Copenaghen: come decidiamo?

Copenaghen

Ecco a voi il “branco transizionista” che si è riunito la scorsa settimana a Copenaghen per il meeting degli Hub nazionali. C’erano presenze da 19 nazioni differenti includendo USA, Brasile e Mexico e sono stati 4 giorni di lavoro intensissimo su molti temi chiave di comune interesse. Il primo meeting di questo tipo si era svolto lo scorso anno a Lione.

Ci eravamo fatti molte domande su come dovrebbe e potrebbe funzionare un’organizzazione mondiale che non vuole usare “le regole del sistema” e vuole proteggersi dalle più comuni derive che si possono osservare in molti movimenti, istituzioni e enti transnazionali.

Le risposte necessarie non sono banali e hanno ricadute piuttosto importanti, soprattutto perché sono risposte che possono essere applicate, come nei sistemi frattali, a tutti i livelli di scala: globale, nazionale, locale, famigliare… La bella notizia è che a distanza di un anno da quando abbiamo cominciato a ragionarci si cominciano a vedere risultati incoraggianti.

COME DECIDIAMO?

Una delle consapevolezze piuttosto forti che si è sviluppata all’interno del mondo della transizione è quella che i meccanismi democratici attualmente in uso, in particolare quelli della democrazia rappresentativa, non siano un buon modo per perdere le decisioni, costruire relazioni, regolare attività, ecc. Nel movimento di Transizione generalmente nessuno è chiamato a rappresentare altri, o decide per altri, soprattutto se si tratta di decisioni importanti e davvero rilevanti.

Servono quindi altre modalità che portino comunque a decidere collettivamente cosa fare e come comportarsi. Serve un COME diverso da quello a cui siamo abituati, con la semplice convinzione che un altro COME produce poi anche altri COSA: se scegliamo in modo diverso, finiremo anche per fare cose diverse da quelle che il sistema generalmente produce. Così nel corso dell’anno che è passato dal meeting di Lione, un folto gruppo di lavoro ha elaborato una metodologia ispirata alla Sociocrazia e al Metodo del Consenso, che ci consenta di prendere decisioni senza ricorrere ai modelli prettamente rappresentativi.

Il metodo è stato sperimentato su temi reali nei mesi passati, ad esempio per scegliere il membro di nomina internazionale da collocare nel board del Transition Network. Così, quando ci siamo ritrovati quest’anno, eravamo dotati di uno strumento abbastanza completo da usare ogni qual volta ci fosse qualcosa da decidere.

Come tutti gli strumenti sviluppati nel contesto della Transizione, non può essere considerato definitivo e sarà sottoposto a continue trasformazioni e miglioramenti ogni qual volta ci si renda conto che sono necessari. Per il momento però sembra funzionare abbastanza bene.

PROVIAMO A USARLO SEMPRE?

Il tutto potrebbe forse sembrarvi un po’ astratto e lontano, ma la proposta potrebbe essere anche: perché non provare a usarlo in tutti i contesti di lavoro di gruppo o di comunità in cui siamo coinvolti?

Per farvi un’idea di come funziona potete scaricare questo schema semplificato (in italiano, in inglese qui) e nei prossimi giorni farò un post specifico per spiegare meglio come funziona. In realtà è una procedura semplice il cui risultato produce però effetti molto diversi da quelli di una “votazione” tradizionale. Una di quelle piccole cose che, se vogliamo vedere succedere cambiamenti nel mondo, potrebbe fare una differenza non irrilevante.

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ORA ABBIAMO IL COME, MA ABBIAMO ANCHE UN CHI?

Bene, ammettendo che questa variante della metodologia del consenso vi piaccia (o ci piaccia), ora abbiamo un simpatico strumento per prendere decisioni. Rimane comunque un problema: chi dovrebbe perdere queste decisioni, soprattutto se influenzano non solo chi decide, ma anche altri?

In effetti questo è un altro grande tema che si è discusso molto intensamente a Copenaghen. Ancora una volta è una questione di scala mondiale che può essere ricollocata in ogni dimensione relazionale e ad ogni livello. Tutti i nostri sistemi organizzativi, le nostre istituzioni, i governi, le imprese, tutti hanno un modo per selezionare “chi” prende le decisioni (indipendentemente da come queste vengano prese).

Nel contesto del meeting degli hub questo problema prende forma nella domanda “Ma cos’è un hub?”. Come facciamo a definirlo, come facciamo a sapere che un certo gruppo di persone, per esempio i soci di Transition Italia, sono l’hub italiano? Ma chi l’ha detto? Che legittimità hanno?

In effetti, non ci è bastato un anno, da Lione ad oggi, per trovare una soluzione “elegante” a questo problema. Siamo arrivati a Copenaghen con una bella pila di tentativi falliti e una certa apprensione.

Transition sta raggiungendo dimensioni che sono difficili da gestire solamente attraverso le relazioni di fiducia interpersonali, serve qualcosa di più, senza che questo “più” diventi “troppo”. Però mai sottovalutare il potere di problem solving dell’intelligenza collettiva, direi che anche su questo versante siamo a una bella svolta, ve la racconto nel prossimo post.

7 commenti
  1. Giorgio
    Giorgio dice:

    Ottimo, uno schema di Decision Making Consensuale risultato funzionante è già un bel successo.
    Vedrò di proporlo nel vicinato dove il problema della rappresentatività, per ora, non c’è.
    Comunque, un post decisamente più intrigante della puntata 11.345 di Dallas. Attendo con vera ansia il prossimo post sull’argomento.

  2. Cristiano
    Cristiano dice:

    Aspetta le istruzioni, che la facilitazione non è difficile, ma delicata… bisogna usare diversi trucchi a seconda delle situazioni. Per fortuna nel gruppo internazionale abbiamo 4/5 persone preparatissime ognuna con un suo stile di facilitazione, quindi abbiamo già una collezione di modalità piuttosto interessante.

  3. luca
    luca dice:

    Il decision making secondo me va’ benissimo e giustamente gli interessati all’orbita nostra dovrebbero cominciare a promuoverlo nel quotidiano, così; sperimentiamoci…
    Riguardo il “chi”, direi che in un terreno fertile la punto giusto, cosa o chi emerge è l’espressione delle giuste condizioni, nel pratico chi si interessa della cosa personalmente mi rappresenta, chi non fosse d’accordo lo dice. In seguito sarebbe coraggioso sviluppare un pattern nostrano per cominciare a creare un sistema pratico allo sviluppo di una interdipendenza di pensiero comune-

  4. deborah
    deborah dice:

    Su Facilitazione.net c’è parecchio materiale che può essere utile a coloro che volessero sperimentarsi in questo senso…
    Il mio gruppo di vicinato ha cominciato da subito a introdurre il metodo del consenso (anche da statuto associativo, con grande stupore del locale centro servizi per il volontariato) e dopo iniziali fatiche stiamo cominciando a vedere gli effetti: le proposte nascono costruendo ciascuno sopra quello che ha detto la persona precedente, le riunioni (facilitate a turno) sono efficaci, nessuno è oberato di lavoro e le decisioni sono di qualità sempre migliore… Questo per incoraggiare Giorgio! Però è vero, ci vuole un po’ di studio e di lavoro, condiviso da tutto il gruppo…

  5. bortolussivale
    bortolussivale dice:

    Mi ha fatto un’enorme piacere questo post! Sto cercando da un po’ di autoformarmi su questi temi e sto cercando di portarli nel gruppo. Sono d’accordo con Cristiano: non è difficile ma delicato perché possa dare i suoi frutti. Quindi grazie! Uno splendido lavoro!

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  1. […] eravamo fatti questa domanda nel post precedente, domanda che nell’attività pratica a Copenaghen aveva la forma di “What is a […]

  2. […] Transition Italia, qui: http://transitionitalia.wordpress.com/2014/09/15/copenaghen-come-decidiamo/#comments è uscito un bel post che racconta la sfida di introdurre nuovi metodi decisionali in […]

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