Rob Hopkins sulla svolta di Holmgren

Salve a tutt*,
premetto di non aver letto il saggio di David Holmgren, ma a giudicare dal grafico elaborato da Albert Bates, dev’esserci stato un passaggio considerevole nella sua visione. Essendo due punti di vista molto importanti (perché anche molto informati) sul nostro futuro, ho deciso di sottoporvi la traduzione di questo articolo di Rob dove ci sono considerazioni importanti. Buona lettura.

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Il “Collasso on Demand” di David Holmgren: attenti a cosa desiderate

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

E’ un evento raro che io non sia d’accordo con David Holmgren. E’ uno dei miei eroi e co-fondatore della Permacultura e generalmente trovo il suo intelletto formidabile, le sue intuizioni sulla Permacultura rivelatrici e il suo punto di vista sui più ampi modelli e scenari che si aprono intorno a noi profondamente perspicaci. Ma mentre nel suo recente saggio, Collasso on Demand, c’è molta intuizione, solleva anche molte domande e problemi che vorrei esaminare qui. Sono preoccupato dalle sue conclusioni e anche se capisco la logica che ci sta dietro, temo che possano rivelarsi una strada pericolosa da percorrere se non contrastata.

‘Collasso on Demand’ in sintesi

Quali sono gli argomenti centrali del saggio? Il saggio raccoglie gli argomenti dal suo lavoro “Scenari futuri” di qualche anno fa, rivalutando la loro rilevanza in un mondo in rapido cambiamento (potete leggere il sommario di Jason Heppenstall sul nuovo saggio qui). In sostanza, Holmgren è giunto a pensare che una graduale discesa energetica non avverrà. Invece del suo scenario Futuro Green Tech, che vede una risposta concertata del governo (simile a quello che vediamo in Germania) o dello scenario di Gestione Planetaria (Earth Stewardship), uno spegnimento intenzionale, Holmgren sostiene che in realtà ci stiamo addentrando in quello che chiama “Tecnologia Marrone” (Brown Tech). Il Brown Tech è emerso perché “gli alti prezzi energetici hanno permesso alle compagnie energetiche nazionali e private di mettere in atto molti nuovi progetti di energia fossile e rinnovabile che stanno tamponando l’impatto del declino della produzione dei vecchi giacimenti ‘supergiganti’”. Gran parte di questi nuovi progetti di combustibili fossili, sostiene, “generano di gran lunga più gas serra delle fonti convenzionali che hanno sostituito”.

David Holmgren

Il ritmo di spiegamento del cambiamento climatico ha superato le aspettative e il mondo, se dovesse continuare a perseguire il Business as Usual, è ancora in rotta per un aumento delle temperature di 6°C, che sarebbe catastrofico. Holmgren dichiara che abbiamo aspettato troppo per un futuro intenzionale Green Tech e che le vulnerabilità strutturali dell’economia significano che il futuro attualmente emergente ‘Brown Tech’ sarà di breve durata. Suggerisce che in questo contesto, “un grave collasso globale economico e sociale spegnerebbe le emissioni di gas serra a sufficienza da cominciare ad invertire i cambiamento climatico” e che dovremmo deliberatamente fare in modo che questo accada. Questo mi preoccupa. Ho due obiezioni chiave al saggio che esprimerò sotto.

Uno: Economia post crescita = collasso economico? Davvero?

Il primo punto in cui mi sento non in linea col saggio è nella sua conclusione generale, cioè che un mondo post crescita e climaticamente responsabile è inevitabilmente un collasso economico. Holmegren scrive:

Se accettiamo che un collasso finanziario globale potrebbe rendere molto difficile, se non impossibile, far ripartire l’economia globale con nient’altro che emissioni ridotte drasticamente, allora può essere posta un’argomentazione per sforzarsi a far precipitare quel collasso, il collasso del sistema finanziario”.

Sostiene che “un cambiamento radicale nel comportamento di una percentuale relativamente piccola della classe media globale potrebbe far precipitare un collasso del genere”. E continua:

Credo che costruire attivamente famiglia e comunità locale parallela e non monetaria con il 10% della popolazione abbia il potenziale di funzionare da boicottaggio sistematico del sistema centralizzato nel suo complesso, ciò potrebbe portare ad una contrazione di più del 5% delle economie centralizzate”.

Questa sembra una dichiarazione enorme. Non viene usata nessuna ricerca per sostenerla. E’ anche un enorme salto per dichiarare che l’economia post crescita sia inevitabilmente un collasso economico, oltre ad essere una proposta molto centrata sull’occidente. Parlando di recente con persone cinesi e indiane, è chiaro che il tipo di “post materialisti” che nelle economie occidentali possono essere pionieri di questo “collasso on demand” difficilmente ci sono lì e quelle sono economie in cui le emissioni stanno di fatto crescendo.

Inoltre, su quale ricerca è basata quest’idea che boicottare l’economia la metterebbe in ginocchio e che sarebbe una cosa buona da fare? Il principale riferimento a questo pensiero viene dato quanto Holmgren dichiara:

Nel 2008, il lavoro di analisti sistemici come Nicole Foss e Steve Keen mi hanno convinto che le economie deflazionarie sarebbero (e sono già) i fattori più potenti che danno forma al nostro futuro immediato”.

Ora, non sono un economista. Il tema, una volta che comincia a diventare anche vagamente complicato, mi lascia piuttosto perplesso. Ma so che ci sono punti di vista diversi da quelli della Foss e di Keen e molti di loro non condividono la loro analisi (detto a parte, mi sto ancora grattando la testa a causa della dichiarazione, nella sua risposta a questo pezzo di Holmgren, che “il modo migliore per affrontare il cambiamento climatico e non parlarne”). C’è un’ampia gamma di visioni su cosa accade quando un’economia smette di crescere oltre a quelle di Foss e Keen. Eccone alcune. Robert Solow, vincitore del Premio Nobel per l’Economia ha detto:

Non c’è ragione alcuna per la quale il capitalismo non possa sopravvivere senza una crescita lenta o senza crescita. Penso che sia perfettamente possibile che la crescita economica non possa continuare al tasso attuale per sempre”.

Quando ho parlato con Peter Victornel 2012, l’autore di Farcela senza crescita(sottotitolato “Più lento per intenzione, non per disastro”), gli ho chiesto “quindi la fine della crescita economica non significa necessariamente un collasso economico?” E lui mi ha risposto:

Potrebbe significare questo, se si ha un sistema economico che si basa sulla crescita. E’ questo il dilemma che abbiamo adesso. Sembra che a meno che l’economia non cresca, questa flirti col collasso o collassi. La sfida per noi è provare a configurare un’economia che non cresca e non collassi”.

Tim Jackson, in ‘Prosperità senza crescita’, scrive:

Il rischio di un collasso umanitario è sufficiente per mettere un punto di domanda sulla possibilità di poter semplicemente fermare la crescita economica. Se fermare la crescita porta al collasso economico e sociale, allora i tempi sembrano in effetti più difficili. Se questo può essere ottenuto senza collasso, le prospettive per conservare la prosperità sono considerevolmente migliori”.

Il libro di Rob Dietz e Dan O’Neill Adesso basta, che esamina le possibilità di un’economia post crescita di stato stazionario, non menziona nemmeno la parola ‘collasso’ nel libro. Kevin Anderson, uno dei pochi scienziati del clima che dichiara esplicitamente che stare al di sotto i 2°C esclude la crescita economica come possibilità, mi ha detto, quando l’ho intervistato nel 2012:

Naturalmente il nostro punto di vista è che, per mantenere i 2°C, dovremmo pianificare una contrazione economica. Non deve avere necessariamente l’impatto che ha molto chiaramente avuto, un impatto molto ingiusto, in Russia in particolare”.

Non l’ho mai sentito usare la parola collasso in relazione alle proprie proposte. Quando ho assistito alla conferenza per la Decrescita a Venezia lo scorso anno, non ricordo nessuna presentazione, in mezzo a tutto il programma di conferenze e presentazioni di 4 giorni, che nessuno abbia parlato di collasso. Quindi, per uno, non accetto quest’idea che fermare la crescita, anche se conseguibile, significhi inevitabilmente collasso e che battersi per la causa del collasso sia un approccio pericoloso ed irresponsabile.

Nel movimento ambientalista in generale, e nella Transizione in particolare, ci sono state a lungo tensioni fra lo “schierarsi apertamente” (concentrandosi sempre sui potenziali aspetti positivi del cambiamento climatico) e il lanciarsi direttamente sull’idea di collasso. Come ha detto John Michael Greer in un pezzo del 2007 intitolato Rendere immanente l’Eschaton:

Una cosa è cercare di percepire la forma del futuro in anticipo e di fare cambiamenti costruttivi nella propria vita per prepararsi per le possibilità peggiori, è tutta un’altra cosa convincersi che la storia sia diretta dove si vuole che vada. E quando il corso che si è tracciato per questo proietta semplicemente la traiettoria di un mito troppo familiare sui modelli a macchia di inchiostro del futuro, rendere immanente l’Eschaton può diventare una ricetta per il disastro auto indotto”.

Ma non è solo una cosa o l’altra, è uno spettro. Non mi è chiaro perché Holmgren si lanci dritto verso il collasso. Sostiene che a suo modo di vedere, a prescindere da quello che facciamo, c’è un 50% di possibilità di un collasso comunque, come conseguenza inevitabile della fragilità del nostro sistema economico. Ma non viene fornita alcuna prova di questo.  Come ha sottolineato un recente saggio del Simplicity Institute (che ha anche pubblicato ‘Collasso on demand’) intitolato ‘L’alternativa verde profonda’, fra la crescita industriale e il collasso c’è un ampio spettro di approcci, tutti esaminano strade diverse ad “un modo radicalmente alternativo di vivere sulla Terra – qualcosa di ‘totalmente altro’ dai modi dell’industrializzazione, del consumismo e della crescita illimitata”. Ridurre questa discussione a ‘o questo o quello’ non serve davvero a nessuno. Tutto questo porta al mio secondo punto, cioè a come Holmgren comunica la sua proposta.


Due: il concetto di ‘mezzi abili’ (Upāya)

C’è un concetto del Buddhismo chiamato “mezzi abili” che offre alcuni spunti davvero utili per quanto riguarda ciò che sta alla base del mio disaccordo col saggio. Mezzi abili (o Upāya in Sanscrito) viene a volte tradotto anche come tatto o ingegno e si riferisce che diverse persone hanno diverse capacità, modi diversi di prendere informazioni. Se si vuol condividere un’intuizione con persone diverse, date la comprensione e la saggezza sufficienti, con qualcuno ci si può sedere e spiegarla, con qualcun altro bisogna raccontare una storia, e un’altra, si potrebbe semplicemente fare un commento particolare in un momento particolare che innesca un flusso di pensieri che porta alla stessa conclusione. Per me, mezzi abili è quello che manca in questo saggio. Personalmente, trovo che l’analisi di Holmgren, cioè che sembra che stiamo passando ad uno scenario Brown Tech, che il cambiamento climatico stia accelerando, che nessuna leadership sembra probabile da parte della maggioranza dei governi, sia avvincente. E’ un’analisi utile, una revisione utile degli Scenari Futuri. Potrebbe essere che qualcuno coinvolto nel lavoro di localizzazione e resilienza scelga di vedere quello che stanno facendo nel contesto di un tentativo deliberato di far collassare il sistema. Ma è in qualche modo ‘abile’ riformulare pubblicamente questo come motore della Transizione o della Permacultura per quella materia? E’ qui che mi dissocio da Holmgren. Questo non vuol dire che non capisco perché lo avrebbe pensato. Lo scienziato del clima Kevin Anderson ha recentemente dichiarato “Oggi, dopo due decenni di bluff e bugie, il bilancio che rimane di 2°C richiede cambiamenti rivoluzionari dell’egemonia politica ed economica”. Sostiene che la crescita economica non è più compatibile col restare al di sotto dei 2°C. Questo senso di urgenza del tutto giustificato porta alcuni ad un approccio al cambiamento climatico che fa risuonare da vicino le parole famose di Mario Savio del 1964:

C’è un tempo in cui l’operazione della macchina diventa così odiosa, ti fa star così male di cuore che non ne puoi far parte! Non puoi farne parte nemmeno passivamente! E invece dovete mettere il vostro corpo sopra gli ingranaggi e sulle ruote… sulle leve, sugli apparati e dovete fermarla! E invece dovete indicare alla gente chi la manovra, chi la possiede, che a meno che non siate liberi, alla macchina sarà impedito di funzionare del tutto!”

Ma immaginare che un movimento popolare possa essere costruito intorno all’idea di far deliberatamente collassare l’economia globale mi sembra estremamente ingenua. Si dimostrerebbe virtualmente impossibile ottenere un qualsiasi tipo di sostegno del mainstream politico. Mentre un certo numero di Parlamentari ai quali ho parlato sono felici di dichiarare a microfoni spenti che hanno dubbi sul fatto che la crescita sia il modo migliore di procedere, nessuno di loro lo direbbe al microfono.

La mia domanda è, se Holmgren ha ragione a suggerire di cercare deliberatamente di far accadere il collasso economico (cosa che personalmente penso sia una proposta ingenua e irresponsabile), come è meglio comunicare questo? Qual è il pubblico di questo saggio? E’ scritto in modo tale da essere appetibile per una grande gamma di lettori? No. E’ scritto per PCN (Persone Come Noi). Non è scritto per potenziali alleati nei governi locali, sindacati, per le potenziali ampie coalizioni delle organizzazioni locali che cercano di costruire i gruppi di Transizione, per la diversità dei punti di vista politici che si trovano in gran parte delle comunità. E’ scritto per il settore molto ridotto delle persone che leggono questo tipo di cose. Tuttavia, i problemi ai quali dobbiamo dare risposte sono percepiti in tutta la società e necessitano di risposte da tutta la società. E’ stata innanzitutto proprio la mia frustrazione rispetto all’apparente accontentarsi della Permacultura di restare in una nicchia costruita da sé, che mi ha spinto ad iniziare a pensare alla necessità della Transizione. Questo saggio offre qualcosa di simile ad una profezia che si auto avvera: Se presentiamo le alternative al collasso in modo tale che non abbiano attrattiva su nessuno, l’opportunità di evitarlo (sempre che sia inevitabile) diveta ancora più improbabile. E’ l’antitesi dei mezzi abili.

Mi sembra che ciò che dobbiamo fare, e quello che Permacultura, Transizione e molti altri movimenti nel mondo stanno cercando di fare è costruire resilienza, modellare un’economia post crescita, dal basso verso l’alto a livello di comunità, l’economia “attivamente parallela” che descrive Holmgren. Per esempio, a Totnes, abbiamo prodotto un Progetto economico locale. Ha indicato il caso, costruito su una lunga ricerca, per uno spostamento del 10% verso un’economia locale. Parte della sua forza è stata la coalizione fra gli azionisti locali, che lo hanno co-pubblicato, l’Amministrazione Comunale, la Camera di Commercio, il Trust per lo Sviluppo e così via. Ma rappresentava sé stesso come un piano per far collassare deliberatamente l’economia globale per salvare la biosfera? Se lo avesse fatto, quasi certamente saremmo stati il solo gruppo coinvolto. Invece ha trovato una formulazione della quale erano tutti contenti:

Siamo d’accordo che l’obbiettivo generale di questo sistema è quello di massimizzare il benessere di tutta la nostra comunità e di farlo in un modo che usi e distribuisca le risorse in modo giusto e rispettando i limiti naturali. La crescita economica è benvenuta, certamente all’interno dei settori identificati all’interno del progetto, ma non ad ogni costo”.

Permettere il tipo di spostamento del capitale finanziario dai combustibili fossili a investimenti in economie locali resilienti che ho esposto la settimana scorsa sarà la chiave per permettere la transizione. In quanto costruirà coalizioni vibranti di organizzazioni locali intorno ai benefici di operare in questo modo.

Holmgren sostiene, nel suo grafico di ‘Scenari Incrociati’ (sotto) che ciò cui assistiamo sono scenari diversi che si dispiegano su scale diverse. “In una certa misura”, scrive, “tutti gli scenari stanno emergendo simultaneamente e potrebbero persistere in qualche modo, intrecciati l’uno con l’altro”.


Secondo me, piuttosto che provare ad usare i livelli della comunità locale e della famiglia per cercare di far collassare deliberatamente l’economia, entrambe hanno un enorme potenziale, finora appena scalfito, di ispirare e modellare una nuova economia. Una che sia a basso tenore di carbonio, resiliente e che costruisca giustizia sociale. Tuttavia, questo può accadere soltanto con il sostegno, la fiducia e l’impegno molto ampi che un obiettivo esplicito di “collasso on demand” ed il tipo di linguaggio e approccio intrinseco incarnato in questo saggio renderebbe impossibile. Posso essere ingenuo, ma penso ancora che sia possibile metter in moto questo in un modo che, come illustra il Bristol Pound, ottenga il sostegno e la fiducia del livello ‘città/Stato’ e comincia realmente a fare pressione e a influenzare il pensiero “nazionale”. Posso essere ingenuo, ma è preferibile al collasso economico nella mia agenda e penso che possiamo ancora farlo. Inoltre, se Holmgren chiederà esplicitamente un tentativo orchestrato per innescare un collasso economico, questo saggio dovrebbe contenere sicuramente di più su come potrebbe essere. Cosa significa collasso per chi vive in un deserto alimentare al centro di una città, quali benefici vengono coperti, ridotti o portati via del tutto, senza accesso alla terra per coltivare, senza nessuna capacità e poco interesse nell’acquisirne qualcuna? Come intende “vendere” loro questo messaggio per farlo sembrare una proposta invitante? Dato che uno dei tre punti centrali della Permacultura è “Cura della persona”, questo saggio è sorprendentemente carente in tali considerazioni. Oppure si sta dirigendo verso una posizione che presume che i pericoli del cambiamento climatico sono così soverchianti che il collasso da incubo che porterebbe in tali comunità è semplicemente ciò che deve succedere, un tipo di approccio “non si può fare la frittata senza rompere qualche uovo”. Può essere davvero giusto che “una piccola percentuale della classe media globale” dovrebbe essere capace di far cadere quelli che stanno sotto di loro nella scala sociale in un caos del genere senza una strategia chiara su come una tale sofferenza su larga scala possa essere mitigata? Se è così, questo porsi da un lato dei problemi di giustizia sociale è allarmante. Come ha scritto Yotam Marom di recente:

Dobbiamo re-imparare la crisi climatica come una crisi che unisce le nostre lotte ed apre il potenziale per il mondo per il quale stavamo già combattendo”.

Ultimi pensieri.

C’è una progressione di pensiero in questo saggio ed un punto nel quale mi dissocio da Holmgren. La crescita economica e il sistema finanziario attuali significano che siamo in corsa per un innalzamento delle temperature globali di 6°C. Sì, capito. Gli attuali approcci non funzionano. Sì, bene. Dobbiamo, con grande urgenza, andare oltre il paradigma della crescita verso un diverso approccio basato su economie locali e così via. Sì, sono con te. E come espone Naomi Klein nel suo recente articolo su New Statesman, ci sono le basi per costruire un movimento popolare intorno a questo. Ma poi dichiarare che dobbiamo deliberatamente ed esplicitamente far collassare l’economia globale mi sembra ingenuo e pericoloso, specialmente se non viene esaminato niente fra crescita e collasso. Questo mese sul sito del Transition Network esaminiamo il tema del “passaggio di scala”. Mi sembra che se c’è una via sicura e certa di assicurare che non faremo fare il passaggio di scala a tutto il grande lavoro già fatto nel mondo per costruire la comunità e la resilienza dell’economia locale, sarà quella di inquadrarlo deliberatamente proponendo un collasso economico. Ci porterebbe indietro di anni. Holmgren sostiene che:

portare questi problemi allo scoperto potrebbe ispirare gli attivisti climatici e politici a mettere la loro notevole energia nella Permacultura, nelle Città di Transizione, nella frugalità volontaria e in altri aspetti positivi dell’ambientalismo”.

Ecco come può essere, ma se vogliamo far succedere qualcosa, dobbiamo portare a bordo anche la comunità più allargata e le altre organizzazioni. Dobbiamo parlare al di là delle ‘Persone Come Noi’. A meno che non siamo capaci di fare questo (il pezzo della scorsa settimana su Transition Laguna Beach ha mostrato un brillante esempio di tali mezzi abili nella pratica), un raduno di bandiere di collasso on demand sarebbe completamente controproducente. ‘Collasso on demand’ è un caso tipico di quello che si dice ‘fare attenzione a quello che si desidera’.

4 commenti
  1. Giorgio
    Giorgio dice:

    Già a suo tempo mi definirono bombarolo in giacca e cravatta ma questa volta sto decisamente con Rob.
    Il lato meno convincente della tesi sembra proprio essere quello che anche Rob indica: un eventuale boicottaggio di “coloro che sanno” NON arriverebbe certo al 10% della popolazione che regge l’economia, anche perché, “coloro che sanno” tendenzialmente stanno già in qualche modo boicottando l’economia.
    C’è poi l’istinto di sopravvivenza che in ognuno di noi porta, credo inevitabilmente, a boicottare un eventuale boicottaggio a scopo così distruttivo. Per accettare di tagliare il ramo su cui in qualche modo si sta seduti, bisognerebbe essere martiri che lavorano per la causa di generazioni future (difficilmente peraltro generate dal proprio DNA) o avere raggiunto un livello tale di disperazione da non essere più per nulla significativi per il boicottaggio stesso.
    Credo poi l’uomo non possa vivere e men che meno lottare senza la speranza di un futuro “migliore”. Al momento, credo proprio la nostra sfida sia quella di pensare e realizzare una economia che condivida i risultati e che funzioni prendendosi cura delle persone e della terra.

  2. Rocco Capobianco
    Rocco Capobianco dice:

    La strada può essere sempre positiva o negativa,felice o piena di paure ad ognuno di noi la scelta, Conoscere la meta e la strada da seguire è l’impegno di vita e di ricerca continua. ciao a tutti e grazie

  3. luca
    luca dice:

    E’ imbarazzante mettersi in mezzo a due tali bandiere per un commento. Rob offre il messaggio della speranza, indispensabile per sognare e proiettarci oltre il sogno, David come sempre è concreto. Ho letto con molta attenzione future scenarios alcuni anni fa’; le componenti sono tante e tali da levare il sonno ai più, inoltre come ben saprete, qualche mese fa’ la germania ha congelato i piani green tech dei prossimi anni a favore di ciò che chiamiamo brown, quindi lo scenario n°2 è ormai in entropia. Holmgreen termina il suo libro ricordandoci che la ns generazione deciderà in una manciata di anni il futuro di svariate generazioni, e chiede di essere consapevoli che i ns antenati ci stanno osservando con preoccupato interesse… Quando Rob dice di essere sorpreso perchè il pensiero di David non include l’etica della cura delle persone, io mi chiedo: ma quali persone? Noi che abbiamo già avuto tanto e che sentiamo in diritto di salvare, oppure quelli che verranno poi e che non avranno nulla?… Forse velatamente, la richiesta di lavorare per il collasso, ci apre a pensare che dovremmo avere la responsabilità di agire come degli eroi per salvare il salvabile? He…si, personalmente credo che gli antenati ci stiano osservando, e non solo loro… Il dibattito è aperto-

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  1. […] In questi giorno ha fatto notizia la dichiarazione di David Holmgren, padre della permecultura, che ha riconsiderato la sua visione della capacità dell’umanità di traghettare in modo non catastrofico verso economie post petrolio.  Articlo in inglese apparso su Resilience. A questa posizione di Holmgren, Rob Hopkins ha espresso un suo parere su Transition Culture. L’articolo merita di essere letto per capire meglio gli scenari prefigurati. Leggi l’articolo ….. […]

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