Fukuoka e l’aratro
Sono un innamorato a prima lettura del metodo di coltivazione di Fukuoka (sarà per la mia forte pigrizia?) ma mi è sempre mancata la componente storico/scientifica che fornisse una spiegazione convincente al perché abbiamo utilizzato metodi che distruggevano anziché migliorare le condizioni del terreno.
Non tutto può essere spiegato con la visione delle multinazionali cattive e rapaci: le aziende cavalcano le tendenze e difficilmente le anticipano.
Nelle googolate estive sono capitato su un interessante forum di agraria in cui interviene un professionista laureato in scienze agrarie che, guarda caso, è cultore e sperimentatore del metodo Fukuoka.
In uno dei suoi post propone una spiegazione molto convincente alle mie perplessità.
Riporto qui sotto l’intervento consigliando la lettura (paziente) quantomeno delle prime 60/65 pagine (attualmente sono 82) del thread “Orto con metodo Fukuola, discussione pratica”.
Tra le altre cose, nel thread è citato “l’orto di Monteveglio” come esempio Italiano.
Ecco il post copincollato dal forum:
“Per la parte più lunga della propria storia, possiamo supporre seimila anni, l’aratro è stato attrezzo interamente di legno. Per i tremila anni successivi è stato attrezzo di legno dotato di un solo elemento di ferro, il vomere: siccome nell’antichità l’aratro era, generalmente, attrezzo per la fenditura del suolo, senza rivoltarlo, cioè attrezzo simmetrico, il vomere dell’età del ferro, che è durata fino al Settecento, in continenti interi fino alla metà del Ventesimo secolo, è stato una cuspide, la forma di un’antica punta di freccia.E’ nella prima metà del Settecento, nella patria delle manifatture, l’Inghilterra, che i primi fonditori iniziano a costruire in metallo l’intero corpo lavorante, il coltro e il vomere, ma soprattutto, il versoio, la parte di maggiore impegno tecnologico.”
Il principale vantaggio della nuova tecnica del rovesciamento degli strati di terreno risiede nella lotta alle infestanti con l’interramento delle piante presenti e i loro semi, portando in superficie lo strato profondo e privo di semi. Ma con il passare del tempo i semi interrati rimanendo vitali per anni hanno vanificato il beneficio iniziale con la necessità di eseguire lavorazioni sempre più profonde per portare in superficie strati vergini e privi di seme innescando un processo senza fine.Il metabolismo della flora microbica degli strati superficiali si basa sulla fermentazione aerobica del detrito, cioè necessita di ossigeno presente nella porosità del terreno. Come si evince dalla curva di accrescimento microbica, in presenza di condizioni ottimali (presenza di nutrienti) i microrganismi hanno uno sviluppo esponenziale, cioè crescita all’infinito, finche alcuni prodotti del loro metabolismo inibiscono il loro sviluppo e uno di questi è proprio l’etilene. Che, guarda caso, è un ormone naturale dei vegetali, quindi si stabilisce un rapporto molto stretto tra sviluppo della microflora del suolo e la crescita delle piante che dovranno fornire loro nutrimento.
L’aratura e la conseguente alterazione degli strati con l’interramento della biomassa presente, provoca una selezione della flora microbica con il prevalere di fermentazioni anaerobiche e la produzione di biogas, cioè di una miscela 50-60% di metano, anidride carbonica, vapore e altro. Questo gas intrappolato nel terreno verrà liberato nell’aria all’aratura successiva, senza alcun beneficio per le nostre colture.
La cosa molto curiosa è la similitudine delle due molecole di metano CH4 e l’etilene C2H4 entrambe sono la forma più ridotta del carbonio e differiscono per un piccolo atomo di C in più rendendo il primo indigesto mentre il secondo molto appetito dalle nostre sorelle piante.”
by PALLINOF su www.forumdiagraria.org 11/04/2009
Breve storia dell’aratro.
L’agricoltura è nata tanto tempo fa. Forse 10.000 anni. Per prima cosa l’uomo riuscì a domesticare animali selvaggi e questo aiutò a renderlo sedentario. L’uomo, più o meno sedentario, iniziò ad osservare il ciclo delle piante, la loro crescita, la formazione dei fiori e dei semi, la risemina ed il nascere delle nuove piante, ed un uomo di genio se la ingegnò per raccogliere semi e nasconderli nel suolo ed aspettare la formazione di nuove foglie, semi e tuberi che in tal modo poteva ottenere nella quantità a lui necessaria e che poteva inoltre conservare per il resto dell’anno. Era nata la prima era dell’agricoltura.
Poi, un bel giorno, un altro genio immaginò di usare un residuo del tronco di un albero per aprire un solco e, per lavorare meno, fece trainare il tronco da uno dei suoi animali domestici o quasi. Era nato l’aratro di legno, che poi fu modificato in mille modi, col passare dei secoli.
Nell’età del bronzo si fecero aratri di metallo, che duravano più tempo ed erano qualcosa di simile a ganci che raschiavano la superficie della terra e, sempre col passare dei secoli, si unirono altre parti di legno, poi di metallo che rovesciavano il pane di terra, eliminando in tal modo le erbe spontanee dannose al raccolto. Passarono millenni e nel 1600-1700 DC gli aratri erano già quasi tutti di metallo e per di più potevano essere trainati da macchine a vapore e poi da trattori simili ai nostri moderni. Era la seconda era dell’agricoltura.
Poi, nei due secoli seguenti, l’agricoltura si sviluppò in maniera impensabile. Forse dobbiamo al genio di Mendel e di Pasteur, alle nuove specie vegetali venute dall’America, l’essere riusciti a rendere bugiarde le ipotesi di Malthus che promettevano fame, dovuta alle crescita in maniera geometrica della popolazione umana.
Oggi abbiamo l’ingegneria genetica e, presto, potremo fabbricare in laboratorio piante, o meglio organismi capaci di produrre gli alimenti a noi necessari, con le qualità che riterremo più opportune.
E l’aratro accompagnò sempre la crescita delle civilizzazioni. All’inizio realizzava un graffio sulla superficie del suolo, appena sufficiente a ricevere i semi. Poi l’uomo costruì aratri che lavoravano sempre a maggiore profondità, sino ad ottenere il taglio di una zolla sufficientemente profonda per essere rovesciata e seppellire così la vegetazione spontanea. Poi si volle ottenere una profondità di lavoro sempre maggiore per modificare la struttura naturale del suolo ed ottenere la penetrazione e conservazione delle piogge in profondità ed esporre all’aria, all’ossigeno e al calore dell’estate le zolle ed ottenere la loro disgregazione e la solubilizzazione delle sostanze nutritive. E In tal modo aumentava l’erosione del suolo e si andava verso la desertificazione e desertizzazione di sempre maggiori superfici.
Quanto accadde nella prima metà del ‘900, in America del Nord, generò un allarme mondiale e maggiore interesse per l’erosione eolica e finalmente si cominciò ad intendere che forse era meglio non modificare la naturale struttura del suolo e che le piogge potevano essere conservate in profondità mantenendo la superficie coperta con residui vegetali .
E si parlò di riduzione delle rimozioni del suolo con un minimo di lavori, e si usarono aratri di nuove forme, aratri a disco, erpici ed altri attrezzi, sempre con l’idea che il suolo doveva essere rimosso dall’uomo per fare infiltrare l’acqua della pioggia ed aumentare la fertilità.
Ma alcune semplici esperienze e l’uso di erbicidi per controllare la vegetazione spontanea, dimostrarono quanto fossero sbagliate quelle idee che dominarono per millenni l’agricoltura. La migliore struttura del suolo è la naturale, che permette, inoltre, la facile penetrazione delle radici. La migliore infiltrazione e conservazione dall’acqua di pioggia si ottiene lasciando in superficie i residui delle coltivazioni, come avviene nei boschi.
E nacque la semina diretta o labranza cero o no tillage o sod seeding che, con la fitotecnica, l’ingegneria genetica e la fitochimica domina l’attuale agricoltura.
E l’aratro fu abbandonato, arrugginito ed ormai inutile, in un angolo del campo.
Marcelo Fagioli.
mafagi@cpenet.com.ar