Transition Conference & Hub Meeting 2015, come è andata?
Eccoci qua, dopo più di tre settimane dall’ultima Transition Conference inglese, a raccontarvi che cosa è successo. Di ben tre settimane ho avuto bisogno per digerire tutte le emozioni e trovare l’energia giusta per sedermi davanti allo schermo del pc e scrivere. Proviamo.
La Transition Conference è un grande meeting a cadenza biennale a cui sono invitati transizionisti di tutto il mondo per condividere idee, progetti, paure, speranze e, chissà, per esplorare assieme nuovi percorsi verso la resilienza.
Quest’anno l’evento si è tenuto nel Sud dell’Inghilterra, a 5 minuti di treno da Totnes, in un paesino tra le verdi colline del Devon chiamato Newton Abbot.
Eravamo in tanti! Più di 350 persone provenienti da 35 paesi diversi – dalla Cina fino alla Colombia, passando per l’Australia e il Portogallo – e di ogni sorte – transizionisti di vecchia data, ricercatori, studenti, giornalisti, politici, curiosi e soprattutto permacultori già carichi dalla Permaculture Convergence svoltasi il weekend precedente a Londra.
Eravamo tutti lì, nel giardino di Seale Hayne ad aspettare l’ora fatidica, quando l’aria cominciò a riempirsi dei canti a cappella di un coro. Per un momento (forse l’unico dell’intero weekend) il bla-bla transizionista fece una pausa per godersi lo spettacolo. Senza interrompere il canto, il coro cominciò lentamente ad avviarsi verso la Great Hall, con tutti noi al seguito, ansiosi di cominciare quest’avventura.
Il fine settimana della Conference era organizzato più o meno così: la giornata del sabato farcita di workshop per tutti i gusti mentre per la domenica era previsto un mastodontico Open Space dove mettere a frutto gli spunti, le riflessioni e le nuove connessioni emerse durante la giornata precedente.
Nello scegliere i workshop c’era l’imbarazzo della scelta: Sociocrazia 3.0, Health Check per le iniziative di transizione, System Change Theories, Educazione all’aria aperta, Coinvolgimento della comunità attraverso l’arte e il teatro, Transizione in economie post-collasso, Gestione dei conflitti, Comunicazione, REconomy, Saggezza indigena, Come dar vita ad una cooperativa di comunità che si occupa di energia rinnovabile, Social media, Local Entrepreneur Forum, Monete Locali, etc etc….
Ma l’highlight del sabato è stato il cosiddetto Requiem For The Industrial Growth Society, un vero e proprio rito funebre atto a celebrare la morte del sistema della crescita industriale. Era un’idea che frullava da diversi anni nella testa di Sophy e che questa volta, con l’aiuto della nostra Ellen, è stata finalmente realizzata.
Il rituale è stato un momento prezioso per ripercorrere la vita del sistema della crescita industriale fin dagli albori, per celebrare quello che ha fatto per migliorare le nostre vite (ricordiamoci che ci ha regalato potenti tecnologie, una rete globale di informazione e di scambio, trasporti veloci, medicinali, etc.. ) e quello che le ha portate ad impoverirle e affliggerle (inquinamento, competizione, violenza, paura, solitudine..).
Nell’aria si potevano quasi toccare la rabbia, il dolore, e l’odio che emergevano come sentimenti dai cuori dei partecipanti, mescolati ad una profonda nostalgia, empatia e affetto verso questo grande essere a cui stavamo rendendo l’ultimo saluto.
Una volta che la bara (si si, c’era proprio una bara!) uscì dalla stanza cerimoniale, abbiamo potuto concentrarci sul futuro, sul nuovo sistema che prenderà molto presto il posto del vecchio. Non sappiamo ancora che forma prenderà questa nuova ‘entità’, ma sappiamo che in molti stanno aiutando in questo, apportando ogni giorno nuovi valori, nuovi comportamenti e una narrazione diversa rispetto a ciò che sta accadendo nel mondo e il ruolo che noi piccoli esseri umani vogliamo ricoprire in esso.
Personalmente mi affascina molto il ruolo che i ‘rituali’ hanno nei sistemi sociali umani. Credo siano un potente strumento che fin dalla notte dei tempi permette all’uomo di discernere le storie ‘inventate’ da quelle considerate ‘reali’ – che altro non sono che ‘storie’ collettivamente accettate come ‘vere’.
Tutto sembra andare per il verso giusto finché la narrazione non comincia a scontrarsi con la realtà. Se queste due vanno in direzioni opposte, ciò che si dissolve è la storia che ci si raccontava, la storia che un tempo generava un significato e dava un senso ai propri comportamenti.
Si crea così un conflitto tra opinioni diverse presenti nella nostra testa che ci porta a non distinguere più cosa sia ‘vero’ da cosa non lo sia, come dovremmo comportarci di conseguenza, che cosa sia necessario fare, eccetera: questa è la famosa dissonanza cognitiva, per moltissimi fonte di una non indifferente sofferenza psicologica.
Sono sicuro che il Requiem For The Industrial Growth Society tornerà molto utile nell’esperimento della transizione per guarire questo conflitto interiore, nell’aiutarci a fare chiarezza mentale e sviluppare i giusti anticorpi alla vecchia narrativa che ci viene continuamente propinata da tutto ciò che sta attorno a noi.
Credo che Ellen già non veda l’ora di riproporlo presto in Italia!
Sabato sera, per controbilanciare, grande festa! Birra locale, musica, danze e un ‘open mic’, per permettere a tutti i talenti presenti tra la folla di dare sfogo alla propria creatività e contribuire all’allegra serata.
La mattina seguente fu la volta dell’Open Space. In pochi minuti, le 350 persone che affollavano la Hall diedero vita a più di 60 tavoli di lavoro, divisi in due sessioni di un’ora. Tutto molto ‘caordico’, come da tradizione. Guardate qui sotto.
Ma la Transition Conference non era l’unico evento previsto quella settimana. Ce n’era un altro che avrebbe cominciato prima del famoso weekend e sarebbe finito un paio di giorni dopo: l’Hub Meeting.
A questo incontro hanno preso parte 50 rappresentanti di 26 hub da diverse nazioni del mondo – tra cui molti di nuovi, come Colombia, Cile, Australia, Slovenia e Austria -, il Transition Network -Sophy, Naresh, Ben… – e due facilitatori, Yoav e Andrei, a cui si dovrebbe dare il premio Nobel per la facilitazione per il lavoro svolto durante quei giorni :).
Perché un Hub Meeting?
Per come l’ho capita io, le cose sono molto cambiate nel mondo della transizione da quando è cominciato tutto 10 anni fa. Oggi vediamo migliaia di iniziative svilupparsi in tutto il mondo, tantissime persone che adattano il processo nella propria realtà e ne vedono emergere continuamente idee e progetti sorprendenti, subito condivisi nella rete internazionale e diffusi in un attimo a livello planetario. Ci sono Hubs in Australia, in Giappone, negli Stati Uniti, nell’America del Sud e qualcosa sta cominciando a muoversi anche in Africa e in Cina.
Tutto quello che sta avvenendo è ovviamente ‘memorizzato’ nelle menti di chi cerca di mantenere il DNA della transizione nel proprio paese e l’unico momento in cui queste menti ‘transizioniste’ possono incontrarsi è l’Hub Meeting.
Di fatto, però, il Transition Network è ancora composto prevalentemente da inglesi. Nonostante l’incredibile lavoro che hanno svolto in tutti questi anni, è chiaro a tutti come si stia passando ad una fase nuova e che ci sia bisogno di cercare assieme un modo per cambiare o adattarsi.
La prima giornata è servita quindi per conoscerci ed entrare in connessione tra di noi. Ci siamo aggiornati su ciò che sta accadendo nei nostri paesi, quali sono state le conquiste, le difficoltà e quali i prossimi passi.
È stato straordinario vedere come la transizione possa assumere forme completamente diverse da una regione all’altra, sia in termini di progetti pratici, sia in termini culturali. La presenza di molti nuovi amici dal Sud America, ad esempio, si è fatta sentire. I transizionisti europei – quelli almeno che conosco io – sono molto razionali, logici, sempre concentrati e con l’ansia di non avere abbastanza tempo. I Sud-Americani avevano un approccio completamente opposto, molto più creativo, musicale, corporeo. È bello vedere come queste due anime si siano incontrate per cercare di trovare un equilibrio, ed è ancora più bello sapere che quella che per noi è stata un’esperienza nuova, in futuro sarà la normalità. (Provate a leggere, ad esempio, come è nata la transizione in Messico, qui).
Ad ogni meeting, gli hubsters formano dei gruppi di lavoro con cui proseguire la discussione durante i 12 mesi successivi.
Quest’anno ne sono emersi principalmente 4:
The exchange group, per ricercare cosa esiste nel network in termini di piattaforme condivise e risorse.
The funding group, per creare collaborazione e supporto nella ricerca dei bandi e finanziamenti.
New structure group, per creare un processo/struttura democratico che possa rispondere ai bisogni presenti e futuri degli Hubs.
Support offer for national hubs, ovvero creare per gli hub un supporto simile a quello che il Transition Network fornisce alle iniziative locali.
Se da un lato l’incontro è stato molto entusiasmante (nuovi Hub, nuove persone, nuove risorse..), da un altro è stato (almeno personalmente) molto frustrante.
Ad esempio, lavorare in un cerchio di 50 persone, di cui quasi la metà nuove, rendeva tutto molto macchinoso e spesso anche le piccole cose (come l’uso del bastone della parola) finivano nel durare ore, a discapito dell’energia e dell’attenzione presente nella stanza.
Inoltre anche lì, proprio come accade nelle iniziative locali e nei diversi gruppi legati alla transizione, non basta essere presenti fisicamente nello stesso posto perché le cose accadano. C’è bisogno di una relazione autentica e profonda tra gli elementi del gruppo. Nonostante i facilitatori abbiano fatto del loro meglio per creare le condizioni in cui questo potesse avvenire, il numero così ampio di partecipanti ha agito, credo, da collo di bottiglia.
Per cui ogni volta che si provava ad andare in profondità per ricercare, ad esempio, l’identità, le caratteristiche e i bisogni di questo nuovo organismo/organizzazione che volevamo creare, ci perdevamo.
Per un attimo mi è sembrato di toccare i limiti della facilitazione, del lavoro di gruppo e della comunicazione stessa. C’era quella sensazione strana di andare a cercare nei cassetti della mente quel giusto attrezzo per risolvere la situazione e di non trovarne nessuno, mentre il senso di urgenza che si percepiva nell’aria non faceva che aumentare a dismisura la pressione.
Insomma, sono stati giorni intensi pieni di nuove idee, esperienze e amicizie. Speravo di tornare con qualche risposta in più e invece, come SEMPRE accade nella transizione, con nuovi dubbi, domande esistenziali e la sensazione di essere una persona molto diversa da quella che era partita qualche giorno prima.
Sarà interessante vedere come questo cambiamento in corso influirà sui diversi hubs e in particolare quello italiano, anch’esso sempre alla ricerca della propria identità e obiettivo.
Stiamo a vedere! 🙂
Ed eccoci qui, nella foto più seria che siamo riusciti a scattare! 🙂
Per i più curiosi, potete trovare informazioni e foto qui e qui.