Notizia provenienti dal network internazionale del movimento di Transizione

Spunti per facilitare il cambiamento 1

Les Robinson su Changeology, passaggio di scala e soluzioni che “attaccano”

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

Changeology

Uno dei libri che ho letto di recente e che aveva intuizioni utili da offrire per la nostra attuale discussione sul passaggio di scala è stato Changeology, di Les Robinson, sottotitolato “come fare in modo che i gruppi, le comunità e le società facciano cose che non hanno mai fatto prima”. Sembra proprio la cosa giusta. E’ un libro sulla creazione di soluzioni per il cambiamento sociale che attecchiscano e gran parte di esse risuonano con la Transizione. Sono riuscito ad incontrare Les poco prima che partisse per un campeggio di 8 giorni ed ho cominciato chiedendogli di presentarsi ai lettori che non si sono mai imbattuti prima nel suo lavoro.

“Un tempo lavoravo per una piccola compagnia di vendita a Sidney, progettando campagne pubblicitarie per portare le persone a riciclare, a compostare i propri rifiuti, a non fumare di fronte ai propri figli, a non dare il meglio di sé dopo l’ultimo bicchiere, quel tipo di cose. Circa 15 anni fa ho avuto una rivelazione, quando mi sono reso conto che usare la pubblicità per cambiare il comportamento era probabilmente uno spreco di tempo, perché la pubblicità, dopotutto, non mi aveva mai fatto cambiare comportamento. Quindi, cosa poteva farlo? Mi sono reso conto che quando ho adottato nuovi comportamenti nella mia stessa vita, stavo scegliendo comportamenti che pensavo avrebbero migliorato la mia vita e che sembravano sicuri e controllabili. Le ragioni non sembrava che contassero granché, era più una cosa dell’immaginazione, dell’essere capace di visualizzarmi mentre vivevo il sogno. Quindi è stato questo l’inizio del viaggio di scoperta che ha portato a Changeology. Continua a leggere

Rob Hopkins sulla svolta di Holmgren

Salve a tutt*,
premetto di non aver letto il saggio di David Holmgren, ma a giudicare dal grafico elaborato da Albert Bates, dev’esserci stato un passaggio considerevole nella sua visione. Essendo due punti di vista molto importanti (perché anche molto informati) sul nostro futuro, ho deciso di sottoporvi la traduzione di questo articolo di Rob dove ci sono considerazioni importanti. Buona lettura.

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Il “Collasso on Demand” di David Holmgren: attenti a cosa desiderate

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

E’ un evento raro che io non sia d’accordo con David Holmgren. E’ uno dei miei eroi e co-fondatore della Permacultura e generalmente trovo il suo intelletto formidabile, le sue intuizioni sulla Permacultura rivelatrici e il suo punto di vista sui più ampi modelli e scenari che si aprono intorno a noi profondamente perspicaci. Ma mentre nel suo recente saggio, Collasso on Demand, c’è molta intuizione, solleva anche molte domande e problemi che vorrei esaminare qui. Sono preoccupato dalle sue conclusioni e anche se capisco la logica che ci sta dietro, temo che possano rivelarsi una strada pericolosa da percorrere se non contrastata.

‘Collasso on Demand’ in sintesi

Quali sono gli argomenti centrali del saggio? Il saggio raccoglie gli argomenti dal suo lavoro “Scenari futuri” di qualche anno fa, rivalutando la loro rilevanza in un mondo in rapido cambiamento (potete leggere il sommario di Jason Heppenstall sul nuovo saggio qui). In sostanza, Holmgren è giunto a pensare che una graduale discesa energetica non avverrà. Invece del suo scenario Futuro Green Tech, che vede una risposta concertata del governo (simile a quello che vediamo in Germania) o dello scenario di Gestione Planetaria (Earth Stewardship), uno spegnimento intenzionale, Holmgren sostiene che in realtà ci stiamo addentrando in quello che chiama “Tecnologia Marrone” (Brown Tech). Il Brown Tech è emerso perché “gli alti prezzi energetici hanno permesso alle compagnie energetiche nazionali e private di mettere in atto molti nuovi progetti di energia fossile e rinnovabile che stanno tamponando l’impatto del declino della produzione dei vecchi giacimenti ‘supergiganti’”. Gran parte di questi nuovi progetti di combustibili fossili, sostiene, “generano di gran lunga più gas serra delle fonti convenzionali che hanno sostituito”. Continua a leggere

A due mesi dalla Transition Fest

E sul blog del Transition Network si continua a parlare della nostra Fest’ e dell’energia trasformatrice che ha generato. Fa bene ripensare a quando eravamo tutti e tutte li insieme, costruendo il mondo che vogliamo, lavorando e divertendoci!

Grazie Deborah per averci dato modo di pensare a quei giorni ancora e riviverli un po’, grazie per continuare a dare visibilità a quanto di magico abbiamo creato a Settembre.

L’articolo lo trovate qui

www.transitionnetwork.org/stories/guest-blogger/2013-12/signs-and-portents-transition-italy

Un abbraccio

Manuela

Parlano di noi…

Sul sito del Transition Network ultimamente sono apparse (in inglese) un po’ di notizie su cosa stiamo combinando qui in Italia…

Qui Rob riprende un resoconto della Transition Fest di Settembre, con tanto di foto: http://www.transitionnetwork.org/news/2013-11-04/italy-stages-its-first-transition-fest

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Mentre se scorrete verso il fondo del report internazionale di Settembre-Ottobre 2013 trovate un intervento da Appio Latino e (non poteva mancare) il video di Cristiano Bottone al TEDx di Bologna…. Se avete amici anglofoni che sono curiosi di avere qualche news dall’Italia in transizione, quindi, potete mandarli qui http://www.transitionnetwork.org/news/2013-11-13/septemberoctober-round-what-s-happening-out-world-transition

Tifone Haiyan. Lettera aperta a Naderev Saño

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=8yITq61XedI&feature=youtu.be]

Naderev Saño è a capo della delegazione filippina alla conferenza dell’ONU sul clima e ha fatto un discorso emozionante ai negoziati sul clima COP 19, che sono attualmente in corso a Varsavia, ed è attualmente in sciopero della fame fino alla fine dei negoziati.  Continua a leggere

Tutti al Ttraining di Palermo!

Confermiamo oggi l’attivazione del Ttraining no. 22, che si terra’ a Palermo il 19/20 Ottobre… insieme al Transition Tour della Sicilia, rappresenta un’occasione per “far partire” le prime iniziative di Transizione nell’isola… e visto come vanno le cose con la Rete Permacultura Sicilia, ci aspettiamo di ascoltare presto storie meravigliose.

Non capita, ahime’, abbastanza spesso di poter attivare corsi e laboratori nelle isole, e diversi pionieri siciliani della transizione hanno partecipato in passato a training ed eventi in “continente”, sostenendo spese e lunghi viaggi. Se siete da quelle parti, non perdete quindi l’occasione di un training tutto siciliano! Le informazioni sono qui e ci sono ancora posti disponibili.

Ci vediamo li!

 

 

IPCC AR5 – L’ultima sveglia

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Da questa mattina stiamo seguendo le notizie provenienti dall’IPCC relative al loro ultimo rapporto sulla situazione climatica. Grazie alla solerzia di Rupo trovate qui di seguito la traduzione di uno dei documenti chiave, ovvero il riassunto delle indicazioni destinate ai responsabili politici.

Una cosa sembra ora certa, dopo un’immane sforzo coordinato, la scienza sembra aver fatto quello che doveva fare definendo alcuni aspetti fondamentali del problema Riscaldamento Globale:

  1. È indubitabilmente in corso, il mondo si sta scaldando, fine delle discussioni
  2. È causato dalle attività umane con una certezza che supera ora il 95%*
  3. Il CO2 non è mai stato a questo livello da 800.000 anni
  4. Non possiamo usare tutte le riserve di energia fossile disponibili, le emissioni eccederebbero qualsiasi parametro di sicurezza
  5. Bisogna reagire, subito e massivamente

* Gli scienziati son personcine serie e non potendo produrre una prova sperimentale (non avendo un secondo pianeta identico alla terra su cui fare dei test) conservano sempre margini di sicurezza. Questo però non vale per i politici per i quali una certezza scientifica del 95% deve voler dire azione al 100%. Se un farmaco avesse il 10% di probabilità di produrre tumori lo vorremmo fuori dal mercato, le emissioni serra hanno una probabilità del 95% di ammazzarci tutti e non riusciamo a fare nulla.

Quindi ora tocca a noi, ai politici, agli imprenditori, ai cittadini, a tutti… non ci sono più scuse.

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Workshop alla Transition Fest’

Dopo un’intensa serata di teatro presentazioni, il sabato mattina il grande cerchio della Transition Fest (siamo più di 70! se volete iscrivervi fate presto, siamo agli ultimi posti…) si aprirà sull’Open Space che fornirà la struttura di tutto il sabato e della mattina della domenica. L’Open Space (OST), come sapete, è un fantastico modo di creare riunioni ad agenda aperta, in cui è la passione dei partecipanti a guidare i temi di discussione.

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Alla Transition Fest l’Open Space sarà dedicato al tema “Come tessere la rete? Risorse, progetti, sogni e bisogni delle comunità locali in transizione”.

Oltre a tavoli di lavoro più “teorici”, tutti sono invitati proporre anche attività laboratoriali organizzate come sessioni parallele.

Che Workshop ci saranno?

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Intervista a Nafeez Ahmed

Salve a tutte/i,
chiedo scusa se la formattazione dell’intervista è un po’ aleatoria, ma non avevo troppo tempo da dedicarci (e mi pare che wordpress sia peggiorato ultimamente…). Spero che risulti ugualmente leggibile. E interessante. Buona lettura.

“Questa è un’opportunità senza precedenti”

Da “Transition Network”. Traduzione di MR

Di Rob Hopkins

Una delle voci più illuminanti nei media britannici al momento è Nafeez Ahmed, che ha scritto con regolarità su picco del petrolio, cambiamento climatico, geopolitica e come tutte queste cose si sovrappongano sul Guardian. Mi sono sentito davvero onorato di poter parlare con Nafeez per sentire i suoi pensieri sull’attuale stato del dibattito sul picco del petrolio e sul futuro dei combustibili fossili, cosa dovremmo fare a riguardo e il ruolo che potrebbe giocare la Transizione. Come sempre, potete anche scaricare o ascoltare il podcast (ovviamente, in inglese).
Ho cominciato chiedendo a Nafeez di presentarsi…
Mi chiamo Nafeez Ahmed. Ho un passato nella sicurezza internazionale. Ero un accademico all’Università del Sussex in Rapporti Internazionali, osservavo la violenza di massa e le cause strutturali della stessa. Questo è ciò che mi ha portato a guardare più in profondità alle sfide che stiamo affrontando oggi, come il cambiamento climatico, il picco del petrolio e tutto il resto. E come tutto questo stia cambiando il mondo e creando un maggiore pericolo di conflitto, se guardiamo alle vie d’uscita limitate ed abitudinarie piuttosto che alle soluzioni trasformative. Ho scritto un libro su questo, dal titolo “Guida alla Crisi della Civiltà” ed ho anche fatto un documentario sul libro dal titolo La Crisi della Civiltà, che si può vedere gratuitamente su youtube (anche sottotitolato in italiano). Continua a leggere

The Crisis of Civilization

Un documentario (che non ho ancora guardato per intero, quindi non posso esprimermi compiutamente) che spiega la “crisi” in corso e le prospettive da qui in avanti.

Ci accompagna nel viaggio Nafeez Ahmed, uno dei giornalisti inglesi più informati ed espliciti, scrive principalmente sul Guardian e in questi anni ha continuato a mettere in evidenza problemi e contraddizioni del sistema che abbiamo costruito.

Oggi trovate sul blog di Rob una bella intervista proprio a Nafeez (c’è il podcast e tutto il testo trascritto). Il tutto al momento è per angloabili, ma potrebbe essere materiale interessante. Intanto lo segnalo.

—–

Aggiornamento: documentario con sottotitoli in italiano qui.
Aggiornamento: Rupo ha già aggredito l’intervista e sarà presto domata all’italico idioma.

The power of just doing stuff

[youtube=http://youtu.be/rsIhiuzSOjQ]

Un video piccolo piccolo che accompagna l’uscita del nuovo libro di Rob “The Power of Just Doing Stuff” (il libro non l’ho letto quindi per il momento non so dirvi nulla).

Su un aereo per fermare il CO2

Salve a tutte/i,

eccovi uno splendido spunto di Rob Hopkins per riflettere sulle nostre scelte. Quando può essere utile al processo, dovremmo essere capaci di fare anche cose che ci sembrano apparentemente sbagliate, o che vanno contro il nostro modo di sentire e le nostre scelte. La resilienza è adattamento a ciò che la vita ci pone di fronte, unita alla capacità di pensare a lungo termine.

Magari a nessuno di noi si è presentata una possibilità come questa che si è presentata a Rob, ma potrebbe essere utile calare la situazione che lui ci descrive nella nostra esperienza specifica, per capire dove anche noi potremmo tirare le leve giuste e dalla parte giusta. E poi, chi lo dice che non potrebbe capitarci una situazione simile?

Buona lettura e… non prenotate un volo dopo aver letto questo articolo!


Perché marco il passaggio a 400 ppm tornando su un aereo

Di Rob Hopkins

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR



Nel novembre del 2006, ero seduto in fondo al cinema Barn, a Dartington, e guardavo “Una scomoda verità”. Quel film ha avuto un tale impatto su di me allora, che avevo deciso che semplicemente non potevo lasciare quel cinema senza marcare l’evento facendo un qualche cambiamento nella mia vita. Ho deciso quella sera di non volare più e non ho più preso un aereo da allora. Ho svolto un ruolo attivo nel sostenere la crescita di un movimento internazionale in 40 paesi da allora, partecipando a innumerevoli workshop e discusso la Transizione a livello internazionale via Skype e discorsi pre-registrati, in molti dei quali comincio parlando di quanto carbonio ho risparmiato non viaggiando di persona. Tuttavia, ho visto recentemente il film “Chasing Ice”, e questo ha avuto, se non altro, un impatto ancora più viscerale di “Una scomoda verità”. La mia decisione dopo averlo visto, rafforzata dal recente passaggio per la prima volta a 400 ppm di CO2 in atmosfera, è stata che fosse tempo di tornare su un aereo e voglio utilizzare questo post per raccontarvi il perché.

Quando sono nato, la concentrazione atmosferica di CO2 nell’atmosfera terrestre era di 325,36 ppm. Avevo 19 anni quando ha superato le 350 ppm per la prima volta, il livello che scienziati del clima come James Hansen sostengono essere la concentrazione più alta possibile se vogliamo “preservare un pianeta simile a quello sul quale si è sviluppata la civiltà ed al quale si è adattata la vita sulla Terra”. Quando, nel 2004, sono stati seminati i primi semi della Transizione, nel momento in cui ero seduto coi miei studenti al Further Education College di Kinsale (Irlanda) a guardare The End of Suburbia, ci trovavamo a 376,15 ppm. Nel giorno in cui è partito questo blog col suo primo post, ci trovavamo a 378,29 ppm. Quando ho visto “Una scomoda verità”, era a 380,18 ppm. Il giorno in cui è stato fondato ufficialmente il Transition Network avevamo raggiunto le 386,40 ppm. Il

Il giorno in cui ho lasciato Venezia lo scorso settembre, dopo la conferenza sulla Decrescita (alla quale ero andato in treno), guardando Venezia dal battello come quel gioiello straordinario che è, a pochi pollici sul livello del mare, le concentrazioni avevano raggiunto le 391,06 ppm.

The rise in atmospheric CO2 concentrations during my lifetime (http://www.esrl.noaa.gov/gmd/ccgg/trends/#mlo_data).

Un paio di settimane fa abbiamo superato, per la prima volta, 400 ppm. E’ solo un numero, ma ha avuto un profondo impatto su di me, una linea sulla sabbia che fa riflettere, uno schiaffo in piena faccia profondamente inquietante da parte della realtà. Come dice Joe Romm su Climate Progress:

Certo, visto che siamo arrivati a 400 ppm per la prima volta nell’esistenza umana senza nemmeno un piano per evitare i 600 ppm, o gli 800 ppm e quindi i 1000 – senza nemmeno una discussione nazionale o una protesta da parte della cosiddetta intelligentia – vale la pena di chiedersi, perché? C’è qualcosa di innato nell’Homo “Sapiens” che ci rende dimentichi dell’ovvio?

Questo significa che gli attuali livelli di CO2 nell’atmosfera sono di gran lunga maggiori di quanto lo siano stati perlomeno negli ultimi 4,5 milioni di anni. Il grafico sotto mostra come le concentrazioni siano fluttuate durante gli ultimi 800.000 anni. Per via del contesto, 30.000 anni fa, l’uomo di Cro-Magnon era fiorente, cacciava, raccoglieva e dipingeva le pareti delle grotte. Il Guardian ha creato una splendida infografica che racconta la storia delle 400 ppm e cosa significano in modo molto ben comprensibile. Come dice Damien Carrington sul The Guardian “l’ultima volta che c’è stata così tanta CO2 in aria è stato diversi milioni di anni fa, quando l’Artico era senza ghiacci, la Savana si è diffusa sul deserto del Sahara e il livello del mare era fino a 40 metri più alto di oggi”.

Nonostante tutti gli sforzi dei movimenti verdi, delle iniziative di Transizione, di una moltitudine di conferenze internazionali e di inutili accordi, l’aumento è continuato inesorabilmente. Mostra piccoli segni di rallentamento, l’International Energy Agency ha avvertito lo scorso anno che il mondo è sulla strada per un aumento delle temperature di almeno 6 °C per il 2100.

Carbon dioxide concentrations for the last 800,000 years (http://keelingcurve.ucsd.edu/)

So che la mia scelta di non volare più ha ispirato molta gente a fare la stessa cosa, ma ha avuto un qualche impatto in termini assoluti sull’aumento dei livelli di emissione? Chiaramente no. Ma è stata la cosa giusta, finora, da fare? Assolutamente. Un affascinante saggio di Joakim Sandberg dal titolo Le mie emissioni non fanno differenza ha esplorato questo tema. Egli scrive:

Il mio consiglio è che abbiamo un obbligo collettivo di cambiare i nostri modi e questo obbligo collettivo potrebbe essere parzialmente separato dall’obbligo individuale. Mentre il mio volare o non volare non fa differenza, dovrebbe essere considerato, il cambiamento climatico potrebbe essere evitato se tutti cambiassimo i nostri modi. Ma allora sembra plausibile dire che noi agiamo in modo sbagliato come collettività, anche se nessun guidatore o passeggero di aerei non stesse facendo niente di sbagliato. Questa visione potrebbe essere ulteriormente spiegata dicendo che la questione morale può essere posta almeno su due livelli, con riferimento implicito ai diversi tipi di attori. Una cosa è chiedersi “Cosa dovrei fare?”, ma chiedersi “Cosa dovremmo fare?” è una cosa molto diversa e le risposte potrebbero non essere sempre convergenti.

Il fatto è che in un momento della storia in cui abbiamo disperatamente bisogno di tagliare in modo netto le emissioni, abbiamo tutti la responsabilità di rivalutare il comportamento che intraprendiamo e che rende normale, per le persone intorno a noi, modi di agire che generano alti livelli di emissioni. Come dice Sandberg, “mentre potrebbe non essere proprio sbagliato per me guidare o volare, potrebbe però essere sbagliato per noi farlo e dobbiamo per questo trovare modi per coordinare i nostri sforzi ambientali in modo più efficace”. Continuerò a non volare per le vacanze o per ragioni familiari, alle conferenze, praticamente quasi per nessuna ragione. Tuttavia ho deciso, dopo discussioni con le persone con le quali lavoro, che superare le 400 ppm, la portata della crisi climatica, significa che è tempo di tornare su un aereo, nel caso in cui i benefici possano essere considerati come maggiori degli impatti. Circa il 25% delle emissioni mondiali provengono dagli Stati Uniti, il più grande emettitore mondiale di biossido di carbonio. Di recente ho avuto una conversazione toccante con una persona che negli Stati Uniti lavora per un’organizzazione che finanzia i gruppi che agiscono sul cambiamento climatico e che è molto ben collegata politicamente negli Stati Uniti. Lei mi ha detto, con la voce rotta dall’emozione, che aveva la sensazione, dai sui colloqui con gente che conosce alle Nazioni Unite e di altre organizzazioni, che sembra esserci un consenso nel dar loro altri 18 mesi, al massimo 2 anni, e poi il finanziamento e quindi lo sforzo politico passeranno dalla mitigazione all’adattamento e la difesa. Lo dirò ancora. Il finanziamento e lo sforzo politico passeranno dalla mitigazione all’adattamento e la difesa. O, per dirlo con altre parole, si arrenderanno. Il consenso passerà al presupposto che sia troppo tardi. Ufficialmente. L’imminente briefing della Casa Bianca sullo stato del ghiaccio Artico e le sue implicazioni probabilmente non sarà di aiuto, data la gravità e l’apparente irreversibilità della situazione. Mi rifiuto di accettare che lo sbilanciamento a 500 ppm, 600 ppm, 800 ppm sia una cosa inevitabile. Mi rifiuto di accettare, come ha cercato di dire Nigel Lawson nel suo dibattito con l’incredibilmente paziente Kevin Anderson alla trasmissione radiofonica di Jeremy Vine di recente, che fare qualcosa per il cambiamento climatico impatterebbe sulla crescita economica e quindi non dovremmo disturbarla. Mi rifiuto di essere d’accordo con Peter Lilley che l’unico modo di preservare la nostra economia si di permettere il fracking per il gas senza restrizioni e ovunque l’industria del gas decida di voler perforare perché “non ci sono semplicemente tecnologie rinnovabili disponibili che ci possiamo permettere per rimpiazzare i combustibili fossili”. Mi rifiuto di accettare che non possiamo fare un po’ meglio di quanto facciamo ora e che le comunità abbiano solo un ruolo passivo da giocare nel fare qualcosa per questo col lavoro vero fatto dai governi e dalle aziende. Mi rifiuto di arrendermi finché c’è ancora una possibilità.

Così, quando mi è arrivato un esplicito invito a parlare ad un incontro dai più grandi finanziatori filantropi al loro incontro negli Stati Uniti, e l’opportunità di presentare loro con la Transizione un modello dal basso, un’azione condotta dalla comunità e di spiegare come la Transizione si sia sempre più concentrata sulla creazione di una nuova economia, di proprietà della gente, a beneficio della gente, del clima e del futuro, ho dovuto pensarci due volte. Questa è proprio un’opportunità straordinaria di provare ed influenzare la mentalità della gente che ha il potere e la capacità di sostenere significativamente le comunità, e di altri attori cruciali, che hanno bisogno di agire per fare un vero e rapido passaggio così necessario. Ci ho pensato a lungo e duramente.

E sono giunto a un punto, anche questo attraverso discussioni con altra gente qui al Transition Network e con discussioni coi nostri amici di Transition US e del Post Carbon Institute, di sentire che valga la pena di andare e salire su un aereo per fare il viaggio, nella (probabilmente ingenua) speranza che questo possa seminare qualche seme di una nuova direzione nelle menti di qualcuno dei più importanti finanziatori statunitensi, dare una spinta a Transition US, elevarne il profilo, facendo quello che posso per provare e sostenere ciò che sta già avvenendo lì. Mi aspetto di tornare spremuto come una spugna. Questo non apre la porta al volare qua e là. Questo è un invito molto particolare che è stato valutato interamente nel merito.

Cosa faccio adesso? Molti dei movimenti, idee, persone e progetti che mi hanno ispirato durante gli ultimi 20 anni sono venuti dagli Stati Uniti. Avvengono cose straordinarie laggiù, progetti ispirati, grandi movimenti, reti incredibili. Ma se la Transizione può portare qualcosa di energizzante, qualche intuizione dal proprio esperimento globale di 7 anni, qualche tipo di rinnovato ottimismo sul fatto che il cambiamento è possibile, qualcosa, qualsiasi cosa, allora sembra valere la pena farlo, prima che la finestra di possibilità si chiuda.


Ciò che mi tormenta ogni giorno, e non c’è dubbio che lo farà per il resto dei miei giorni, è cosa dirò ai miei nipoti quando mi chiederanno cosa ho fatto durante il tempo in cui il cambiamento climatico poteva essere messo sotto un qualche tipo di controllo, quando i cambiamenti necessari potevano essere messi in atto per creare una cultura a basso tenore di carbonio, resiliente e prosperosa che nutrisse le culture umane. Sono stato efficace come potevo essere? Ho fatto tutto ciò che potevo? Avendo riflettuto su questo per un po’ di tempo, sembra meschino declinare un’opportunità che potrebbe potenzialmente avere un impatto di gran lunga più positivo di quello negativo del volo. Così, a un certo punto a fine settembre, sembra che farò quel viaggio. Piuttosto, quello che farò quando sarò lì deve ancora essere concordato (anche se ovviamente vi farò sapere). Se questo avrà un qualche impatto significativo è ancora meno certo. Ma deve essere fatto, quindi lo faccio.

Le statistiche della concentrazione di CO2 provengono dal sito web dell’Earth System Research Laboratory, da misurazioni prese alla stazione di ricerca di Mauna Loa.

Uk dovrà zappare per mangiare

A volte è interessante vedere cosa dicono i ministri negli altri Paesi europei. Quando lo racconto negli incontri non è semplice far capire quanto fatica faccia il nostro apparato culturale (parlo dell’Italia) a rimanere al passo con gli eventi.

Date allora un occhiata a questo articolo apparso oggi su The Telegraph e che riporta le dichiarazioni del ministro UK David Heath (il suo ministero è quello dell’Agricoltura e Alimentazione) in merito ai rischi alimentari che il paese corre nel prossimo futuro.

“We made a huge mistake a few years ago when the idea got around that we didn’t need to produce in the agricultural sector any more, that we would be able to buy our way through whatever was necessary to feed the country.

We need to be able to produce enough to deal with the requirements in this country. Food security is going to be an issue of increasing relevance.”

“Abbiamo fatto un errore enorme anni fa, quando abbiamo pensato di non aver più bisogno della produzione del settore agricolo e che saremmo stati in grado di comprare qualsiasi cosa fosse necessaria per nutrire il paese.

Dobbiamo essere in grado di produrre a sufficienza per soddisfare le esigenze di questo paese. La sicurezza alimentare diventerà un problema di crescente rilevanza.”

Ovviamente può fare una grande differenza il fatto di avere un governo che informa la nazione e dice le cose come stanno. Anche se va notato che poi lo stesso Heath ripone grandi fiducia nelle tecnologie OGM per la creazione di varietà a grande resa (magari non ci metterei tutte le uova in quella cesta).

In ogni caso stiamo parlando di un paese che si e ridotto a un livello di dipendenza dall’esterno davvero spaventosa. L’Italia non è a questo livello di disperazione, ma si muove spesso in direzioni pericolose e invece di conservare l’immenso capitale agricolo di cui ancora dispone lo distrugge o lo orienta in direzioni folli (mi spiegate cosa dovremmo fare con tutta questa vigna che abbiamo messo ovunque?)

Spesso negli ambienti della Transizione si trova un atteggiamento un po’ ossessivo nei riguardi del cibo, degli orti, dell’agricoltura, ma le ragioni sono sempre più evidenti, le minacce sempre più presenti. Continuiamo quindi a riprogettare i nostri territori, preoccupiamoci degli aspetti di adattamento climatico e della grande rete di relazioni sociali che la produzione del cibo deve saper innescare.

Facciamo esperienza, perché via via che le istituzioni si risvegliano avranno tanto, tanto bisogno di aiuto e non sapranno che direzione prendere.

Un aiuto dalla NASA ai divulgatori

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Questa mattina Naresh ha twittato un link al sito della NASA che credo possa fare la felicità di molti di noi che si arrabattano a rendere disponibili informazioni sui cambiamenti climatici. Finalmente riuniti in un unico posto (qui) tutti i date chiave, con i grafici che servono e le infomazioni di base per comprendere il ruolo del biossido di carbonio CO2.

Molti dei grafici sono interattivi e i dati sono scaricabili quindi, se poi volete rielaborare la forma di rappresentazione, vi basta solo curare l’aspetto infografico. Una manna per giornalisti scientifici, divulgatori, facilitatori, insegnanti… (più in generale la NASA nel sito MyNasaData rende disponibili tantissimi dati pensati per il pubblico dei non scienziati).

Questa era la buona notizia (per iniziare bene la settimana), la cattiva è che pare proprio che ci stiamo giocando l’artico (articolo in italiano).

Quanto sono larghe le tue spalle?

Salve a tutte/i, credo che questo post di Rob Hopkins sia particolarmente significativo ed importante. Forse in Italia quello di cui si parla qui non è ancora accaduto o è accaduto in forme ancora leggere. Ragione in più per farsi le ‘spalle larghe’ sin da ora. Buona lettura.

Quanto sono larghe le tue spalle? Monbiot, Mann, McKibben, vari Transizionisti ed altri ancora su cosa fare quando la vostra Iniziativa di Transizione è sotto attacco.

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

Quando i gruppi di Transizione vanno in profondità col proprio lavoro e cominciano ad avere un impatto tangibile, forse è inevitabile che coloro che non sono d’accordo esprimano le loro opinioni con vigore. Durante gli ultimi mesi è stata anche la mia esperienza personale di trovarmi in questa posizione a Totnes e devo dire che non è stato particolarmente piacevole. Alla fine le cose sembrano essersi calmate e quindi quello che mi piacerebbe fare in questo post, con l’aiuto di qualche nome che potreste conoscere e che ha avuto molta più esperienza di me su questo tipo di cose, è di provare a tirar fuori da tutto questo un qualche insegnamento.

Il vostro gruppo di Transizione potrebbe aver vissuto qualcosa di simile, o potrebbe viverlo in futuro, quindi spero che troviate questa conversazione utile. E’ una cosa della quale non ho visto parlare granché altrove. Lo scorso anno, ho partecipato alla Conferenza del Giorno dell’Indipendenza a Frome. Gruppi da tutto il Regno Unito si sono riuniti per condividere le proprie esperienze per cercare di fermare sviluppo indesiderato, nuovi supermercati, la clonazione delle proprie vie principali e così via. C’è stata un’utile condivisione di idee, ispirazione ed esperienze, ma quello che mi ha sorpreso è stato che praticamente tutti hanno vissuto una reazione da un gruppo locale che dichiara di rappresentare la “maggioranza silenziosa” della comunità. In alcuni casi è stata una cosa relativamente civile, in altri è stata un’esperienza orribile. Quindi qual è il miglior modo di far fronte ad attacchi del genere?


Naturalmente potrei solo dire, come hanno fatto alcune persone alle quali ho parlato quando stavo vivendo questo, che tutto ciò di cui hai bisogno in una situazione tale è di farsi le “spalle larghe” e continuare, che è in linea con le cose. Tuttavia un tale approccio, anche se possibile, ignora gli effetti che tali cose hanno realmente su di noi e, ignorare quegli impatti può portare a esaurimento e stress. La mia esperienza è stata certamente così, la mie spalle non erano così larghe quanto avrei potuto pensare e questo a volte, quando ci si trova dalla parte di chi riceve una cosa del genere, può essere un vissuto di solitudine e isolamento che può anche portarti a mettere in dubbio ciò che fai. Non è una buona situazione in cui trovarsi e non la augurerei a nessuno. Continua a leggere