Intervista a Nafeez Ahmed

Salve a tutte/i,
chiedo scusa se la formattazione dell’intervista è un po’ aleatoria, ma non avevo troppo tempo da dedicarci (e mi pare che wordpress sia peggiorato ultimamente…). Spero che risulti ugualmente leggibile. E interessante. Buona lettura.

“Questa è un’opportunità senza precedenti”

Da “Transition Network”. Traduzione di MR

Di Rob Hopkins

Una delle voci più illuminanti nei media britannici al momento è Nafeez Ahmed, che ha scritto con regolarità su picco del petrolio, cambiamento climatico, geopolitica e come tutte queste cose si sovrappongano sul Guardian. Mi sono sentito davvero onorato di poter parlare con Nafeez per sentire i suoi pensieri sull’attuale stato del dibattito sul picco del petrolio e sul futuro dei combustibili fossili, cosa dovremmo fare a riguardo e il ruolo che potrebbe giocare la Transizione. Come sempre, potete anche scaricare o ascoltare il podcast (ovviamente, in inglese).
Ho cominciato chiedendo a Nafeez di presentarsi…
Mi chiamo Nafeez Ahmed. Ho un passato nella sicurezza internazionale. Ero un accademico all’Università del Sussex in Rapporti Internazionali, osservavo la violenza di massa e le cause strutturali della stessa. Questo è ciò che mi ha portato a guardare più in profondità alle sfide che stiamo affrontando oggi, come il cambiamento climatico, il picco del petrolio e tutto il resto. E come tutto questo stia cambiando il mondo e creando un maggiore pericolo di conflitto, se guardiamo alle vie d’uscita limitate ed abitudinarie piuttosto che alle soluzioni trasformative. Ho scritto un libro su questo, dal titolo “Guida alla Crisi della Civiltà” ed ho anche fatto un documentario sul libro dal titolo La Crisi della Civiltà, che si può vedere gratuitamente su youtube (anche sottotitolato in italiano).

Hai scritto molto di recente su come il fracking per il gas sia enormemente gonfiato e su come potremmo assistere al “picco dell’uranio” entro il 2015 e di uno studio che dice di non fare più nucleare qualsiasi cosa facciamo. Hai scritto del picco del petrolio. Quando guardi a tutte queste cose che stanno arrivando insieme, la tua analisi è sempre più in contrasto con quella che troviamo nei media tradizionali, questo ottimismo fiducioso secondo il quale dietro l’angolo ci aspetta una nuova ‘età dell’oro dei combustibili fossili’. Qual è la tua posizione fra queste due analisi e dove ci troviamo come civiltà?
E’ interessante, perché c’è stato in realtà quello c’è stato quello che ritengo uno sforzo concertato di pubbliche relazioni da parte dell’industria dei combustibili fossili e di quella nucleare per riaffermare il loro controllo di fronte al fatto che c’è molta confusione e preoccupazione riguardo ai combustibili fossili al momento. Ciò è dovuto al cambiamento climatico, così come alle preoccupazioni sulla fattibilità di mantenere la nostra dipendenza dai combustibili fossili, visti i costi, nell’era in cui l’energia a buon mercato non è realmente un’opzione.
 
Penso che ci sia stato un vero e proprio sforzo concertato per ristabilire una qualche forma di controllo sul questo dibattito e per riaffermare l’idea che vada tutto bene e che non dobbiamo cambiare in modo sostanziale il modo in cui facciamo le cose. C’è molto di gonfiato in molte di queste industrie. Molto di ciò su cui si sono concentrati i miei articoli di recente è cercare di distinguere fra la montatura e i fatti e come affrontiamo la realtà degli alti costi dell’energia in questi giorni e il fatto che l’energia è molto più cara. 
Come quadra tutto questo con le dichiarazioni secondo le quali tutto andrà bene, che abbiamo uranio abbondante, che abbiamo il gas di scisto, che possiamo semplicemente continuare e che è tutto molto pulito? Tutte queste nuove energie dovrebbero essere molto pulite ed in grado di sostenere la crescita industriale nel prossimo futuro, ma ciò semplicemente non quadra con la realtà.
I rapporti che ho guardato sul gas di scisto provenivano da molte fonti molto affidabili. C’è stato questo tipo, David Hughes, che lavorava per il governo canadese valutando le disponibilità canadesi di petrolio e gas per circa 30 anni. Un’altra è stata Deborah Rogersche è consigliera del governo degli Stati Uniti sui problemi del fracking. C’è stato anche un rapporto dell’Energy Watch Group che ha sede in Germania e che è stato redatto da un fisico. L’Energy Watch Group è una rete di scienziati europei che hanno seguito per un po’ questi problemi.

Ho pensato che fosse interessante che aveste una panoramica completa dei diversi esperti che sono piuttosto separati nei loro ambiti di lavoro che sono giunti a conclusioni simili, cioè che in realtà ci sono stati tentativi deliberati si sovrastimare la quantità delle risorse di gas di scisto, la quantità di risorse non convenzionali in generale, compreso anche il petrolio di scisto, e di sovrastimare la portata di quanto possiamo affidarci ad esse, sottostimando i costi di estrazione di queste risorse.
Il risultato complessivo della ricerca che hanno messo fuori questi tipi è stato che se prendiamo in considerazione le stime al rialzo e quelle al ribasso, il quadro che ce ne facciamo è in realtà molto preoccupante, nella misura in cui vediamo che l’idea che il gas di scisto potrebbe realmente essere uno schema Ponzi. E’ solo l’industria che cerca di mantenere le cose a galla, ma non risolverà il problema energetico sul lungo termine. E’ proprio lo stesso quadro che vediamo anche nell’industria nucleare. C’è un divario fra le dichiarazioni dell’industria sui costi, le dichiarazioni sulla pulizia del nucleare, e il fatto che in realtà ci sono un sacco di prove del fatto che saremo di fronte ad una crisi della disponibilità di uranio entro i prossimi 10 anni. C’è stato uno studio peer-reviewed al quale ho dato uno sguardo in un mio articolo, ma c’è molta preoccupazione anche da parte dell’industria su questo.
Se mettiamo tutto questo insieme, vediamo la realtà di quello che abbiamo di fronte sul lungo periodo. Rob, anche tu hai lavorato a lungo su questo e sai anche che in realtà sul lungo periodo l’era dei combustibili fossili è finita. Questo secolo è la fine dell’era dei combustibili fossili e non importa in che modo la vogliamo vedere, anche se la guardiamo da un punto di vista ottimistico, vediamo comunque un declino ed un esaurimento durante il primo quarto di questo secolo.
Vediamo noi stessi esaurirci, i costi aumentare e tutto questo avere un impatto sull’economia, un impatto sul nostro stile di vita contemporaneo industriale e causare un sacco di problemi, se non facciamo ora le scelte per cambiare il nostro modo di fare le cose. E penso che sia proprio questo il quadro che sto cercando di far passare. La gente si impantana sui dettagli, se raggiungeremo il picco nel 2015 o nel 2020 o nel 2035. Per me, il picco nel 2020 o nel 2035 è abbastanza negativo. Dobbiamo cominciare a prepararci per questi problemi adesso.
Siamo già molto in ritardo. Quini per me, alla fine, si tratta di capire come possiamo far passare questa comprensione. Se pensiamo che la fine dell’era dei combustibili fossili sia, per una serie di ragioni, alla fine di questo secolo, allora qual è l’alternativa e come ci arriviamo?
Come pensi che la recente esplosione della produzione di petrolio negli Stati Uniti, da che parlavamo di picco del petrolio 5 anni fa, abbia cambiato le cose? Pensi che sia come dice il rapporto che ha scritto il Dott. Tim Morgan per Tullett Prebon, sostenendo che il problema sia con l’EROEI (Energy Return On Energy Invested – energia ricavata dall’investimento energetico) e che raggiungeremo un punto in cui l’EROEI diventerà troppo basso per sostenere la crescita? E’ un’analisi con la quale sei d’accordo? Oppure qual è la tua impressione riguardo a come finirà col picco del petrolio, ora che gli Stati Uniti sembrano aumentare la produzione in modo sostanziale?
Penso che l’analisi di Morgan abbia proprio molto su cui concordare. Penso che l’EROEI sia molto importante. La cosa interessante riguardo al dibattito sul picco del petrolio è che è stat proposta quest’idea secondo la quale i ‘picchisti’ abbiamo previsto la fine della civiltà come un punto di picco di produzione, ma questo non ha colto in realtà ciò che i picchisti stavano dicendo.
 
Penso questo abbia senso per il fatto che la maggior parte delle persone non ha realmente previsto quanto il gas di scisto e il fracking avrebbero aumentato la produzione negli Stati Uniti. Non lo avevano previsto. Ma anche gran parte delle persone nell’industria del petrolio lo avevano fatto. Nessuno in realtà ha previsto a quale livello il fracking avrebbe portato l’accesso al petrolio e al gas non convenzionali.

Dall’altra parte, le previsioni di fondo del gruppo storico dei geologi del picco del petrolio, persone come il Dott. Colin Campbell, sono state confermate. Essi non hanno mai sostenuto che la civiltà sarebbe semplicemente collassata e che sarebbe finito tutto. Quello che hanno detto è stato che quando avremmo raggiunto il picco della produzione di petrolio convenzionale avremmo visto uno spostamento progressivo verso il petrolio e il gas non convenzionali e a quel punto l’energia sarebbe diventata molto più cara. Questo avrebbe avuto un impatto sull’economia e che avremmo visto questo impatto aumentare nel tempo. 

Così, se guardiamo ai temi reali proposti dai geologi sul picco del petrolio, questi sono in realtà molto diversi da come vengono presentati a volte nel mainstream, cioè quest’idea che stiamo finendo il petrolio. Persone come Campbell non hanno mai detto che stiamo finendo il petrolio. Hanno in realtà ammesso che abbiamo riserve petrolifere abbondanti. Ma il problema è la distinzione fra convenzionale e non convenzionale, che è la cosa che credo il mainstrem spesso confonda.
Questa è una cosa che l’industria sfrutta per far passare l’idea che abbiamo enormi quantità di petrolio e gas e che non abbiamo nulla da temere. Le recenti stime della EIA (Energy Information Administration) sono che abbiamo tante riserve di petrolio e gas, se prendiamo in considerazione quelle non convenzionali. Persone come Campbell e David Hughes dicono che sono si tratta solo di quantità delle riserve, si tratta del tasso al quale possiamo estrarre, raffinare e convertire quelle riserve in petrolio utilizzabile e i costi del fare tutto questo.
Ciò che non viene affatto contestato ora, se guardiamo i dati, siano essi della International Energy Agency (IEA) o della EIA negli Stati Uniti, è che abbiamo praticamente raggiunto un plateau nella produzione di petrolio greggio convenzionale sin dal 2005 e che sta andando avanti da più di 5 anni, il che è senza precedenti. A volte c’è stato uno spunto verso il basso, a volte verso l’alto, ma si tratta essenzialmente di un plateau accidentato. Nessuno dei giocatori convenzionali nell’industria ha previsto quel plateau, ma le persone come Campbell lo hanno fatto.
Ora possiamo discutere se i modelli che avevano i picchisti fossero del tutto precisi. Molti dei modelli che sono stati usati allora non suggerivano un plateau, ma qualcosa di più simile ad una curva. Ma Campbell è stato molto preciso, in realtà. Nel 2008 ricordo di avergli parlato e lui aveva previsto il rapporto che il mio gruppo di lavoro ha pubblicato, l’Istituto per la Ricerca sulla Politica e lo Sviluppo (Institute for Policy Research and Development – IPRD). Di fatto aveva previsto un plateau accidentato. Ha detto che mentre
Quella recessione avrebbe diminuito la domanda e questo avrebbe creato uno spazio per più crescita, e quindi avremmo avuto un periodo di ripresa. E ancora una volta quella ripresa avrebbe raggiunto i limiti di fornitura convenzionale e i limiti dei costi energetici. Ancora una volta avremmo visto i prezzi aumentare e ancora una volta avremmo avuto un’altra crisi, un’altra recessione. Questo sembra che sia stato confermato, nel senso che abbiamo avuto prezzi del petrolio costantemente alti e prezzi del petrolio costantemente volatili, ma sono stati volatili in una forbice più ampia.
 
Abbiamo anche visto la persistenza del declino della crescita. Dal 2008, non siamo stati in grado di recuperare il ritardo nella crescita e di fatto il FMI e la Banca Mondiale hanno appena ridotto le loro previsioni di crescita, perché non sembra che recupereremo il ritardo nella crescita in tempo. La Cina sta rallentando, l’India sta rallentando. Tutto questo sta accadendo in modi sui quali gli economisti lo scorso anno erano stati molto fiduciosi, ma che sono andati contro le loro previsioni e i loro modelli. Tutto questo mi dice che ciò che i geologi del picco del petrolio hanno detto è esattamente quello che sta accadendo ora.
Cosa pensi che significhi la convergenza fra le sfide che identifichi e le cose di cui scrivi per la crescita economica, quali sono le implicazioni per la crescita economica?
In questo momento siamo di fronte ad una sorprendente convergenza di sfide diverse, tra le quali degrado ambientale, cambiamento climatico, esaurimento delle risorse, e queste stanno ovviamente condizionando le nostre società qui ed ora. La gente parla di quello che succederà nel futuro, ma stiamo già vedendo l’impatto sulle nostre società in termini di produzione di cibo, in termini di sfide al modo in cui le nostre società sono in grado di vivere e di alimentare la propria produzione industriale generale.
Hanno un impatto su prezzi di qualsiasi cosa. Tutto è più caro adesso. Quindi stiamo già cominciando a vederne gli impatti. Ci sono alcuni che hanno sostenuto che il tipo di rallentamento dell’economia molto particolare che abbiamo avuto nel 2008, dal grande collasso bancario e gli eventi che ne sono seguiti, abbiano in realtà radici in un problema più ampio e profondo fondato sulla nostra dipendenza da certi tipi di energia, vale a dire i combustibili fossili. Credo che questo sia un argomento molto plausibile e le cose stiano essenzialmente così; ci troviamo effettivamente nell’era in cui i combustibili fossili a buon mercato non sono più un’opzione. 

Ora ci stiamo spostando nell’era dell’energia molto costosa, comunque la si voglia vedere. La nostra dipendenza completa e assoluta dai combustibili fossili a buon mercato per fare praticamente tutto significa che, entrando in quest’era di forme di energia più care, abbiamo di fronte questo problema di fondo che mina la capacità della civiltà industriale di fare le cose che è abituata a fare al costo al quale è abituata a farle. E’ così che stanno le cose, questo è ciò che mantiene bassa la crescita, alimentando uno smorzatore di fondo sulla crescita.
Naturalmente, la gente parla del debito e del problema del debito. Ma nell’analisi mainstream manca la misura di quanto la crescita che abbiamo avuto dalla Seconda Guerra mondiale, livelli astronomici di crescita, sia stata collegata a due cose. Una, lo sfruttamento dell’energia dei combustibili fossili a buon mercato. E due, essi sono stati anche collegati all’espansione del debito. La cosa davvero interessante di questo periodo è che, specialmente dagli anni 70 quando il sistema economico ha cominciato ad affrontare certe sfide, i tassi di profitto sono stati in declino. C’è stato un tentativo di esternalizzare la produzione verso i paesi meno sviluppati per mantenere i costi bassi ed i profitti alti. Tutto ciò ha smesso di funzionare.
Ciò che è successo è che le banche e gli investitori si sono rivolti alla finanziarizzazione. Si sono resi conto che in realtà puoi fare grandi profitti prestando. Più prestiamo alla gente, più questa deve ripagarti e quindi possiamo avere un ritorno sui nostri interessi. Questo è un modo strepitoso di fare profitti. Non è un segreto, è di fatto una realtà ben conosciuta, e infatti gli economisti mainstream vedono spesso il debito e la creazione di credito come una cosa buona. Riconoscono che c’è un collegamento fra i livelli di crescita più alti e livelli di credito e debito più alti nell’economia.
Dove questo ovviamente crolla è il fatto che nessuno di questi economisti ha previsto come queste cose convergessero e portassero al collasso del sistema bancario del 2008 e alla recessione in corso. Non c’è segno che essa diminuisca. Infatti, tutte le statistiche che sono emerse negli ultimi 6 mesi, quelle della Banca Mondiale, del FMI, di diverse agenzie di rating e di grandi banche, tutte dicono che tutte le nostre previsioni di crescita sono state ridotte, che siamo ancora troppo ottimisti.
Tutta la crescita nei mercati emergenti sulla quale contavamo per mantenere l’economia in corsa, in realtà non ci sarà nel modo in cui avevamo pensato sarebbe avvenuta in origine. Quindi, ancora una volta, ci siamo resi conto che questi modelli sui quali facevamo affidamento non sono in grado di stare al passo con la realtà. Credo che sia perché non si sono resi conto che questa accelerazione del debito e del credito e della capacità di dare assistenza a quel debito è stata basata su questa disponibilità abbondante di combustibili fossili a buon mercato.
Tutto questo è stato messo in discussione quando abbiamo visto il picco della produzione convenzionale di petrolio e il suo plateau dal 2005 in poi. Quando all’improvviso la produzione di petrolio convenzionale non è stata in grado di tenere il passo della domanda ed abbiamo così avuto l’impennata dei prezzi del petrolio, cosa che ha avuto ripercussioni su tutto il resto. Alcuni economisti hanno indicato che questo massiccio impatto sul costo della vita è in realtà ciò che ha portato le persone a non riuscire a ripagare i proprio debiti. La gente improvvisamente non si è potuta più permettere le spese fondamentali e non poteva più ripagare i propri debiti. Il castello di carte che abbiamo creato negli ultimi 30-40 anni, questa manna di crescita virtuale è semplicemente scoppiata come una bolla.
Penso che ora ci troviamo a questo punto, abbiamo questa scelta di fronte a noi. I governi al momento sono ancora chiusi come ostriche e pensano di tornare agli stessi vecchi modi di stampare soldi, molto alleggerimento quantitativo. Prestiti d’avvio per far ancora fluire il capitale. Andrà tutto bene. Ma non funzionerà. Siamo già molto sovra-sfruttati e se guardiamo ai livelli di debito, non abbiamo risolto affatto quel problema. Molte delle nostre istituzioni finanziarie in effetti sono ancora insolventi, ma è stato butatto tutto sotto il tappeto.
L’altro problema, naturalmente, è come sosterremo questo rinnovato impulso a creare tutto questo credito e ad espandere l’accumulo materiale con la produzione e il consumo, quando le nostre risorse sono molto più care. Come finirà? Quanto a lungo può continuare? Il modello dei “limiti dello sviluppo (crescita)” partorito negli anni 70 da gente come Dennis Meadows ed altri, che erano proprio azzeccati, anticipava che avremmo cominciato a raggiungere questo tipo di limite entro il primo decennio del 21° secolo. Essi hanno detto che, dal 2030, i sintomi che cominciamo a vedere ora saranno molto più amplificati, ameno che non cambiamo il comportamento solito in qualche modo in modo drammatico. In definitiva, guardiamo al 21° secolo come all’era della fine della crescita e dobbiamo cominciare a pensare ad un modello economico alternativo.
 
Riconosciamo che l’accumulo materiale ha giocato un ruolo nel darci alcune incredibili tecnologie, nella capacità di fare le cose ed ovviamente c’è innovazione scientifica. Nessuna di queste cose sono in sé stesse cose cattive, ma ci vengono ad un prezzo. Penso che ora ci troviamo a un punto in cui possiamo fare quella scelta, di dire che forse possiamo raccogliere il positivo dello sviluppo della civiltà industriale e sviluppare qualcosa di nuovo, una forma di civiltà post crescita, post industriale che non rifiuti la scienza e la tecnologia, ma che riconosca che alla fine dobbiamo vivere entro i limiti dei nostri sistemi ambientali. Sfortunatamente, non vediamo accadere questo nell’economia mainstream. E’ molto, molto difficile far capire agli economisti che l’economia non esiste all’interno di un silos, è incorporata nell’ambiente.

Di recente sono andato ad una conferenza di Lord Nicholas Stern(autore del Rapporto Stern) che ha detto che dobbiamo parlare di crescita economica, altrimenti la Cina e l’India non ci parleranno seriamente di cambiamento climatico. Ho pensato che fosse affascinante, innanzitutto per l’idea che la Cina da un grande impulso a quello che facciamo. Ma pensavo anche che sono sicuro che potremmo mettere insieme, a livello nazionale, una storia davvero coerente che dica che il petrolio e il gas del Mare del Nord stanno finendo, introdurremo le Tradeable Energy Quotas (anche in italiano) e che abbracceremo questo come un’opportunità, spostando le cose a livello locale, vedendo ciò come qualcosa che ci rafforza e che ci forma, ecc, ecc.; la Cina potrebbe guardarci e pensare – grazie al cielo! Se Nicholas Stern ti chiedesse di comporre la nuova storia per raccontare alla Cina come potrebbero essere le cose, di come potrebbe essere la nuova storia del Regno Unito , quali sarebbero secondo te alcuni dei suoi elementi?
Questa è difficile. Sono d’accordo con te sull’idea che la Gran Bretagna dovrebbe giocare un diverso tipo di ruolo di guida. Al momento è proprio l’opposto di quello che dovremmo fare. Se Nicholas Stern – cosa che non farà mai – venisse da me e dicesse “Nafeez, elabora il piano! Salva il mondo!” io guarderei alla Cina. Ho scritto un articolo proprio la scorsa settimana sulla fine della crescita ed ho citato Jeremy Grantham che ha appena pubblicato la sua ultima newsletter.
E’ un investitore miliardario, ha fatto moltissimi soldi prevedendo tutte le grandi bolle azionarie degli ultimi 15 anni. Uno che è un capitalista, che a fatto un sacco di soldi col capitalismo, ma che dice molto sui problemi del capitalismo e sui limiti ambientali dell’accumulo di capitale. Egli parla molto di un nuovo tipo di modello che sia molto più in linea con l’ambiente. Il linguaggio che usa è molto interessante.
Forse lui non va fino in fondo, ma ha anche detto qualcosa sulla Cina ed è interessante il fatto che abbia detto che la sua ultima grande speranza è che la Cina, con tutto il grande potere che ha investito principalmente in energia rinnovabile, stia in realtà cercando di adattarsi ai cambiamenti climatici in un certo senso, guardando alla propria pianificazione urbana e a cose di quel genere ed ora pensando ai propri problemi di inquinamento. Egli guarda alla Cina come alla prossima grande speranza, pensando che forse la Cina si renderà conto che è questo che è in arrivo e che si imbarcheranno in un piano di collasso ventennale o trentennale per transitare verso un’economia molto più stabile.
Lui pensa che se la Cina fa questo forzerà il resto del mondo a pensare bene, se la Cina farà questo, allora dovremo continuare così e questo stimolerà tentativi simili dappertutto. Non so se questo sia plausibile, ma penso che se un paese decidesse “aspetta un attimo, stiamo per affrontare la realtà che c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel sistema economico, nel modo in cui funziona e nel modo in cui è collegato alla politica, dobbiamo cambiare completamente questo paradigma e andare verso qualcos’altro”, penso veramente che la gente guarderebbe un paese come la Gran Bretagna e la sua storia e direbbe, “wow, forse dovremmo cominciare a fare anche noi così”.
In qualche misura questo sta già accadendo. Prendiamo la Germania (ad ogni modo non è un esempio perfetto. Ci sono molti problemi in Germania, me se guardiamo a come ha funzionato lì il settore delle rinnovabili, è un’ispirazione. Sono riusciti ad ottenre il 50% della loro energia elettrica da rinnovabili, e credo che il 50% di queste siano di proprietà delle persone, il che è un esempio molto ispirante. Naturalmente il governo ha tariffe incentivanti e cose del genere, ma non è in nessun modo un programma fallimentare. E’ ancora molto all’interno del paradigma esistente degli incentivi di mercato e tutto il resto, ma così sono arrivati molto lontano, il che mostra che c’è un potenziale enorme. Ma penso che oltre al semplice guardare alle tecnologie ad energia rinnovabile, dobbiamo affrontare la realtà che Nicholas Stern non ha affrontato.
La realtà è che i livelli astronomici di crescita che abbiamo avuto sono stati basati su ingressi energetici astronomici. Le tecnologie ad energia rinnovabile non ci permetteranno di avere quel livello di produzione materiale e consumo continui. Ciò che potrebbero essere in grado di fornire è lavoro, un’infrastruttura più pulita, fornire stabilità, aiutarci a transitare verso un’economia che abbia molto più equilibrio, molta più uguaglianza e sostenere livelli adeguati di produzione e consumo materiale. Non credo che sosterrebbero il tipo di crescita esponenziale che gli economisti neo liberali voglio vedere rialimentata. Non credo sia possibile. Questa è la storia mancante della mitologia delle basse emissioni di carbonio e dalla alta crescita che viene promulgata dalla coalizione di governo al momento.
Non che la loro politica sia a bassa emissione di carbonio, è ancora molto alta, ma non penso che sia una storia plausibile. E di fronte alla realtà che, come persone come Richard Wilkinson ed altri ci hanno raccontato, abbiamo un certo livello di crescita materiale e viene soddisfatto un certo livello di necessità, ma oltre a questo, oltre a soddisfare quelle necessità fisiche, non ci rende felici. Non ci soddisfa. Non sostiene realmente quel livello di benessere e felicità col quale la gente prospera. Quando pensiamo alla crescita e alla prosperità, non dobbiamo pensare di ridefinire ciò che queste significhino. Dobbiamo guardare verso un modello economico che riconosca che sì, questo è un luogo per la crescita e c’è un luogo per assicurarsi che i bisogni fondamentali della gente vengano soddisfatti e che sia in grado di avere un bel posto in cui vivere e il tutto il resto.
Ma ci deve essere qualcosa di più grande di questo e io penso che tutte le sfide che stiamo affrontando ora mostrino che i livelli materiali di crescita non possono contribuire più di tanto al benessere e ad una società davvero felice. Sono tutti questi altri valori, che sia l’educazione, l’arte e la cultura, la generosità, la compassione, tutte queste cose sulle quali in realtà una comunità prospera. Quando cominciamo a renderci conto di questo, ci rendiamo conto che il modello di questa economia alternativa post crescita che stiamo vedendo è un’economia nella quale la gente è molto più rafforzata.
Siamo abituati alla globalizzazione, ci svegliamo, compriamo cose ai supermercati e nelle grandi catene che sono state prodotte a decine di migliaia di chilometri di distanza. Mentre ci possiamo muovere verso qualcosa che sia molto più localizzato, il che credo sia l’idea delle Città di Transizione. Essa guida questo problema molto, molto stimolante del risorgere delle comunità. Mi sento molto stimolato da questo, perché ciò che mi ispira realmente di questo è che la Transizione non se ne esce semplicemente e dice “questo è il nostro manifesto e queste sono tutte le risposte”.
Essa dice a quei sistemi gerarchici che abbiamo avuto prima, dove abbiamo avuto governo e certe multinazionali interessate a dirci cosa fare, che hanno fallito. Ora dipende proprio dalle persone prendere il controllo di quelle storie e cominciare a crearle dalla base, dal basso verso l’alto. E’ questo che trovo davvero stimolante, perché c’è il potenziale per questo straordinario paradigma alternativo in cui tutto ha a che vedere con le persone e le persone prendono il controllo.
Il nostro tema di luglio su TransitionNetwork.org è stato “Il potere di fare semplicemente le cose” e di guardare con una prospettiva diversa a quest’idea del potere che sta, in particolare nel contesto che hai enunciato prima in questa intervista, nei termini di quelle grandi sfide globali che abbiamo davanti. Quale pensi che sia il potere che scaturisce dalla gente che vuole semplicemente emergere e scoprire di voler far parte della soluzione?

Penso che di fondo questo cambi l’intero paradigma di come una società dovrebbe essere gestita e quale sia la forza trainante di una società, quale sia la forza trainante della politica. Al momento la nostra economia è coinvolta in un sistema politico che è molto gerarchico, molto democratico, dove abbiamo assistito all’erosione della democrazia per un’ampia serie di regioni. Ciò è legato alla natura del capitalismo, abbiamo visto lo scandalo di Lynton Crosby ed il legame coi combustibili fossili in Australia, il legame con aziende private dubbie che hanno cercato di mettere le mani sul Servizio Sanitario Nazionale e le multinazionali del tabacco. E’ questa la storia della politica al momento. 
Effettivamente, il sistema democratico per molti aspetti. E’ bello che ne abbiamo uno e per molti versi è meglio di altre cose là fuori, ma è un sistema che non funziona. Penso che l’idea che le persone vadano a dire “aspettate un minuto, dovrei solo aspettare che il governo fallisca nel prossimo tavolo dei negoziati per il cambiamento climatico, dovrei aspettare o spingere il governo a fare questo o quello? O posso fare io qualcosa che possa condizionare in modo tangibile la mia vita, quella della mia famiglia e dei miei amici, la vita dell’intera comunità in cui vivo? …questo alla fine potrebbe trasformare non solo la politica locale, ma a lungo termine potrebbe realmente avere un impatto nazionale.
Penso sia questo il potenziale di persone che si alzano e dicono adesso basta, non voglio aspettare qualcun altro, i miei rappresentanti, faccia qualcosa per me o per noi, posso farlo da solo e cominciare a muovermi in quella direzione. Potrebbe non essere tutto ciò che potrei sperare di vedere, ma se non lo faccio adesso, in un certo senso permetto, concedo il mio potere a queste altre entità, mentre se io mi faccio avanti ed agisco ora, prendo di fatto il controllo e il possesso. Di fatto di prendere il controllo e riprendersi un po’ di quel potere politico. Penso che si questo il motivo per cui è molto importante fare pressione, votare ed essere impegnati, perché ovviamente se ci ritiriamo da quello spazio ciò permette al sistema di continuare senza che nessuno dica nulla, e questa non è una cosa buona.
Ma allo stesso tempo dobbiamo anche essere pragmatici su dove possiamo spingerci con questo stesso processo. Ci sono dei problemi sistemici in questo processo e a meno che non ci sia un cambiamento o uno spostamento radicale, a meno che non ci sia una massiccia pressione popolare per cominciare a muoversi verso una diversa visione, quel sistema non cambierà da solo. Di fatto abbiamo bisogno di intraprendere azioni che abbiano a che vedere con il possesso delle nostre vite qui e ora. Ciò non significa solo il movimento Occupy e i suoi effetti, ci sono molte idee sull’azione diretta e la disobbedienza civile e, ancora una volta, penso che molte di queste siano buone e importanti.
Ma allo stesso tempo mi piacerebbe vedere la gente impegnata nell’azione diretta e cose del genere che prendano veramente le idee della Transizione, per esempio, e dicano “potrei non desiderare di occupare un luogo pubblico, ma potrei desiderare di coltivarci del cibo. Potrei desiderare di occupare un luogo pubblico e cominciare a farci dei laboratori su come dovrebbe essere questa società alternativa e cominciare veramente a crearla qui ed ora. Come possiamo creare un nuovo metodo di scambio? Come possiamo cambiare la natura della nostra economia locale? Come possiamo aiutare la nostra edilizia pubblica a lavorare verso una visione per cui questa si affidi all’energia pulita che potrebbe portare beneficio alla comunità locale e contribuire ad affrontare alcuni dei problemi che i nostri giovani stanno affrontando? Potenziamo ed alleggeriamo in nostri giovani”.
 
Queste conversazioni stanno cominciando a decollare e sono davvero stimolato nel vedere che la Transizione sta facendo molte di queste cose e che c’è gente in questi movimenti che si stanno parlando in questo momento. Dobbiamo avere più catalizzazione della fertilizzazione incrociata di queste discussioni fra i nostri diversi gruppi in modo da avere una conversazione più sistemica ed olistica verso quella che è la visione che vogliamo vedere, verso come possiamo collettivamente cominciare ad esplorare diverse strade per farlo. Penso che lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo, ora questi semi sono piantati, ma se cominciassimo ad muoverci in questa direzione in modo più assertivo nelle nostre diverse comunità, questo avrebbe potenzialmente un impatto realmente sorprendente sulla storia nazionale. Potrebbe cambiarla.
Penso che il governo si renda già conto, di sicuro il governo inglese, che la Transizione è un’idea di cui devo tenere conto e se non l’hanno adottata è qualcosa di cui a volte è stato adottato il linguaggio, a volte è solo un caso che esso si impegni generalmente con la Transizione. Si può vedere che si rendano conto di non potersi permettere di ignorarla completamente. Questo è un segnale di una piccola vittoria e qualcosa su cui possiamo costruire.

Passi molto del tuo tempo occupandoti di geopolitica, scrivendo di queste enormi sfide. Come le affronti tu stesso? Quale meccanismo adotti perché questo non diventi opprimente e ti senti di mollare o esausto? Come gestisci ciò all’interno della tua vita e quali consigli hai per altre persone che potrebbero essere sempre più immerse nell’osservazione di questi problemi?

Ogni volta che la gente mi chiede questo dico sempre che sono un pessimista abreve termine e un ottimista a lungo termine. Penso che se guardiamo quello che accade qui ed ora, se guardiamo all’impatto geopolitico di quanto sta succedendo, diciamo, in Medio Oriente, in paesi come l’Egitto, che è davvero un esempio molto interessante, abbiamo una situazione di cui possiamo vedere l’intrattabilità. Molti dei problemi che affronta l’Egitto sono realmente radicati in questi problemi come il picco del petrolio e il cambiamento climatico, di fatto tutto questo sta accadendo in Egitto.
Cambiamento climatico e picco del petrolio hanno giocato un ruolo chiave nel destabilizzare il governo egiziano, insieme alla disuguaglianza, alle proteste politiche e a tutto il resto. C’è un vero e proprio microcosmo laggiù di quello che può accadere quando una società che ha superato, come sapete, il proprio picco di produzione da 10 anni, sta affrontando le devastazioni del cambiamento climatico. L’impatto sulla scarsità d’acqua e sulla produzione di cibo, c’è una disoccupazione montante. C’è uno stato repressivo e davvero nessun segno di una soluzione chiara.
Può essere davvero scoraggiante vedere questo e pensare “dove andiamo a finire così?” Ma ho sempre questo a lungo termine e il tipo di idea che cerco di far passare alla gente è che quando guardi a tutte queste tendenze globalmente e guardi al lungo termine dove andrà a finire, la realtà è che il 21° secolo è la fine della civiltà industriale così come la conosciamo. Per la fine di questo secolo questa civiltà non può sopravvivere nella sua forma attuale. Non ci sarà più.
Qualcosa dovrà prenderne il posto, o qualcosa di molto negativo, un’orribile distopia, un qualcosa di post apocalittico, o qualcosa che sia molto più positiva, molto più utopistica, oppure una via di mezzo. Alla fine, quella scelta su come sarà il mondo dipende da noi ed il futuro è molto aperto. Ricordo una frase che una volta ha detto Noam Chomsky, che di fatto dice che se dirai che siamo tutti condannati e non serve a niente fare qualcosa, diventi parte del problema e crei una profezia che si auto avvera e non sei più di nessun aiuto per l’umanità, perché hai appena detto che è così che sarà ed ora hai tolto a te stesso potere.
Ma se rimani aperto alla possibilità di cambiamento, anche se una possibilità sottile, anche se ci rendiamo conto che è una piccola probabilità, se rimani aperto a quella probabilità e combatti per essa, allora diventi parte di uno spostamento in quella direzione. E quindi rimani aperto alla realtà che ci sia una possibilità e che potremmo crearla.
Penso che sia davvero importante guardare a lungo termine. E’ chiaro che ora stanno accadendo cose folli e molte cose folli continueranno ad accadere per i prossimi 2 o 3 decenni. Le cose probabilmente peggioreranno prima di migliorare. Ma a lungo termine, penso che ci sia un grosso potenziale di cambiamento. Anche negli ultimi 10-20 anni, ci siamo impantanati in alcune delle cose che stanno accadendo, è facile dimenticare che in realtà abbiamo ottenuto grandi progressi, di sicuro in termini di risveglio.
Se tornassimo indietro di 10-20 anni e cominciassimo a parlare di esaurimento dell’energia, o di cambiamento climatico, o di politica estera, o dei problemi con le banche, la gente ci riderebbe in faccia e saremmo un piccolissima minoranza. Ma se guardiamo a tutti i sondaggi ora scopriamo che, nonostante tutti i negazionisti del cambiamento climatico, tutto l’offuscamento dei media, la mancanza di comprensione e la mancanza di pensiero olistico, tuttavia abbiamo maggioranze schiaccianti di persone che riconoscono che il cambiamento climatico sia reale, che sia un problema.
Le persone sono preoccupate dall’uso di energia. Sono preoccupate delle banche – nessuno crede alle banche. Sono molto poche le persone che si fidano dei politici, sono deluse dall’attuale sistema politico. Molto poche le persone che credono che la guerra in Iraq fosse una cosa buona, siamo molto scettici sulla guerra in Iraq. Gran parte delle persone vogliono che le nostre truppe tornino a casa dall’Afghanistan. Su tutta la linea c’è stata davvero una sorprendente convergenza dell’opinione pubblica su molti problemi diversi. Se li guardiamo sulla base dei valori, esse puntano verso valori che riguardano molto di più la pace, l’assicurarsi che viviamo con più rispetto per l’ambiente, verso l’uguaglianza, il mantenere livelli stabili di impiego nelle nostre società e tutte quante queste persone deligittimano il sistema esistente in modi diversi.
Ciò che manca in tutto questo è la coerenza dell’alternativa, la coerenza fra due cose: la diagnosi e la prognosi. Le persone sono confuse sul perché queste cose stiano accadendo e su dove dovremmo andare. E’ questo che ci trattiene, penso, dallo sviluppare un’alternativa praticabile. Al posto di visioni o movimenti alternativi, dovremmo fare le cose in modo più efficace. Questa mancanza di coerenza nella comprensione e nella visione spiega il perché abbiamo avuto questa vera e propria eruzione di movimenti sociali negli ultimi anni, specialmente dopo il grande collasso bancario del 2008.
Abbiamo avuto il movimento Occupy, abbiamo avuto la Primavera Araba, abbiamo ancora molti movimenti di protesta in corso che esplodono in Turchia, in Brasile, ma non siamo affatto sicuri di dove andare con questi movimenti. Ciò che questo mi dice è che non dovremmo dare per scontato che, osservando solo le cose brutte, che tutto sia veramente brutto. La gente sta cominciando a svegliarsi, si sta rendendo conto che c’è qualcosa di sbagliato e vuole un cambiamento, ma non sa ciò che vuole o non sa in che direzione andare. E’ per questo che è molto importante che le persone che sono già attive e che esaminano le idee e le soluzioni riconoscano che tutto ciò che dobbiamo fare è cominciare ad esprimerci, a dare più coerenza a questa storia e a comunicarla su una base più ampia.
Cominceremo a capire che c’è un pubblico molto ricettivo. La gente è davvero affamata di risposte, di soluzioni di alternative, quindi questa è davvero un’opportunità senza precedenti. E’ una crisi senza precedenti ma anche un’opportunità per intrecciare i sogni e dire “be’, in effetti tutto sta per andare a rotoli nei prossimi 20-30 anni se non cambiamo, quindi ecco un’opportunità di pensare fuori dagli schemi e pensare che 30 anni fa sarebbe suonato ridicolo dire che possiamo ottenere che tutte le nostre comunità coltivino il proprio cibo e che vivano una prosperità basata sul benessere e non semplicemente sulla crescita infinita. Ora possiamo veramente parlare di questo e se ci pensiamo, non saremo semplicemente derisi e portati ad uscire dalla stanza.
Il mainstream non ha le risposte, quindi penso che ci sia un’enorme opportunità di creare un’alternativa. Sarà una grande lotta e diventerà molto dura. Sarà sgradevole. Ma questo non significa che non ci sarà una via d’uscita alla fine.