsFria: un giornale transizionista
Altra mossa vincente della transizione svedese (ah… dimenticavo, transizione si dice omställning) è stata quella di arrivare ad avere due pagine ogni settimana sul free press LandetsFria, che viene distribuito in tutto il paese. Lo realizza una cooperativa di giornalisti e lo dirige Abigale Sykes. Si è trattato di un canale molto utile per trattare costantemente i temi chiave, veicolare le date degli eventi e degli incontri, ottenere una certa visibilità negli ambienti più sensibili alle tematiche ambientali.
Durante questa conference Abigale si è messa personalmente in gioco chiedendo aiuto a tutti per rendere il suo lavoro di giornalista sempre più sinergico e a supporto delle attività di transizione. Ha chiesto a tutti consigli e indicazioni su come diventare più incisiva e su quali temi sia più importante evidenziare.
Voglia di lavorare insieme
Quello che mi sembra l’aspetto più importante di tutti è il grande interesse a lavorare insieme a livello internazionale. C’è sempre stato ovviamente, sta un po’ nel dna della Transizione, quello che è cambiato adesso è che gli hub sono più definiti e organizzati, insomma, sono davvero pronti a pensare a strategie anche su ampia scala geografica. La sensazione di tutti era quella di aver raggiunto un nuovo punto evolutivo… bene, molto bene.
Lario dell’università di Malmo
E infine l’università
Per concludere, davvero buffo andare a fare una lezione all’università e ancora una volta un’esperienza interessantissima. In realtà tutto il mio viaggio è stato reso possibile (finanziariamente) da loro grazie all’attenzione di Fredrik Björk del Dipartimento di Studi Urbani dell’Università di Malmo. Persona squisita e contatto importantissimo perché direttamente impegnato nel Global Wellbeing Lab.
Jann Forsmark uno dei fondatori dell’hub svedese
Fredrik non era a Malmo purtroppo, perché appunto in Butan a valutare lo sviluppo del Gross National Happines index (l’indice della felicità interna lorda), ma è stato così gentile da organizzare una lezione aperta con gli studenti del suo dipartimento che mi hanno ascoltato con incredibile attenzione e fatto domande estremamente mirate e intelligenti.
Li immaginavo però più consapevoli di noi italiani rispetto agli scenari da affrontare e invece non lo erano, per chi sa di cosa parlo, la mappa del clima li vedeva praticamente tutti al centro come accade qui. Segno che in ogni luogo c’è ancora molto lavoro da fare per migliorare la nostra comprensione della realtà.
Per contro, in quei ragazzi c’era una freschezza e un’entusiasmo che temo qui sia completamente scomparso. Alla mattina ho avuto la fortuna di assistere a una presentazione di loro progetti ed erano davvero brillanti, fattibili e assennati (si capiva anche erano stati guidati da una docenza molto saggia). Ma quello che era impressionante era l’energia positiva e una generale fiducia nel futuro che qui sta sparendo.
Jann che è stato il mio “custode” in questi giorni svedese dice che comunque me la sono cavata, speriamo sia vero e di aver lasciato qualcosa di utile.