La transizione agroalimentare a Monteveglio: l’operazione Streccapogn
Quattro anni fa in compagnia di tre amici abbiamo preso in gestione una piccola azienda biologica, dopo un anno passato a rincorrere le attività agricole (di cui eravamo del tutto all’oscuro) ci siamo ritrovati con un debito di mille euro e due figli in arrivo (come da copione: più poveri e più prolifici). Pensavamo conclusa la nostra avventura nel campi, ma ci sbagliavamo, il meglio doveva ancora arrivare… Conoscevo Paolo di vista, ci siamo trovati per caso spalla a spalla a preparare e servire cibo ad una festa di paese, abbiamo parlato dell’esperienza agricola appena conclusa e dopo una breve riflessione, mi ha sorpreso proponendomi di ripartire con più terra e più persone… e più debiti (ho pensato subito).
Provenendo dal mondo del sociale, Paolo ha portato nel progetto conoscenze e punti di vista molto interessanti ampliando di parecchio gli orizzonti e le possibilità.
Abbiamo riunito un gruppetto di interessati e per prima cosa abbiamo cercato di definire gli obiettivi e quindi i confini del nostro lavoro, è risultato chiaro che la nostra attività non poteva essere solamente agricola, sicuramente avrebbe avuto le radici in agricoltura, ma doveva svilupparsi in ogni campo possibile, in breve, dovevamo, attraverso l’agricoltura e la produzione di cibo, entrare nella comunità e diventarne il collante. Si doveva ricostruire la comunità (vi ricorda qualche cosa?) attorno alla terra su cui vive.
Abbiamo creato l’associazione “Streccapogn” allo scopo di aprire la “conquista” della nostra comunità. Il primo anno ci siamo dati da fare in ogni direzione per capire quali potevano essere gli ambiti migliori per produrre trasformare e vendere i prodotti agricoli, nel frattempo abbiamo imparato a fare un orto, a gestire una vigna, a fare confetture, mercatini, laboratori per i bambini ecc…
Il secondo anno è arrivata la necessità di riconoscere ad alcuni di noi il passaggio da volontari a lavoratori in mini part-time (vista la nostra capacità economica) e sono arrivate anche le prime necessità di strutturare il lavoro e le attività in un modo più organizzato cominciando a costruire delle vere e proprie filiere.
Che cos’è una filiera? Cominciamo dal grano…
Chiudete gli occhi immaginate un campo di due ettari, adesso seminateci del grano antico verna e fate un bel respiro profondo, ecco le spighe sono pronte da trebbiare, la trebbia si ferma e vi consegna settanta quintali di grano dorato, perfetto… guardando questa meraviglia dal profondo di voi stessi vi sorge una prima domanda: dove lo metto? Nella camera degli ospiti? Abbiamo passato giorni a cercare di organizzare sia lo stoccaggio (bidoni, minisilos, sacconi) che la tecnica di conservazione (anidride carbonica, minerali e essenze naturali contro i parassiti), alla fine “l’illuminazione”: pensa semplice, applica i metodi della transizione , “unisci collabora, includi”. Ci siamo posti la domanda: dove mettono il grano gli agricoltori? In una mucchia immensa nello stabilimento della multinazionale americana. Macché, non questi agricoltori, i loro padri, i loro nonni… Ah! Ma da Tonino… siamo andati a trovare Tonino, un immenso stabilimento praticamente vuoto, un mulino a pietra che avrà cent’anni e al suo fianco un mugnaio che ne avrà una manciata di meno. Adesso il nostro grano è al sicuro non solo perché è dove deve stare, in un mulino, ma è con chi deve stare, con un mugnaio che ha almeno settanta anni di esperienza nella conservazione dei cereali.
Stringendo tra le mani la nostra farina ecco giungere da profondo un’altra domanda: come farla diventare il nostro pane? (in modo semiserio evitando il forno di casa). Ecco ricominciare la rumba, cerca una impastatrice meccanica, un forno a legna, visitiamo un tizio a due valli di distanza che fa il pane in casa con la pasta madre per alcuni GAS, mandaci un ragazzo a fare esperienza… arriviamo a chiedere i preventivi quando ci accorgiamo che stavamo per compiere un altro errore fatale, creare un forno clandestino a dispetto del nostro obiettivo di “unire, collaborare e includere”. In ogni paese qui attorno ci sono almeno un paio di fornai, perché non chiedere a loro? Con venticinque minuti di chiacchiere ci siamo risparmiati diecimila euro di macchinari e chissà quanti di avvocato, avevamo un fornaio che con la nostra farina avrebbe fatto il pane in pasta madre per i nostri mercati. A oggi la nostra farina, bianca semi-integrale e integrale, viene utilizzata da due fornai, una gastronomia, una pasticceria, una pizzeria, due ristoranti e decine e decine di famiglie.
Continua…
Che dire, siete Grandi!!!
Per fortuna che c’è gente come voi a dare nuova linfa vitale a questa società denaturata dal consumismo. Un grande abbraccio.
Vi faccio i miei complomento siete molto bravi (e quasi altrettanto incoscenti).
Vi ammiro!
Grazie mille del supporto, che sia bravura o incoscienza lo sapremo tra qualche anno, credo che adesso sia essenziale mettere in pratica la transizione quanto più possibile e passare dalle chiacchiere alla progettazione e dalla progettazione alla realizzazione sul campo, confrontandosi quotidianamente con le persone e i loro problemi.
Osservazione davvero interessante quella sulla panificazione: anziché cercare di fare male da soli, ci si può affidare al vicino che magari può far bene da subito il lavoro richiesto. Uno dei difetti di chi lavora nei campi è la tendenza ad isolarsi, una malattia che avete saputo combattere bene.
La tendenza ad isolarsi è un problema della nostra società, gli agricoltori non fanno eccezione, è l’illusione di poter vivere separati dagli altri. Il nostro progetto si basa sulle regole della Transizione dove l’inclusione è fondamentale. Gli Streccapogn sono un progetto di comunità, tutti devono essere inclusi.