L’Aquila tornerà a volare
Ho appena ricevuto un vivido resoconto di Daniela Da Milano sull’incontro di sabato scorso a Roma che aveva come tema il terremoto in Abruzzo e il futuro di L’aquila. Mi sembra così efficace che non aggiungo altro e vi lascio alla lettura…
Sabato 23 maggio l’associazione di promozione sociale Panta Rei di L’Aquila ed il Celestinian Center di Roma hanno organizzato nella capitale il convegno “L’Aquila tornerà a volare”, un incontro di riflessione dedicato al terremoto.
L’appuntamento, al quale erano presenti anche alcuni rappresentanti del gruppo di transizione dell’Aquila, ha ospitato anche l’intervento di Dario Tamburrano, che è intervenuto sul tema: “Ricostruire L’Aquila: cosa possiamo fare per trasformare questa tragedia in una grande opportunità”. Dario ha raccontato davanti ad una platea attenta (nonostante il caldo tropicale) di un centinaio di persone l’esperienza dell’Ost di Monteveglio, dedicata proprio al tema del convegno.
C’ero anch’io, Daniela, molto interessata a queste prime iniziative di transizione a Roma e a come si fa, da dove si comincia a raccontare ad un pubblico ignaro un tema complesso come quello della transizione, e poi cos’è l’open space technology, e poi l’entusiasmo e tutte le proposte venute fuori in quelle due giornate intense a Monteveglio… Prove tecniche per la transizione… de noartri, insomma, come si dice dalle nostre parti.
La questione era indubbiamente complessa, ma Dario ha scelto la via più giusta, dichiarando subito che avrebbe lasciato parlare il cuore. E il cuore, si sa, se lo lasciamo fare è in grado di trovare a istinto il bandolo della matassa. Innanzitutto una breve introduzione sul Transition Network, sulla spinosa questione del petrolio, la cui larga disponibilità è destinata a finire in tempi brevi (una distinzione sottile ma importante, ho capito: tendenzialmente nessuno sembra allarmarsi quando si dice che il petrolio “prima o poi” finirà, perché sembra una cosa impossibile, che riguarderà l’umanità tra chissà quante generazioni. Le orecchie si drizzano invece quando si spiega che è il periodo delle vacche grasse che non può essere eterno: è un concetto semplice, è una questione di buon senso ed è proprio questo che ci obbligherà presto a rivedere tante cose che siamo abituati a dare per scontate). Poi Dario fa una precisazione importante, anche in considerazione del fatto che l’associazione che ci ospita è il Celestinian Center, Rete di sviluppo per il potenziale umano: al di là dei dati economici e delle considerazioni socio-politiche, la transizione è anche e soprattutto una questione interiore, che spalanca le porte ad una riconsiderazione profonda di noi stessi e dei nostri valori, dei rapporti con le persone che ci circondano.
E a proposito di esperienze che ti toccano nel profondo, si fa strada una descrizione dell’open space technology e dei giorni di lavoro a Monteveglio, quando abbiamo sperimentato in prima persona che… funziona. È davvero una maniera sorprendentemente semplice ed efficace per creare uno spazio vuoto in cui la creatività individuale e collettiva possano esprimersi al meglio. E noi l’abbiamo fatto con il pensiero rivolto all’Abruzzo, concentrato su un “che fare” che si è tradotto in una serie di idee e proposte operative.
Dario dice che circolano voci che nelle tendopoli si inizia a litigare: il nostro modello di sviluppo, che tende a rinchiuderci ognuno nella sua scatola, ci ha tolto la capacità di condividere spazi e giornate, ci ha tolto il senso profondo di appartenere ad una comunità. Ed è proprio da questo che nascono tanti disagi. Di qui l’idea di provare a portare la nostra esperienza dell’Ost in Abruzzo, per metterla al servizio di una situazione di forte disagio, per imparare a stare insieme e a lasciare emergere le proprie reali esigenze. È proprio in questo senso che la tragedia dell’Abruzzo potrebbe trasformarsi in una grande opportunità: quando la tua vita viene stravolta così radicalmente puoi provare davvero a ricominciare tutto da capo, a riannodare i fili che sono stati spezzati negli ultimi decenni di una civiltà antica, basata su un corretto rapporto con l’ambiente, su antichi saperi e su un’etica condivisa.
Di qui le altre proposte dalle quali ricominciare: allestire orti condivisi, per risolvere i problemi di approvvigionamento alimentare e per ritrovarsi, giovani e vecchi, a guardare crescere gli ortaggi, a prendersene cura; provare a ricostruire secondo i criteri della bioedilizia, magari pensando all’autocostruzione, visto che le risorse scarseggiano. A questo punto molte persone in platea alzano la mano: una signora racconta che di fronte a casa sua, a L’Aquila, c’era un terreno incolto e lei sognava di farci un orto. Adesso, chissà. Un abitante di Pescomaggiore dice che le persone del suo paese sono disponibili a lavorare insieme su questi temi, ma chiede concretezza: fatti, non parole, anche perché, in quasi due mesi, di parole devono averne sentite tante. Un’insegnante suggerisce l’utilizzo della musica per contribuire a risolvere i conflitti. Un’altra donna abruzzese osserva giustamente che ognuno ha il proprio piccolo talento: è ora di tirarlo fuori e metterlo al servizio degli altri. Altre mani si alzano, si intrecciano racconti di esperienze fatte, speranze e paure.
Era la prima volta che assistevo ad una presentazione pubblica dei temi della transizione e l’ho visto con i miei occhi: ci sono tante persone che hanno davvero voglia di cambiare, che aspettano solo l’occasione ed il modo per uscire dal proprio guscio, fosse anche solo per condividere con altri le proprie angosce. È certo che viviamo tempi bui, ma è altrettanto certo che ognuno ha dentro risorse insospettabili. Basta accorgersene.