Notizia provenienti dal network internazionale del movimento di Transizione

Santorso 2017 – L’anno della svolta…

Arrivo a casa ora dopo una settimana intensissima con gli hubsters* di tutto il mondo e con le persone che ci hanno ospitati a Santorso. Mi ci vorranno probabilmente mesi per digerire e rielaborare l’incredibile quantità di emozioni, informazioni, relazioni, opportunità, possibilità… ma provo a buttare qui, prima che mi sfuggano, le cose che mi hanno colpito in modo più intenso.

Le cose da fare

Questo meeting aveva degli obiettivi, assolutamente non banali, il cui raggiungimento era tutt’altro che scontato. L’incontro mondiale precedente, di fatto, li aveva mancati lasciandoci una lunga serie di dubbi. Mi concentro sui due principali:

1 – Come muovere la governance del movimento dal Transition Network a un efficace sistema di governance diffusa senza cadere nelle trappole delle forme “democratiche” che conosciamo

2 – Come armonizzare le tensioni tra chi è in Transizione ormai da molti anni e condivide una cultura complessa e una memoria storica consistente e i nuovi arrivati. Come portare tutti a un livello simile?

Due bocconi enormi che contengono tutti i problemi e le contraddizioni del mondo che stiamo cercando di re-immaginare. Beh… sapete cosa: lo abbiamo fatto. Superando tutti i tipici ostacoli che in un “normale gruppo di umani” lo avrebbero impedito… quindi perdindirindina (volevo mettere un’esclamazione di più hard, ma poi ci sono i minori che leggono) si può fare! Nel mondo reale, si può fare.

Si possono incontrare tensione, incomprensione, ego, rabbia, frustrazione, abissali differenze culturali e trovare un modo di elaborare il tutto… per il bene comune, per il buon senso, per la fiducia, mettetela come volete, ma lo abbiamo fatto affrontando tensioni e incidenti, cadendo e ricadendo, ma conservando il nostro patto fondamentale che mette le persone e le relazioni prima dei processi e il senso prima dell’ego. Funziona porcapaletta.

Governance

La governance

È probabile che quello che abbiamo deciso interessi a pochi, lo annoto comunque per dovere di cronaca. Stanti i nostri principi fondanti, verrà a breve designato con elezione sociocratica un Core Group temporaneo che assumerà le funzioni del gruppo Organization and Co-Design e si incaricherà di definire in sei mesi il set di funzioni e responsabilità che al Core Group vanno attribuite.

A quel punto, approvata la proposta a livello di Hub’s Group il Transition Network diventa una pura struttura di sopporto collocata al livello di tutti gli altri hub e un nuovo, definitivo Core Group assumerà le funzioni governance: la svolta.

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Cadere… e rialzarsi

Di fatto stiamo cercado di passare dall’idea di un’organizzazione centrale che supporta e decide (oggi è il Transition Network) alla stessa funzione riorganizzata in modo diffuso, aumentando di molto la diversità interna alla funzione di governance e cercando di conservare il massimo grado di libertà per tutti.

Nel farlo si è generato uno strappo, una delle obiezioni è stata risolta in modo percepito dai più come ingiusto e affrettato e uno dei membri del cerchio che esercitava il diritto di obiezione ha deciso di uscire dal cerchio stesso. E qui si è vista la cosa secondo me più bella di questo meeting.

Non siamo stati capaci di risolvere un problema attraverso le metodologie che stavamo usando. Era evidente, c’era frustrazione e dolore, sembrava esserci un crollo nella fiducia reciproca. Ma quando le metodologie falliscono esiste un ultimo livello di sicurezza che è costituito dalle persone. Le relazioni tra le persone sono entrate in azione, nessuno è stato lasciato solo.

Ci siamo parlati, rassicurati, consolati, chiariti in modo spontaneo e totalmente non governato fino a che, si è potuti ripartire ristabilendo il clima di fiducia e l’armonia del gruppo. Molto, molto bello da osservare e da vivere … se le nostre società potessero funzionare così (e non vedo perché no) il mondo sarebbe completamente diverso.

È tutto perfetto?

No non lo è, ma la buona notizia è che non importa. È un sistema di relazioni resiliente, con tanti livelli di sicurezza prima che i legami si spezzino e le comunicazioni diventino impossibili. In questo caso, e dal mio punto di vista inaspettatamente, la forza del sistema di relazioni ha anche in gran parte risolto il secondo punto.

In un’ambiente così sicuro, diventa meno importante essere tutti allo stesso livello di comprensione, ci sarà sempre spazio per rallentare, chiedere, non capire, confondersi e sbagliare senza che le conseguenze facciano generare il sistema di relazioni stesso.

Che vi devo dire, bello!

Trail

Giulio e Santorso

Giulio è la persona che si è caricata tutto il peso del lavoro sul campo, logistica, connessione con la città e le persone, accoglienza nelle case dei partecipanti e lo ha fatto con risultati semplicemente incredibili. L’accoglienza a Santorso credo verrà ricordata negli anni da tutti i partecipanti, l’entusiasmo, la curiosità, la partecipazione di tutti i nostri ospiti e di tante altre persone del luogo sono stati fantastici.

Teatro

Davvero grazie Giulio, a te e a tutta la squadra logistica di Santorso, al vostro Sindaco, grazie a Mavi, Luca e Antonio per il Teatro in Transizione che ha coinvolto, fatto giocare e ballare tutti assieme superando ogni tipo di barriera linguistica e culturale, a Deborah per le traduzioni a Ellen, Martina, Dario e a tutti quelli che ci hanno aiutato a realizzare il meeting e ovviamente a tutti quelli che ci hanno così generosamente ospitato.

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* Membri degli Hub di Transizione, organizzazioni che supportano o sviluppo del movimento in un certo territorio (area linguistica, nazione, zona territoriale, ecc.)

Fermarsi a riflettere

 

Non sempre ci prendiamo il tempo che servirebbe per interrogarci su quello che stiamo facendo, sul senso delle cose che ci girano attorno. In questi mesi il gruppo del Transition Network ha deciso di rielaborare la loro attività attraverso un periodo di riflessione profonda e di riconversione tra tutti i componenti della struttura.
Trovate in questo post di Sarah un riassunto di come questo processo si è svolto e nel filmato qui sopra Rob ha catturato le riflessioni personali dei partecipanti (tutto per anglofili), anche per chi non capisce la lingua, credo che il messaggio importante sia quello dell’importanza di fasi come questa.

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“Demain” il film

Demain

Aggiornato il 4/10/2016

Documentari  cosiddetti “ambientalisti” ne abbiamo visti tanti fino ad oggi, ma “Demain” è un po’ speciale e mi ha fatto venire voglia di fare una recensione quasi seria. In Italia dovrebbe arrivare in ottobre, distribuito dalla Luky Red, in Francia ha richiamato molto pubblico nelle sale e ha vinto il César 2016. Grande successo anche in Belgio (io l’ho visto lì la prima volta e rivisto ora in Danimarca) ed è in uscita in Olanda e progressivamente in molti altri paesi.

I piani del distributore italiano non li conosco, ho provato a contattarli ma non mi hanno risposto, le indicazioni sul distributore le abbiamo da Cyril quindi direi che sono esatte, ma se ci saranno notizie su uscita, titolo italiano e possibilità di programmare anteprime cercherò di farlo sapere (in altri paesi i distributori si stanno rivelando molto collaborativi). Se qualcuno avesse notizie si faccia vivo, grazie.

In seguito siamo entrati in contatto con Luky Red, il film esce il 6 ottobre nelle sale italiane e il sito nostrano è qui.

Qui sotto il trailer che però a mio parere non rende bene, il film è meglio.

Trailer in italiano, sia nel trailer che nel sito i temi più forti che il film contiene non sono citati e rimangono quelli che segnalo nella sezione personaggi più sotto.

Il Film

L’impianto del film è molto classico, un piccolo gruppo di “cinematografari” prende coscienza della situazione globale, dei rischi che stiamo correndo, della pesante ipoteca sul futuro e decide di raccontare tutto al mondo. Cyril Dion riesce a coinvolgere anche Mélanie Laurent (forse ve la ricordate in Bastardi Senza Gloria di Tarantino) e con altri 4 compagni si mettono a girare il mondo in cerca di esempi e risposte.

Rob mi ha spiegato che qualche anno fa Cyril era passato da Totnes ed era rimasto molto affascinato da quello che stava succedendo lì, poi non si era più saputo nulla fino a quando è tornato con tutta la troupe qualche anno dopo per girare un pezzo del documentario.

Fin qui, insomma nulla di particolarmente originale, ma in realtà il film riesce nel compito non semplice di fare emergere una spiegazione sistemica e suggerisce soluzioni davvero poco ideologiche. Anche il livello della produzione, pensando al budget disponibile, è alto. Belle e gradevoli fotografia e montaggio che fanno perdonare qualche comprensibile falla tecnica qui e là.

Il documentario si sviluppa attorno a un dialogo fuoricampo tra Cyril e Mélanie che, passaggio dopo passaggio, dipanano i problemi e provano a individuare possibili risposte già presenti nel mondo reale.

Demain_Protagonisti

Dopo un primo attacco dedicato al “come ci siamo ridotti” o se volete al “cosa abbiamo combinato fin qui”, si sviluppano cinque capitoli tematici ben collegati tra loro, Agricoltura, Energia, Economia, Democrazia ed Educazione. Il filo logico è ben costruito e per niente scontato.

Demain riesce magicamente a conservare uno straordinario equilibrio tra profondità e drammaticità degli argomenti, leggerezza e prospettiva positiva delle soluzioni. In questo è fortemente ispirato all’approccio Transizionista e bisogna davvero congratularsi con gli autori perché sappiamo bene che la navigazione tra baratro e speranza non è un esercizio banale.

I personaggi

Lungo il cammino incontriamo molti personaggi (e idee) interessanti, a partire dal nostro Rob che ne esce come una piccola star (ovunque dopo aver visto il film lo riconoscono per strada, ed è anche nella locandina) e seguendo con altri ben noti come Vandana Shiva o Jeremy Rifkin.

Vorrei però attirare l’attenzione su quelli che forniscono spunti e suggerimenti davvero potenti, qui non approfondisco troppo per non “rovinare” la visione, ma suggerisco di concentrarsi bene su:

Emanuel Duron CEO di Pocheco, un’impresa piuttosto convenzionale che ha un approccio piuttosto non-convenzionale alle politiche di impatto ambientale.

Jan Gehl architetto e urbanista che ha idee molto chiare sul senso che dovremmo dare alle nostre città e su come muoversi per renderle a misura d’uomo. Per capirci è una delle menti ispiratrici delle grandi trasformazioni di Copenaghen.

Bernard Lietaer uno degli economisti dell’ECU (ve lo ricordate prima dell’Euro?), ha visioni estremamente interessanti su un mondo di monete multilivello.

David Van Reybrouck storico e scrittore che fa un bel ragionamento sui limiti della democrazia rappresentativa e sulle possibilità di altre forme di applicazione (ottimi spunti anche per la riforma del Senato in atto).

La colonna sonora

Come in un’ottima torta, questo film è il classico caso in cui il risultato finale vale molto più della somma aritmetica degli ingredienti. La colonna sonora di Demain è quasi interamente composta da Fredrica Stahl e davvero efficace. Contribuisce in modo decisivo al bilanciamento delle emozioni e dei significati trasmessi (un assaggio del tema principale nel video qui sotto).

Punti deboli

Ci sono un paio di aspetti che indeboliscono lievemente l’impianto generale. Uno è la lunghezza, il film si potrebbe tagliare un po’ senza perdere nulla, ma forse non avrebbe più il minutaggio adatto alle sale (non è un gran problema in ogni caso).

Il secondo è il caso della raccolta differenziata a San Francisco in cui si elabora il tema dei rifiuti come risorsa, idea sempre più pericolosa e insostenibile, uno scoglio davvero difficile da superare anche nel mondo ambientalista. In ogni caso comprensibile, un peccato dal mio punto di vista, ma si crea comunque un’occasione per parlarne.

Ottimo nel complesso

Nell’insieme però una vera ventata di energia adatta a un pubblico molto ampio. Questo documentario può essere visto tutto d’un fiato o utilizzato in pillole per attività di training e formazione. Certo che tutto assieme ha un effetto ottimo, non fa concessioni particolari a visioni ingenuamente ottimistiche, ma al contempo trasmette l’idea che tutto quello che serve si può fare. Lo fa in un modo razionale ed emozionale, e alla fine della visione il pubblico non riesce a non applaudire. Da vedere e far vedere insomma. Bravi.

E TU, IN CHE LINGUA SOGNI?

Vi presentiamo il “Transizionese”

Sara, Pedro e Deborah, la nuova squadra “transizionese” coinvolta in un progetto per migliorare le potenzialità del Transition Network nel supportare la diversità linguistica, si presentano e raccontano l’inizio della loro avventura. Per contribuire, compilate il questionario (per ora è in inglese: QUI )

L’originale inglese di questo articolo è qui: https://www.transitionnetwork.org/blogs/rob-hopkins/2016-03/dreaming-tongues-multi-lingual-adventure-begins

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In Novembre 2015 il Transition Network ha lanciato la ricerca per un gruppo di persone per supportare la diversità linguistica e la capacità di gestire le traduzioni all’interno delle iniziative locali, degli hub nazionali e della rete internazionale. Il movimento di Transizione è diffuso ormai in oltre 50 Paesi, e la produzione di materiale (testi, video, libri, report… videogiochi?) è consistente. Il tutto in lingue di ogni tipo: scritte da destra a sinistra o da sinistra a destra. In alfabeti e ideogrammi. Il tutto, letto o ascoltato da gente mediamente super-impegnata che cerca informazioni e ispirazione tra una riunione e l’altra, magari mentre si avvia a non-zappare nell’orto sinergico.

Oggi presentiamo il progetto e condividiamo con voi qualche indicazione su quel che faremo e su come potete contribuire. Del gruppo fanno parte due portoghesi e un’italiana, per cui gli Hub di Portogallo e Italia sono stati accuratamente selezionati per essere, come dire, le cavie ideali.

Il progetto è coordinato da Moving Cause, una non-profit portoghese la cui missione è “mobilitare utopie concrete”. L’associazione è stata fondata nel 2009 da un gruppo di donne, su invito di Sara Moreira, che oggi coordina  il progetto “transizionese” dopo oltre cinque anni di esperienza come traduttrice e coordinatrice di iniziative dal basso. E’ stata editor per Global Voices, una piattaforma internazionale che raccoglie notizie sull’attivismo e la partecipazione in tutto il mondo, in 35 lingue. Sara è ingegnere e programmatrice appassionata di cambiamento e movimenti sociali. Vive a Porto, dove si occupa di iniziative che hanno a che fare con l’economia solidale, la permacultura, il femminismo, i nuovi media e le radio locali. Continua a leggere

Com’è andata a Malmo

L’aria che si respirava alla conference transizionista a Malmo (che è una cittadina nel sud della Svezia proprio a est di Copenaghen), era quella famigliare di tutti gli incontri che si realizzano nel contesto del movimento. Anche Ralph (hub del Belgio di lingua francese) che era ospite come me dell’evento ha avuto subito la stessa sensazione di familiarità e confidenza, di essere in un posto in cui sei già stato con persone che conosci da sempre.

Per gli svedesi è stata un occasione per tirare le somme e prendere atto di quante iniziative siano in corso nel loro territorio a livello locale. Le presentazioni di progetti si sono susseguite una dopo l’altra ed è emerso chiaramente che in alcune zone del paese c’è un bel fermento, altre invece non sono ancora state contaminate.

È molto difficile fare paragoni tra Italia e Svezia, il contesto è diverso per mille ragioni, la cultura, le dimensioni (immense) e l’organizzazione del paese, la disponibilità di risorse finanziarie, ma alcuni aspetti non cambiano.

Anche là è difficile far capire alle persone cosa sta succedendo esattamente, anche là è più facile dividersi che cooperare, anche là c’è il timore del nuovo e del diverso. Il governo attuale è fortemente orientato a destra e sta addirittura mettendo tasse sul fotovoltaico scoraggiando le rinnovabili…

Insomma, anche la Svezia non è poi questo paradiso di meraviglie che spesso immaginiamo e non è insensibile alle scosse del sistema che crolla e si trasforma.

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E nella migliore tradizione transizionista, alla sera tutti a magnà…

Una rete che prende consistenza, un hub particolare

Detto questo, alla conference si è visto che la rete di Transizione comincia oggi ad avere una presenza significativa e a garantire un sistema di relazioni estremamente interessante. Tanto si muove e la sensazione molto forte è che tantissimo si muoverà.

L’hub svedese ha caratteristiche piuttosto particolari, dalla nascita è stato collocato all’interno di un’altra organizzazione esistente, molto grande e solida. Questo gli ha conferito un carattere meno spontaneo di altri hubs, ma ha fatto sì che il gruppo fondatore fosse composto da persone con profili molto particolari, grandi competenze, capacità di visione strategica e di collegamento con entità chiave dell’organizzazione sociale del paese.

Questa genesi ha prodotto diversi effetti, alcuni anche non piacevoli, ad esempio molte tensioni nel gruppo e probabilmente una certa difficoltà a crescere insieme con modalità relazionali diverse. Un po’ per necessità un po’ per attitudine, tendono a ricorre a certi percorsi formali che noi qui in Italia abbiamo, per esempio, volutamente rifiutato fin dal primo giorno.

Proprio per questo hanno però potenzialità sorprendenti, ci siamo vicendevolmente scoperti e credo che possano nascere collaborazioni interessantissime con grande giovamento di tutti. La loro capacità e volontà di lavorare, oltre che dal basso, anche con le istituzioni è molto simile alla nostra, stanno sviluppando strumenti simili a quelli che sviluppiamo noi, hanno ottime relazioni con le università e i centri di ricerca… insomma ottimo. Stiamo tutti crescendo e maturando, è un segnale bellissimo.

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Una delle sessioni di meeting degli hub presenti: Danimarca, Finlandia, Belgio, Svezia e Italia

Anche Belgio, Danimarca e Finlandia

All’incontro di Malmo abbiamo anche fatto due sessioni di lavoro sul tema di una potenziale rete degli hub scandinavi. In particolare Svezia, Danimarca e Finlandia si sono interrogate sulla opportunità di trovare modi per lavorare assieme e coordinarsi nella strategia e nella pratica operativa.

Ci sono alcuni grandi temi comuni, come quello della progressiva “morte” del mar Baltico, che hanno certamente più probabilità di soluzione se vengono affrontati in modo organico e coordinato. Io e Ralph abbiamo contribuito con le nostre esperienze, soprattutto per arricchire il piatto delle possibilità e prendere spunto da cose che abbiamo già visto succedere in altre zone (si sta pensando a un raggruppamento in sud america, ed esiste già un embrione di raggruppamento regionale dell’Europa centrale).

La scoperta delle “Future Week”

Naturalmente è stata anche un’occasione per portarsi a casa nuovi strumenti operativi, in particolare ci è piaciuta molto l’idea delle “Settimane del Futuro” che gli svedesi praticano da anni e sono un’ottima “scusa” di coinvolgimento delle comunità in modo ampio.

Si tratta in pratica di programmi di eventi dedicati al futuro (in ogni senso possibile, quindi arte, cultura, tecnologia, visioni, ecc.) che vengono organizzate con il coinvolgimento dei comuni e alle quali sono invitati a partecipare tutti i soggetti di un certo territorio. A seconda delle dimensioni del comune coinvolto, le attività possono essere concentrate in un quartiere, in un’area specifica o interessare l’intero abitato (nel caso di piccole realtà). Sembra che qui questo tipo di approccio abbia avuto un buon successo, prendiamo nota.

Abigale

Abigale Sykes, la direttrice di LandetsFria, il giornale che ogni settimana dedica due pagine alla Transizione svedese.

LandetsFria: un giornale transizionista

Altra mossa vincente della transizione svedese (ah… dimenticavo, transizione si dice omställning) è stata quella di arrivare ad avere due pagine ogni settimana sul free press LandetsFria, che viene distribuito in tutto il paese. Lo realizza una cooperativa di giornalisti e lo dirige Abigale Sykes. Si è trattato di un canale molto utile per trattare costantemente i temi chiave, veicolare le date degli eventi e degli incontri, ottenere una certa visibilità negli ambienti più sensibili alle tematiche ambientali.

Durante questa conference Abigale si è messa personalmente in gioco chiedendo aiuto a tutti per rendere il suo lavoro di giornalista sempre più sinergico e a supporto delle attività di transizione. Ha chiesto a tutti consigli e indicazioni su come diventare più incisiva e su quali temi sia più importante evidenziare.

Voglia di lavorare insieme

Quello che mi sembra l’aspetto più importante di tutti è il grande interesse a lavorare insieme a livello internazionale. C’è sempre stato ovviamente, sta un po’ nel dna della Transizione, quello che è cambiato adesso è che gli hub sono più definiti e organizzati, insomma, sono davvero pronti a pensare a strategie anche su ampia scala geografica. La sensazione di tutti era quella di aver raggiunto un nuovo punto evolutivo… bene, molto bene.

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Lario dell’università di Malmo

E infine l’università

Per concludere, davvero buffo andare a fare una lezione all’università e ancora una volta un’esperienza interessantissima. In realtà tutto il mio viaggio è stato reso possibile (finanziariamente) da loro grazie all’attenzione di Fredrik Björk del Dipartimento di Studi Urbani dell’Università di Malmo. Persona squisita e contatto importantissimo perché direttamente impegnato nel Global Wellbeing Lab.

Janne

Jann Forsmark uno dei fondatori dell’hub svedese

Fredrik non era a Malmo purtroppo, perché appunto in Butan a valutare lo sviluppo del Gross National Happines index (l’indice della felicità interna lorda), ma è stato così gentile da organizzare una lezione aperta con gli studenti del suo dipartimento che mi hanno ascoltato con incredibile attenzione e fatto domande estremamente mirate e intelligenti.

Li immaginavo però più consapevoli di noi italiani rispetto agli scenari da affrontare e i
nvece non lo erano, per chi sa di cosa parlo, la mappa del clima li vedeva praticamente tutti al centro come accade qui. Segno che in ogni luogo c’è ancora molto lavoro da fare per migliorare la nostra comprensione della realtà.

Per contro, in quei ragazzi c’era una freschezza e un’entusiasmo che temo qui sia completamente scomparso. Alla mattina ho avuto la fortuna di assistere a una presentazione di loro progetti ed erano davvero brillanti, fattibili e assennati (si capiva anche erano stati guidati da una docenza molto saggia). Ma quello che era impressionante era l’energia positiva e una generale fiducia nel futuro che qui sta sparendo.

Jann che è stato il mio “custode” in questi giorni svedese dice che comunque me la sono cavata, speriamo sia vero e di aver lasciato qualcosa di utile.

 

 

Avviare un’Impresa di Transizione

Ciao a tutt*, poiché presto si terrà a Bologna un seminario sulla RiEconomy italica, ho pensato che sarebbe stato interessante avere un’idea di quanto sta succedendo nella “astronave madre” inglese e se può esserci in qualche modo di ispirazione. Buona lettura e buon anno a tutt*.

Da “Reconomy Project”. Traduzione di MR (h/t Federico Carocci)

Questo è il primo post di una serie sul processo di avvio di un’Impresa di Transizione. Su questo blog tenteremo di definire una Impresa di transizione e di guardare i primissimi stadi del “viaggio” in_the-_beginning2-352x198di start-up. Il nocciolo di questo post, e di quelli a seguire, formeranno una guida scaricabile per far partire un’Impresa di transizione che sarà disponibile all’inizio del 2015.

Cos’è un’Impresa di Transizione?

Negli ultimi anni c’è stata un’impennata delle Imprese Sociali, che commerciano a scopo sociale e reinvestono i propri profitti principalmente nell’impresa stessa. Un’Impresa di Transizione è semplicemente un tipo di Impresa Sociale che, mentre si occupa della sostenibilità dell’impresa, tende ad essere ancorata alla comunità locale e a soddisfare un qualche bisogno importante. Molte imprese commerciano a scopo sociale ma sono ancora una parte attiva di un sistema economico che sta degradando il nostro ecosistema e, mentre possono dimostrare una sostenibilità finanziaria, il loro utilizzo di risorse in particolare è insostenibile.

TE Principles

Principi di IT: suggeriamo che questi principi siano di ispirazione, scelti ed auto-valutati – non un qualcosa che richiediamo che ogni singola impresa abbracci sin dall’inizio. Questo non deve essere inteso come uno schema certificato.

Principi di IT: suggeriamo che questi principi siano di ispirazione, scelti ed auto-valutati – non un qualcosa che richiediamo che ogni singola impresa abbracci sin dall’inizio. Questo non deve essere inteso come uno schema certificato.

Un’Impresa di Transizione (IT) è un’entità commerciale finanziariamente fattibile* che soddisfa un reale bisogno della comunità, fornisce benefici sociali ed ha impatti ambientali benefici, o perlomeno neutri.

* fattibilità significa che perlomeno soddisfi i costi e significa che si può praticare lo scambio di cose che non siano denaro. Continua a leggere

Rob a Bologna, visto da Rob

Stretta di mani col Sindaco di Bologna

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

 

Sono appena tornato da una due giorni dentro e nei dintorni della bella città di Bologna, in Italia, dove ho partecipato ad una serie di eventi che mi hanno dato l’impressione di aver generato una buona attrattiva efficace intorno alla Transizione. L’Italia si trova in un momento interessante, ad un bivio. Il suo governo sta proponendo un nuovo disegno di legge per aprire il paese al fracking e alle trivellazioni in mare per petrolio e gas, sostenendo che questo è ciò che permetterà alla pessima situazione economica del paese di riprendersi. C’è molta opposizione a questo, quindi parte della mia speranza riguardo al viaggio era di essere in grado di esporre una strada alternativa, di mostrare cosa può offrire la Transizione a queste discussioni.

Dato che l’Italia non ha nessuna crescita e che la situazione sta peggiorando, forse piuttosto che aprire il paese all’estrazione da parte delle compagnie del fracking e ai dirigenti petroliferi, potrebbe essere che invece essa diventi consapevolmente la prima economia post crescita del mondo? E’ senza dubbio più adatta di molti altri paesi europei a fare questo, con una maggiore risorsa di energia solare e sta già generando molta energia rinnovabile. La sua cultura del cibo locale è probabilmente più intatta che in gran parte dei paesi europei. Potrebbe modellare il futuro al quale inevitabilmente dovremo passare.


Ma l’Italia, come mi hanno ricordato tutti ovunque sia andato, “è molto complicata”. Il suo sistema politico è di una confusione sconcertante, con governi di coalizione che cambiano con regolarità allarmante, con partiti politici fortemente trincerati e felici di fare qualsiasi cosa per minarsi fra loro e il senso che, come mi ha detto Cristiano Bottone di Transition Italia, “qualsiasi cosa tu voglia fare come gruppo di Transizione, da qualche parte c’è una legge che lo impedisce”.

Quindi la comune esperienza delle persone è che fare avvenire il cambiamento è molto difficile e che le possibilità, e il sistema, sono tutti contro. Eppure la diffusione della Transizione in Italia, e il modo abile con cui hanno costruito le connessioni con le persone in molti dei luoghi in cui gli ostacoli possono essere rimossi, è un vero indicatore del fatto che forse c’è un altro modo di far accadere le cose.

E’ stato questo lo sfondo del mio viaggio a Bologna, provare a ispirare e coinvolgere le persone in alcune delle istituzioni chiave che potrebbero aiutare ad accelerare realmente le cose a Bologna, che probabilmente è la città più progressista d’Italia ed è il luogo in cui è più probabile che un tale approccio possa radicarsi.

Essendo arrivato in treno, ho cominciato il martedì mattina alla Sala Centro Fiori in città con un incontro per studenti ed insegnanti da 5 diverse scuole di Bologna e dintorni. Alcuni erano studenti di agraria, ma anche di diversi altri indirizzi. Erano circa 300 e si è rivelata essere una sessione affascinante.

Ho parlato in particolare di Transizione e cibo e come dovrebbe essere una nuova cultura del cibo. Erano tutti attenti, hanno posto alcune domande interessantissime e mi hanno applaudito quando ho parlato di coltivare funghi sui fondi di caffè! (Immagino che Bologna produca molti più fondi di caffè di Exeter, il luogo da cui proviene l’esempio che ho usato …). Ecco il video di quella conversazione:

https://www.youtube.com/watch?v=DaRGmI4BthY

Dopo la conversazione, molti studenti si sono raccolti intorno a me per sapere come potevano iniziare a fare Transizione nelle loro scuole. Gli insegnanti hanno parlato delle cose che stavano già succedendo e come piacesse loro l’idea di mettere tutto insieme nell’idea di una Scuola in Transizione. Sono rimasto davvero toccato dal livello di entusiasmo fra i ragazzi, molto stimolante.


Poi con Cristiano Bottone di Transition Italia, la mia splendida interprete Deborah e Glauco, il nostro autista di San Lazzaro Citta’ di Transizione, ci siamo diretti alla mitica Monteveglio, il luogo di nascita della Transizione in Italia. Un bel paesino ai margini di un parco nazionale, la mia prima impressione è stata come fosse fresca e deliziosa l’aria.

                                                                 Monteveglio

Dopo un pranzo delizioso che comprendeva una deliziosa schiera di cibi locali e la prima volta che ho visto tartufi veri raccolti quella mattina nel bosco, ci siamo diretti alla Sala Consorzio Vini, uno splendido edificio ai margini del paese, per un incontro informale con molti Sindaci italiani e funzionari di autorità locali che stanno lavorando, a livelli diversi, per integrare la Transizione nel loro lavoro. A quell’incontro siamo rimasti tutti d’accordo di incontrarci di nuovo e di rimanere in contatto in modo regolare, un passo importante per il loro lavorare insieme. Poi siamo passati alla modalità intervista, facendo un sacco di interviste per la RAI TV,la BBC italiana (troppo buono Rob, ndt.), per un documentario che faranno sulla Transizione così come con l’Italia Che Cambia.

 

La parte finale della giornata è stata, essendoci riavviati verso Bologna, un raduno transizionista di persone che fanno Transizione in città e nei dintorni. E’ stata una festa di celebrazione, con una deliziosa cena condivisa, dell’ottimo vino e birra locale, dove ho incontrato delle persone splendide. C’è stata anche una performance teatrale ispirata alla Transizione, musica ed altre forme di giochi collettivi molto divertenti. Verso le 10, essendomi svegliato alle 5 quella mattina senza aver dormito bene sul vagone letto, le palpebre hanno cominciato a scendere e mi sono diretto al B&B in cui alloggiavo.

Divertimento improvvisato con diverse persone della Transizione Bolognese…

Divertimento improvvisato con diverse persone della Transizione Bolognese…

Era una stanza splendida in cui risvegliarsi. Proprio in cima di una casa alta, si godeva della vista della città, sui sui tetti, le chiese e le torri per le quali la città è famosa. Grazie alla mattinata molto limpida, è stata una gran bella vista. Il primo evento della giornata era alla Sala Farnese, in Municipio a Bologna, un palazzo incredibile. Amo i vecchi palazzi e questo era davvero bello.


 

Si entra da una serie di grandi scalinate con strane pietre lungo ogni scalino che era, mi hanno spiegato, perché erano state progettate nel periodo medievale per permettere alle persone di salire e scendere a cavallo. Soffitti dipinti in modo incredibile, affreschi antichi. L’evento si chiamava “Verso una società low carbon” e si è tenuto in una bella sala con affreschi, dipinti antichi ed un soffitto molto alto.

Soffitti medievali dipinti incredibilmente belli in Municipio

 

Soffitti medievali dipinti incredibilmente belli in Municipio

L’incontro è stato presentato dal Sindaco di Bologna, Virginio Merola, ecco il suo discorso:

Poi ci sono stati alcuni relatori dell’Università di Bologna che hanno a loro volta dato una mano ad impostare il contesto: Dario Braga, Patrizia Brigidi e Alessandra Bonoli. Ecco Dario Braga:

Cristiano ha fatto un’introduzione e quindi ho parlato io per circa 40 minuti, dopo di che sono seguite molte belle domande e risposte. Ecco il video di quel discorso.

C’era molto brusio in sala, sembrava che la gente fosse molto stimolata ed entusiasmata. In seguito ho incontrato un sacco di gente. Poi, una volta che il tutto si avviava alla conclusione, mi sono avviato all’uscita con diverse persone di Transition italia per una pizza in un ristorante biologico locale di Bologna, in effetti molto buono, devo dire.

Sull’antica scalinata costruita per il passaggio dei cavalli con diversi membri di Transition Italia

Sull’antica scalinata costruita per il passaggio dei cavalli con diversi membri di Transition Italia

L’evento pomeridiano si teneva all’Università di Bologna, l’Università più antica del mondo. Di recente hanno dato inizio un’iniziativa chiamata ‘Alma Low Carbon’, una “squadra di ricerca integrata” che mette insieme diversi dipartimenti per, come dicono loro stessi, “lo scambio e l’integrazione delle competenze della nostra Università nei campi della riduzione delle emissioni di CO2 e dei gas climalteranti”.

Discorso all’Università

Billy Connolly?

Discorso all’Università

Il mio discorso si è focalizzato su “come potrebbe essere un’Università in Transizione?” Ho fatto una riflessione sul fatto che nell’Università in cui sono andato, dove studiavo sostenibilità, c’erano solo erba e cemento e non rappresentava in alcun modo quello che stavamo studiando. Come sarebbe stata, ho chiesto, se un’Università fosse una vetrina, incorporando ad ogni livello gli approcci della Transizione?

Insegnerebbe in modo diverso, si relazionerebbe diversamente, con la comunità userebbe i suoi appalti in modo diverso, produrrebbe la propria energia e così via. Quando il tutto è finito, ci siamo diretti fuori verso l’aria fresca della sera, siamo passati di fianco ad una statua in un corridoio dell’Università che sembrava di Billy Connolly, e quindi è cominciato il lungo viaggio di ritorno a casa.

Colonnato illuminato in modo splendido sulla via per la stazione

Colonnato illuminato in modo splendido sulla via per la stazione

Lascerò a questa citazione da un post sul blog de l’Italia Che Cambia le ultime riflessioni sul viaggio:

Che dire di questa visita? La tela di relazioni che sta nascendo, il positivo interesse di istituzioni di livello nei confronti dell’idea della Transizione e il grande riscontro che essa ha avuto fra i ragazzi di scuole e università, sono tutti aspetti che confermano la bontà del percorso fatto sinora e pongono ottime basi per un ulteriore salto di qualità, che – come sta già avvenendo in Gran Bretagna e in molti altri paesi – abbia la capacità di mettere a sistema il lavoro dei tanti agenti del cambiamento in Italia. Ma ciò che forse ci ha rincuorato e rinvigorito di più sono state la simpatia, l’umiltà e la grande positività che Rob Hopkins è stato capace di portare fra noi, facendoci cogliere, al di là di studi e progetti, la vera essenza della Transizione.

Grazie a tutti coloro che sono venuti, a chi ha organizzato, a Deborah, la Traduttrice di Transizione, a Glauco per i passaggi, a Cristiano per tutto il lavoro organizzativo, al mio ospite, a tutte le persone meravigliose della Transizione che ho incontrato per il grande lavoro che stanno facendo e all’Università per l’invito.

Carote in mezzo al cemento: il ruolo dell’agricoltura urbana

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

 

Mentre gli architetti e gli sviluppatori pianificano nuove evoluzioni, pensano sicuramente a strade parcheggi e impronte ma pensano anche a piantagioni produttive, al ruolo degli orti sui tetti ed alla biodiversità? Quasi sicuramente no. Avendo visto alcune grandi iniziative di agricoltura urbana negli ultimi due anni, questo sembra un peccato per due ragioni. Primo perché l’agricoltura urbana sta rapidamente prendendo piede, quindi lasciandola fuori vengono lasciati indietro – e secondo perché stanno progettando per un futuro che ne avrà molto bisogno. L’agricoltura urbana è l’avanguardia. E’ ciò di cui abbiamo bisogno adesso.

Per inserire l’agricoltura urbana, e il suo potenziale, nelle nostre discussioni di questo mese su “Re-immaginare il Sistema Immobiliare”, cosa c’è di meglio che parlare con André Viljoen e Katrin Bohn, architetti, accademici ed autori del libro recentemente pubblicato Seconda Natura: progettare città produttive. Il loro primo libro, Paesaggi Produttivi Urbani Continui (PPUC), pubblicato nel 2004, mette il concetto dell’agricoltura urbana nell’agenda della professione dell’architetto. Le cose sono cambiate molto da allora. Li ho raggiunti su skype poche settimane fa. Come mi ha detto André, la reazione quando 10 anni fa hanno proposto agli editori un libro sull’agricoltura urbana è stata “agricoltura? Noi facciamo architettura”!

Il cambiamento da quando è uscito PPUC è stato notevole. Per esempio, la città di Berlino ora ha adottato una strategia urbana che vuole ospitare panorami produttivi e molte delle storie di come si sta diffondendo nel mondo sono catturate nel libro (alcune iniziative di Transizione e il loro lavoro sulla produzione urbana di cibo compaiono a loro volta). Il libro è presentato come una rassegna delle più recenti ricerche e progetti così come “una cassetta degli attrezzi tesa a rendere possibile l’agricoltura urbana”. Riesce molto bene in entrambe le cose.

Agricoltura urbana e nuova economia

Una delle prime cose che spicca nel nuovo libro è la misura in cui le iniziative di agricoltura urbana, in modo analogo ai gruppi di Transizione, stiano sempre più guardando alla fattibilità economica in quello che stanno facendo. Ho chiesto a Katrin di questa tendenza:

Alcuni degli esempi del libro funzionano ci si guadagna da vivere. Solo se le imprese riescono a fare questo c’è un futuro per la coltivazione urbana di cibo. Ciò non significa che questi schemi commercialmente fattibili debbano essere commercialmente fattibili in un modo orientato al profitto. Possono essere imprese sociali. Ma ciò che è stato notato negli ultimi 10 anni, ciò che è realmente cruciale, è che se vogliamo mantenere il presupposto per cui l’agricoltura urbana possa cambiare l’apparenza fisica delle città, allora dobbiamo fornire concetti in cui l’agricoltura sia anche un fattore economico. Non posso dire orti comunitari”.

Per Katrin, la nascita di progetti fattibili commercialmente di agricoltura urbana nel mondo le danno, come lo esprime lei, “il diritto di dire sì, l’agricoltura urbana è stata una buona idea. Perché possiamo vedere che queste versioni fattibili stanno cominciando a funzionare”.

One of Growing Communities' market gardens in Hackney. Uno degli orti urbani comunitari di Hackney

Uno dei migliori esempi di questo, che André ha indicato, è Growing Communities a Hackney, a Londra. Hanno costituito un’impresa in espansione che coinvolge formazione, orti urbani ed un modello in evoluzione per come Londra potrebbe alimentare sé stessa. Tuttavia, André ha riconosciuto che:

Mentre possiamo vedere la nascita di progetti che stanno cominciando ad essere economicamente fattibili, c’è ancora molto duro lavoro e le persone che li gestiscono ci mettono molta energia. Molti di loro hanno altri redditi”.

Come esempio, ha citato quello che probabilmente è l’azienda agricola su tetto più famosa, la Brooklyn Grange Farm a New York. La loro fattibilità commerciale deriva non solo dalla produzione alimentare, ma dall’aver tenuto un approccio imprenditoriale più ampio. Come lui mu ha detto:

Hanno operato commercialmente in relazione alla quantità di cibo, che va bene, ma hanno anche affittato lospazio all’aperto come luogo per celebrazioni, matrimoni, feste ed eventi. Questa è una parte importante del loro reddito. Sono agili, coltivano alimenti in modo molto intenso e convenzionale e penso che la domanda interessante si se i sistemi idroponici possano essere convertiti in sistemi acquaponici, che ci portano più vicini ai sistemi ad anello chiuso”.



Brooklyn Grange Farm, New York

 

Le sfide dell’aumento di scala

 

Un’altra chiave per fare agricoltura urbana economicamente fattibile, secondo André, è essere visti come una parte integrante dei sistemi di ciclo chiuso che usano gli scarti per il compost e il nutrimento. Come dice lui:

Se si comprende questo, allora la possibilità di renderlo commercialmente fattibile pensando ad esso in relazione al flusso di scarti diventa più probabile”.

Ma come possiamo aumentarlo di scala? Mi intriga sapere come pensano come potremmo vedere più abilmente adottata l’agricoltura urbana e più ampiamente dai progettisti e dagli architetti come luogo comune della vita nel pianificare nuovi sviluppi. Katrin mi ha detto:

A Brighton, dove risiediamo entrambi, il Comune ha inserito un piccolo cambiamento sul sito web fra i requisiti che controlla, al momento dell’inserimento delle domande di costruzione, non solo se si fornisce un parcheggio o sufficienti superfici di finestre o balconi, ma anche se questo nuovo sviluppo fornisce spazio per la coltivazione del cibo”.

Per lei, potrebbe essere attraverso questa tipologia di leggi, in cui Brighton ed altri sono pionieri, che l’agricoltura potrebbe venire meglio accettata ed attecchire. “Il modo migliore potrebbe esserePAN-150x213 attraverso queste leggi di modo che la gente capisca che la loro amministrazione locale richiede qualcosa e che essa ne ha un vantaggio”, mi ha detto.

Il precedente di Brighton emerge da Coltivazione del cibo e sviluppo, una nota consultiva di pianificazione sviluppata dal Comune in associazione con Brighton e Hove Food Partnership. Pur non essendo condizioni per ottenere il permesso di progettazione, significano che se si intraprendono certe attività, la domanda sarà vista più favorevolmente. A Brighton, André mi ha detto: “questo ha avuto un impatto notevole sul numero di domande che includono spazi per coltivare cibo al loro interno”. Questo poi, naturalmente, porta a nuove sfide. Come dice André:

La sfida che emerge è che se si introducono spazi per coltivare il cibo, sappiamo come progettarli, ma c’è il problema di chi li gestisce e li mantiene e questo in alcuni progetti è ancora una sfida”.


Mappare i benefici dell’agricoltura urbana

Uno dei modi chiave per espandere l’agricoltura urbana è quello di puntare sulla base delle prove accumulate dei suoi impatti benefici. Come mi ha detto André:

Ci sono molti lavori che documentano i benefici per la salute mentale dell’accesso a spazi aperti, la coesione sociale si giova dalla coltivazione di cibo da parte della comunità. Il programma Pollice Verde a New York, che sostiene gli orti urbani, ha accumulato un bel po’ di prove a favore dei benefici sociali e di salute, sia fisici sia mentali, di quegli spazi”.

Ci sono anche altri benefici. André ha indicato il High Line a New York e anche se ha prevalentemente piante ornamentali piuttosto che commestibili, è comunque un enorme attrazione per la gente, cosa che ha aumentato i prezzi delle proprietà nella zona. Il Prinzessinnengarten a Berlino ha dimostrato che l’agricoltura urbana è un’estetica che piace ai turisti e un altro orto urbano, Marzahn, sempre a Berlino, sta dimostrando come l’agricoltura urbana stia aumentando l’attrattiva di un quartiere povero.



Arnie al Prinzessinnengarten, Berlino.

Un altro beneficio, uno che abbiamo già esaminato in un tema precedente, è che la misura in cui l’agricoltura urbana (e la Transizione, del resto) può essere vista come una strategia di salute pubblica. E’ un’idea a cui André ha pensato:

C’è l’idea delle “città che favoriscono la salute” ed attività come l’agricoltura urbana sono del tutto adatte a quel filone di pensiero, probabilmente più delle ‘palestre verdi’. Ma ci sono alcune prove che sarebbero davvero interessanti da verificare. A Middlesbrough abbiamo fatto un progetto chiamato DOT, “Design of the Times 2007”, che introduce l’agricoltura urbana a Middlesbrough su una serie di scale diverse.

Una nostra studentessa che ha intervistato i residenti ha scoperto che a Middlesbrough la gente che ha cominciato a coltivare cibo, anche se in forma del tutto simbolica tipo coltivare un paio di pomodori e cose del genere, ha cominciato realmente a cambiare comportamento. Ha cominciato a comprare cibo di stagione ed a mangiare più frutta fresca e verdure. Lei ha confrontato la gente che vive a Cambridge a quella che vive a Middlesbrough ed ha scoperto che a Cambridge, dove la gente era già molto impegnata con massaggi salutari e dove era consapevole dei fattori ambientali, più che a Middlesbrough, la coltivazione del cibo non ha avuto un impatto così grande.

Ma in un posto come Middlesbrough ha comportato un enorme cambiamento di comportamento. Ciò non è mai stato, a quanto ne so, oggetto di una ricerca più rigorosa. Pensiamo che probabilmente sia una di quelle attività che la gente cerca sempre, attivita che favoriscono il cambiamento di comportamento direttamente collegate ai miglioramenti della salute”.

Per Katrin, è anche un metodo semplice per trasmettere educazione ambientale generale:

Che siano luoghi dove si coltiva cibo di tipo commerciale o comuni, molti progetti si impegnano anche in attività educative, gruppi scolastici o sessioni specifiche dove si impara a riconoscere le diverse lattughe”.

L’agricoltura urbana e la professione di architetto

L’architettura è, come il mondo della moda, incline alle mode. Ciò che va un anno, il successivo è già passato e l’idea all’avanguardia di quest’anno in quattro anni potrebbe essere “come nel 2014”. Come si potrebbe evitare questo? Come assicurare che l’agricoltura urbana rimanga? Katrin ha riconosciuto che questo potrebbe essere un rischio:

Questo pericolo è una delle ragioni per cui molti protagonisti del movimento della coltivazione urbana di cibo sono consapevoli che le loro idee devono fare questo salto nella politica. Influenzare in maniera sostenibile le politiche di progettazione è molto importante. L’architettura è alla moda e segue la moda, ma segue anche le richieste dei suoi clienti. Così, fincheé il cliente richiede questi spazi per produrre cibo gli architetti li accontenteranno”.

André ha aggiunto:

Siamo ad uno stadio in cui abbiamodavvero bisogno di far capire alla gente il significato di questi spazi in termini di parte dell’infrastruttura ecologica della città che la gente percepisce come spazi essenziali, parte dell’infrastruttura essenziale all’interno di una città. Se viene creato questo cambiamento mentale e pensiamo che ci siano prove sufficienti che lo sostengono, allora questi spazi diventeranno parte integrante delle città. E’ proprio questo lo stadio in cui ci troviamo, credo”.

Partendo da questo, per André e Katrin, una parte chiave del rendere mainstream l’agricoltura urbana è attraverso la buona ricerca. Fanno parte del progetto di ricerca chiamato Trasformazioni Urbane dalla Pratica alle Politiche. In termini di ricerca, André punta sul lavoro di Debra Solomon in Olanda, chiamato ‘Urbaniahoeve’. Là hanno introdotto paesaggi alimentari in diverse città. Il punto centrale del loro lavoro, nel lasso di tempo che porta ad una conferenza nel settembre 2015, sarà sviluppare strumenti per far leva sul cambiamento delle politiche riguardo all’agricoltura urbana.


 

Ultimi pensieri

Architettura Urbana Seconda natura è proprio straordinario. Se dobbiamo proprio costruire ambienti che sono ‘chiusi’ all’interno del futuro radicalmente a basso tenore di carbonio, dobbiamo creare, non possiamo davvero permetterci di costruire qualsiasi nuovo sviluppo che non includa l’agricoltura urbana. Dev’essere ovunque e chiaramente in questo momento non sta avvenendo abbastanza rapidamente. Viljoen e Bohn affrontano questo aspetto da diverse angolazioni e c’è qualcosa in questo che ispira le persone che rientrano in una gamma, da un lato, di chi si chiede come coltivare cibo nella città in cui vive a, dall’altro lato, dei pianificatori e progettisti che vogliono intraprendere progetti di scala ambiziosi. Difficile raccomandarglielo abbastanza.

Chi sono?

AndreSono André Viloen e sono un architetto. Attualmente lavoro all’Università di Brighton dove con Katrin Bohn abbiamo insegnato in un programma per studenti del Master e prima fare questo ero molto impegnato nella ricerca di un’architettura di edifici a basso uso di energia e come renderli passivi. E’ così che siamo arrivati ad interessarci all’agricoltura urbana”.

Katrin BohnSono Katrin Bohn, anch’io insegno all’Università di Brighton, ma ho anche una cattedra come esterna all’Università Tecnica a Berlino e in entrambi i casi cerco di lavorare il tema del cibo e la città. Con André condivido anche il lavoro alla Bohn and Viljoen Architects, che ora piuttosto ridotto, facciamo più che altro consulenza, installazione, studio di fattibilità. Di nuovo, siccome quel tema dei paesaggi produttivi è diventato così importante per noi, è ciò che facciamo prevalentemente. E ci piace”.

Perché ‘Agricoltura Urbana Seconda Natura’?

(Dal libro): “Il termine ‘seconda natura’ ha un doppio significato: da un lato descrive le abitudini ed i costumi integrati e normalizzati che hanno luogo senza un pensiero, dall’altro lato si riferisce allo spazio coltivato fatto dall’uomo che ci circonda in modo analogo alla (prima) natura”.

Selezionato dall’intervista completa che ho fatto a Andre e Katrin. Potete ascoltare l’intervista completa, o scaricarla, sotto.

https://soundcloud.com/transition-culture/viljoen-and-bohn-on-designing-productive-cities

L’importanza di celebrare

celebrazione-transition-fest

Per introdurre il tema della celebrazione prendo spunto da un’intervista a Chris Jonhstone sul blog del Transition Network (http://www.transitionnetwork.org/blogs/rob-hopkins/2014-07/chris-johnstone-without-celebration-we-wither-away) . Chris è uno psicologo che ha aiutato Rob Hopkins ad inserire nel processo delle Transition Towns elementi di psicologia del cambiamento e di supporto emotivo.

Ecco come risponde alla domanda: perché è importante celebrare?

“Possiamo pensare a come è importante il cibo. Senza cibo deperiamo. Il cibo è nutrimento. Noi abbiamo anche bisogno di nutrimento psicologico o psico-spirituale, nutrimento emozionale. Vedo la celebrazione come una di quelle cose che ci nutrono psicologicamente, emozionalmente, spiritualmente. Penso anche a quanto la celebrazione sia importante nel permetterci di proseguire nei nostri progetti.”

Trovare e concedersi spazi di celebrazione e di festa è importante in ogni ambito della vita e lo è in particolar modo nelle iniziative di cambiamento sociale, ecologico ed economico come le città di transizione. Il processo di cambiamento e di trasformazione che abbiamo avviato in questi anni richiederà molto tempo per essere completato e non ha senso aspettare di completare “il grande cambiamento” per avere momenti di gioia e di riconoscimento reciproco.

Concederci momenti di pausa e di celebrazione ci consente di notare tutti i piccoli passi, i piccoli successi che abbiamo ottenuto. Ci consente di notare anche gli insuccessi, importanti anche quelli per imparare dagli errori e per riprendere il cammino con maggiore consapevolezza.

In generale è molto importante avere momenti di apprezzamento reciproco indipendentemente dai risultati ottenuti, per mantenere la giusta dose di soddisfazione ed entusiasmo. Chris Johnstone paragona l’attivismo sostenibile all’agricoltura sostenibile. Per avere un agricoltura sostenibile dobbiamo nutrire il suolo in modo da avere un buon raccolto senza utilizzare sostanze chimiche, nello stesso modo per avere un attivismo sostenibile dobbiamo continuamente nutrire l’entusiasmo delle persone per portare avanti i nostri progetti.

Possiamo celebrare anche da soli i passi compiuti, ma se lo facciamo in gruppo è molto meglio. L’energia, la gioia e l’entusiasmo si amplificano e si moltiplicano.

Individuato il nostro “grande orecchio”

people

Ieri è stata una giornata molto importante per il Transition Network (l’organizzazione non profit che coordina Transition) e per la rete di Transizione (la miriade di gruppi che sperimenta sul campo in giro per il mondo questo approccio al cambiamento).

Un viaggio cominciato a Lione

Completando un percorso cominciato lo scorso anno a Lione, abbiamo individuato “the keeper of the global perspective” ovvero un membro del board (più o meno il consiglio di amministrazione) del Transition Network che si occuperà di mantenere attivo e costante l’ascolto dei segnali, delle esigenze, delle richieste, delle paure, delle aspettative che emergono in giro per il mondo.

Per la cronaca, Ellen Bermann è ora il nostro “grande orecchio”, occhi, cuore, mani e farà ufficialmente parte del board con questo specifico incarico di ascolto, le facciamo quindi i nostri migliori auguri e faremo di tutto per aiutarla in questo compito.

La cosa però veramente straordinaria e incoraggiante è che siamo riusciti a gestire questo processo a livello internazionale senza utilizzare meccanismi di democrazia rappresentativa e evitando le dinamiche competitive tipiche del nostro attuale sistema.

Ascolto non rappresentanza

Innanzitutto Ellen non rappresenta gli Hub di Transizione presenti nel mondo presso il board del Transition Network, ma si occupa di garantire un canale di ascolto (e questa è una piccola, grande rivoluzione). Quindi non è stata scelta attraverso un processo “elettorale” basato sul criterio di rappresentanza, ma attraverso un percorso ispirato alla sociocrazia e al metodo del consenso.

Si è trattato di scegliere la persona che a tutti è sembrata più adatta, sommando pensieri ed energie di tutti, idee, supporto, ecc. (l’esatto contrario di quanto accade nelle normali elezioni a cui siamo abituati). Abbiamo sviluppato collettivamente un protocollo sperimentale che definisse le modalità di individuazione della “persona più adatta” (sono servite tante videoconferenze e lavoro su documenti condivisi in rete, visto che gli hub sono ormai sparsi un po’ ovunque nel mondo).

Sommare invece che sottrarre

È stato necessario infrangere molte barriere formali e psicologiche, ma così a caldo mi pare di poter dire: si può fare ed è molto bello farlo così.

Non riesco nemmeno a spiegare quanto sia triste confrontare questo modo di procedere con la faticosa e guerresca campagna elettorale che caratterizza questi mesi prima del voto. La differenza tra sommare le energie per prosperare e farsi a pezzi l’un l’altro per vincere è davvero sostanziale (cioè di sostanza, tangibile).

Si può vincere tutti?

Tanto per capire la differenza, credo che Ellen troverà uno straordinario supporto proprio da parte degli altri candidati a questo ruolo, è molto probabile (se ne sta già parlando) che formeranno assieme un formidabile team in cui Ellen avrà una posizione formale ma assieme svolgeranno il loro compito di ascolto in modo ancora più efficace, vedremo…

Per contro, in un normale processo elettorale competitivo, uno vince, gli altri perdono e la guerra ricomincia… difficile che in questa dinamica si trovi posto per il bene comune.

Un altro interessante esperimento quindi e la procedura* individuata, che sicuramente va migliorata e perfezionata (è solo un inizio), potrebbe essere utilizzata in altri contesti, dal micro al macro. Anche questo lo vedremo…

_________
* Questo il documento sintetico che spiega la procedura sperimentata (è in inglese al momento).

L’ arma inesistente dello Shale Gas USA

Dato che in Italia si va intensificando la campagna mediatica per gonfiare anche in Europa la bolla dello shale gas, ho pensato fosse cosa utile, tradurre gli scarabocchi di un attento osservatore.


Articolo originale in inglese di Kurt Cob su Resource Insight  | 9 marzo 2014

L’Ucraina, la Russia e la inesistente “arma” del petrolio e del gas naturale statunitense

I commentatori della scorsa settimana si sono tutti cimentati nell’affermare che, ben lungi dall’essere impotenti nella crisi ucraina, gli Stati Uniti avevano a disposizione un’arma molto efficace: la crescente produzione petrolifera e di gas naturale che, se solo il governo statunitense avesse cambiato le leggi e permesso l’esportazione di questa abbondanza, sarebbe stata in grado di competere sul mercato mondiale e sfidare il predominio russo relativo agli approvvigionamenti energetici ucraini ed europei.

Ma vi è un solo grande problema in questa analisi. Gli Stati Uniti sono ancora un importatore netto, sia di petrolio che di gas naturale. Lo studio economico dell’esportazione del gas verso il Messico e il Canada, che sono entrambi connessi al sistema delle condotture del Nord America, suggerisce che queste esportazioni, nel caso in cui dovessero realmente concretizzarsi, saranno molto limitate. E che non vi è alcuna ragionevole prospettiva che gli Stati Uniti possano mai diventare un esportatore netto di petrolio. Continua a leggere

Rob e il “dibattito” sul clima

Salve a tutt*,
un insolitamente battagliero Rob Hopkins discute con i dirigenti della BBC il concetto di “dibattito” sul cambiamento climatico. Rob scrive una lettera alla BBC dopo che questa ha ospitato in una sua trasmissione l’opinione sul clima di una persona che non ha nessuna competenza sul tema e che sembra, invece, avere interessi di altro tipo. La BBC risponde, ma Rob non è affatto convinto e replica di nuovo. Un esempio classico di come il dibattito sul clima in realtà non esiste, ma viene alimentato da posizioni che non hanno alcuna base scientifica. Ma lascio la parola a Rob che si esprime molto meglio di me.

Buona lettura.

Lettera aperta di Rob Hopkins alla BBC sull’apparizione televisiva di Lord Lawson a “Today Programme”

Da “Transition Network”. Traduzione di MR


A Jamie Angus, editore, di Today Programme.  13 febbraio 2014

Caro Jamie,

scrivo per protestare con la massima fermezza riguardo al vostro pezzo del programma di questa mattina sul cambiamento climatico e l’attuale alluvione che aveva come ospiti Sir Brian Hoskins e Lord Nigel Lawson. Vi scrivo sia per mio conto che per conto del Transition Network, un’organizzazione di beneficenza che sostiene migliaia di comunità nel mondo che intraprendono azioni pratiche positive e locali in risposta alla crisi climatica e per le quali la distrazione presentata da tali articoli è profondamente inutile. La maggioranza schiacciante della scienza peer-reviewed sul clima accetta che l’attività umana riscalda il clima. L’IPCC ha revisionato tutta la scienza pubblicata sul cambiamento climatico ed ha concluso:

Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile e, dagli anni 50, molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti in millenni. L’atmosfera e l’oceano si sono riscaldati, le quantità di neve e ghiaccio sono diminuite, i livelli del mare sono saliti e le concentrazioni di gas serra sono aumentate. Ognuno degli ultimi tre decenni è stato più caldo sulla superficie terrestre di qualsiasi altro decenno precedente dal 1850.

Eppure, Lord Lawson ha ripetutamente dichiarato le sue credenze secondo cui il cambiamento climatico è “una credenza senza nessuna sostanza scientifica seria” e oggi ha sostenuto che non c’è collegamento con il meteo estremo e l’alluvione dei giorni scorso. Tuttavia, un rapporto del 2012 pubblicato da DEFRA ha identificato le alluvioni come la più grande minaccia al Regno Unito posta dal Cambiamento climatico, con fino a 3,6 milioni di persone a rischio per la metà del secolo. Ogni grado Celsius di riscaldamento porta alla capacità dell’atmosfera di contenere il 7% in più di umidità rispetto a prima (come mostra questo saggio dalla rivista Climate Research) ed abbiamo già fatto aumentare la temperatura di 0,8°C rispetto ai livelli preindustriali. La signora Julia Slingo, presentando un rapporto del Met Office sulla recente alluvione, ha detto sabato al programma World at One:

Tutte le prove suggeriscono che c’è un collegamento col cambiamento climatico. Non c’è prova che contrasti con la premessa di base che un mondo più caldo porterà a precipitazioni piovose più intense su base giornaliera o anche oraria”.

Le mie obiezioni specifiche sono le seguenti: Continua a leggere

Rob e le “Comunità Resilienti”

rob transition

Ci voleva un evento inaspettato e significativo, come la decisione della Fondazione Cariplo di incentrare una delle sue linee di bando 2014 sul tema delle “Comunità Resilienti”, per fare arrivare Rob Hopkins a Milano.

COMUNITA’ RESILIENTI
L’occasione è ghiotta e inconsueta, non solo perché testimonia il fatto che certi temi stiano diventando patrimonio anche delle istituzioni, ma anche perché speriamo questo sia l’inizio di un cambio di atteggiamento più generale delle fondazioni italiane.

La Fondazione Cariplo ha costruito il suo bando in autonomia, non c’è stato un interessamento diretto del movimento, ma è chiaro (ed esplicitato nel bando stesso) che l’esperimento delle Transition Towns è stato una delle principali fonti di ispirazione.

Si tratta quindi di un momento da celebrare, sono quei piccoli punti di svolta con cui si costruisce il cammino della Transizione. È bello che Rob abbia accettato l’invito della Fondazione a passare una giornata a Milano per una “lecture” pubblica che si terrà giovedì 13 marzo dalle 15:30 alle 17:30 al Centro Congressi della Fondazione Cariplo in via Romagnosi, 8 a Milano.

VEDIAMOCI TUTTI LI’
A questo punto, visto che la sala è grande e le occasioni per incontrare Rob poche, vediamoci lì e diamo un segnale di rinforzo all’idea che vadano investite risorse su questi aspetti fino ad oggi completamente trascurati.

Non sempre una sala piena è segno che le cose stanno funzionando, ma questo è uno di quei casi in cui potrebbe trasformarsi in un messaggio importante, quindi mi sento di dirvi, se ce la facciamo, riempiamola! Fate circolare la notizia il più possibile e invitate chi ritenete opportuno. Facciamola diventare una festa, ok?

Se volete esserci, basta registrarsi utilizzando questo link.

LA TRANSIZIONE IN LOMBARDIA
A tutti coloro che si interessano di Transizione in Lombardia rivolgo l’invito a studiare il bando con attenzione perché si tratta di una buona opportunità per costruire azioni sul territorio che, per una volta, potrebbero avere alle spalle qualche risorsa economica. Un’occasione da cogliere al volo.

Spero di vedervi a Milano.

Spunti per facilitare il cambiamento 3

Come discutere la Transizione con … n° 5: gruppi religiosi

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

La sfida

Come può la Transizione approcciarsi più abilmente coi gruppi religiosi locali e quale  terreno comune si può trovare sul quale costruire una buona relazione che funzioni?

Punti chiave

  • Identificate le persone con le quali è meglio parlare.
  • Cercate un terreno comune sui problemi di pace e giustizia o del “bene comune”.
  • Molte delle discussioni che avvengono all’interno della Transizione avvengono anche nelle comunità religiose. Continua a leggere

Spunti per facilitare il cambiamento 2

Come parlare di Transizione con… n° 4: l’amministrazione locale

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR

La sfida

Una delle sfide per il passaggio di scala della Transizione sarà una relazione salutare e reciprocamente benefica con l’autorità locale. Come nutrire, costruire e sostenere meglio una relazione simile?

Punti chiave Continua a leggere