Kevin Anderson in italiano
Mettetevi comodi, è lunghetta. Buona lettura.
Intervista a Kevin Anderson: “Riduzioni rapide e profonde delle emissioni potrebbero non essere facili, ma da 4 a 6°C in più sarebbe molto peggio”
Di Rob Hopkins. Da “Transition Culture”.
Kevin Anderson è il Vice Direttore del britannico Tyndal Centre ed è un esperto di tendenze delle emissioni di gas serra. Egli darà la lezione annuale al Cabot Institute, ‘Abiti Reali per l’Imperatore’ il 6 novembre a Bristol, che registra già il tutto esaurito. Speravo di essere in grado di andarci e di farvi una relazione qui, ma non posso più, quindi in sostituzione, ho parlato la scorsa settimana con Kevin via Skype. Gli sono molto grato per il suo tempo e per questa intervista onesta, vigorosa e che fa pensare.
Potresti condividere con noi le tue analisi su dove pensi che ci troviamo in termini di cambiamento climatico e quale sia la nostra attuale traiettoria se continuiamo così?
In termini di linguaggio intorno al cambiamento climatico, ho l’impressione che ci sia ancora un’opinione ampiamente diffusa secondo alla quale possiamo probabilmente far riferimento per evitare un pericoloso cambiamento climatico, caratterizzata da questo quasi magico aumento di 2°C della temperatura media della superficie terrestre. Questo è l’obbiettivo che abbiamo stabilito a Copenhagen e che abbiamo ripetuto a Cancun e per il quale gran parte delle nazioni del mondo hanno firmato. Penso che la retorica del fatto che non dovremmo eccedere i 2°C sia ancora presente. Ma ora non si tratta solo delle nostre emissioni. Se guardiamo le emissioni che abbiamo già immesso in atmosfera dall’inizio di questo secolo e a quelle che probabilmente emetteremo nei prossimi anni, penso che questo dica un’altra cosa. E’ difficile immaginare che, a meno che non abbiamo un cambiamento radicale del mare nelle sue attitudini nei confronti delle emissioni, eviteremo un aumento di 6°C per la fine di questo secolo.
Possiamo dire con certezza, secondo te, che gli eventi atmosferici estremi di quest’anno possano essere collegati al cambiamento climatico?
Certamente no. Penso sia onesto dire che è improbabile che saremo mai in grado di collegare in modo forte singoli e particolari eventi al cambiamento climatico. Ora, ciò non vuol dire che non abbiamo un più alto livello di attribuzione, nel quale possiamo cominciare a dire che le cose che vediamo sono ciò che ci aspetteremmo di vedere con un clima che si riscalda. Stiamo lottando per trovare una qualsiasi altra ragione per questi eventi e per questo sembra una buona possibilità che questi eventi siano causati, se non esacerbati, dall’aumento di emissioni di CO2 ed altri gas serra e dal relativo aumento di temperatura. Ma credo che sia improbabile che saremo mai capaci di dire che ogni singolo evento sia un ‘evento di cambiamento climatico’.
Ma potresti affermare che, se ci trovassimo ancora a 280 ppm, un’estate del genere sarebbe molto meno probabile?
Sì, penso che sarebbe una considerazione giusta. Sarebbe molto meno probabile. Prima di quest’estate, la probabilità di avere questo meteo estivo sarebbe stata minore se non avessimo avuto aumenti significativi dei gas serra ed il loro impatto cumulativo nell’atmosfera. Stiamo cominciando a vedere eventi che sono difficili da spiegare in termini di normali probabilità. Ci sono eventi atmosferici estremi, abbiamo sempre avuto eventi simili, gli estremi avvengono. Ma se gli estremi cominciano ad avvenire regolarmente non sono più estremi e quello che vediamo non è un estremo meteorologico, vediamo un cambiamento nel clima. Ma è difficile dire che ogni evento particolare fra una gamma di eventi sia una conseguenza del cambiamento climatico e non semplicemente un evento atmosferico estremo.
A volte la gente parla di questa ‘nuova normalità’, del fatto che le condizioni di base intorno a noi siano cambiate. In ciò che accade in termini di cambiamento climatico, come caratterizzeresti la ‘nuova normalità’ nella quale ci troviamo dato l’aumento che abbiamo avuto finora nelle emissioni?
Penso che probabilmente sarebbe una normalità molto breve, non penso affatto che questa sia la normalità. E’ la normalità di oggi, ma credo che il tasso di aumento delle emissioni, e non c’è alcun segno che quel tasso stia diminuendo significativamente, suggerisce che stiamo raggiungendo una nuova normalità, poi un’altra e poi un’altra. Sono una di quelle persone che conclude che stiamo probabilmente per vivere impatti significativi da cambiamento climatico nei prossimi 1-3 decenni e, ovviamente, anche oltre. Al momento, a meno che non cambiamo i nostri percorsi e traiettorie nelle emissioni, la normalità cambierà regolarmente.
Hai già detto, e lo dirai a Bristol il 6 novembre, che per rispondere adeguatamente al cambiamento climatico la crescita economica non è più compatibile. Potresti arricchire un po’ questo aspetto per noi?
Ora parlerò specificatamente dell’Allegato 1, la parte ricca del mondo, i paesi OCSE, in generale i paesi che sono molto ben industrializzati. In quelle parti del mondo, il tasso di riduzione delle emissioni che sarebbe necessario anche solo per rientrare all’interno di una remota possibilità di evitare un pericoloso cambiamento climatico, caratterizzato dall’aumento di 2°C per il quale ci siamo impegnati a livello internazionale, sarebbe nell’ordine di circa il 10% all’anno. Anche se una guida molto approssimativa è molto lontana dal rimuovere l’1,2 o 3% che molti scenari energetici o di emissioni considerano. E’ ben oltre qualsiasi cosa siamo stati in grado di appoggiare, virtualmente ben oltre qualsiasi cosa abbiamo analizzato finora. Quello che sappiamo è che a breve termine, a causa del fatto che abbiamo bisogno di cominciare ora, non possiamo semplicemente disporre della fornitura sufficientemente in fretta.
Per questo, nel breve e nel medio termine il solo grande cambiamento che possiamo fare è nel consumare meno. Ora questo sarebbe un bene, potremmo diventare più efficienti in quello che consumiamo con una riduzione del 2-3% all’anno, probabilmente. Ma tenete presente che nella nostra economia si diceva di crescere del 2% all’anno e noi stiamo qui a cercare di ottenere una riduzione del 3% all’anno nelle nostre emissioni, ciò significa un aumento del 5% nell’efficienza di ciò che facciamo ogni anno, anno dopo anno. La nostra analisi per i 2°C suggerisce che abbiamo bisogno di un 10% assoluto di riduzione all’anno, e non c’è analisi che suggerisca che questo sia in qualche modo compatibile con la crescita economica. Se consideriamo il Rapporto Stern, Stern è stato molto chiaro sul fatto che non ci fosse prova del fatto che qualsiasi tasso oltre l’1% annuo di riduzione delle emissioni sia mai stato associato a nient’altro che “recessione economica o sommossa”, credo sia la citazione esatta.
Quindi non abbiamo precedenti storici di niente che sia più grande di una riduzione del 1% annuo nelle emissioni. Stiamo dicendo che ci serve una riduzione di circa il 10% all’anno ed è qualcosa che abbiamo bisogno di fare oggi. E per questo possiamo trarre una conclusione molto chiara da ciò, che nel breve e medio termine, la strada per l’Allegato 1, le parti ricche del mondo per soddisfare i loro obblighi ai 2°C, dovrebbero tagliare significativamente i consumi. E questo significherebbe di conseguenza dal breve al medio termine, una riduzione della nostra attività economica, per esempio non potremmo avere crescita economica. Ora, potremmo avere un’economia di stato stazionario, ma la mia sensazione generale è che probabilmente la matematica ci indica di consumare meno ogni anno per i prossimi anni, forse un decennio, più o meno.
Questo è mai accaduto prima? Da quanto ho capito, quando l’Unione Sovietica è collassata c’è stato un taglio del 9% ed è durato solo un anno. Come potrebbe essere un taglio del 10% all’anno?
Ciò che ho capito del collasso dei paesi del blocco orientale è stato che la riduzione è stata del 5% all’anno per circa 10 anni. Quindi quello che abbiamo visto là è stato relativamente prolungato, completamente non pianificato ed è risultato essere molto caotico, una riduzione delle emissioni irregolare, ed anche allora ha consegnato solo la metà a un quarto, il tasso di riduzione, di quanto ci servirebbe per i 2°C. Quindi quando la loro economia è collassata, le loro emissioni sono crollate di circa il 5% all’anno per circa 10 anni. Avremmo bisogno almeno di un 10% all’anno se non considerevolmente di più e più a lungo di un periodo di 10 anni. Per l’Unione Sovietica il collasso economico, anche se un periodo terribile per molte persone, non ha tuttavia raggiunto il tasso di riduzioni di cui avremmo bisogno di vedere qui. Naturalmente la nostra visione è che per consentire i 2°C dovremmo pianificare la contrazione economica. Non ha necessariamente bisogno di avere l’impatto devastante, e molto iniquo, che ha molto chiaramente avuto in Russia in particolare.
Dato che l’attuale amministrazione, o di fatto ogni amministrazione che venisse eletta in questo paese, non sarebbe mai in grado di fare campagna su un programma di contrazione dell’economia del 10% all’anno, quali sono le implicazioni? Come può il bisogno di fare questo convivere con la democrazia?
Innanzitutto non dico che dobbiamo ridurre il nostro livello di consumo del 10% all’anno in termini di beni materiali. Non sto dicendo che la nostra economia deve ridursi del 10% all’anno. Le emissioni devono scendere del 10% all’anno, ma dovremmo essere in grado anche di ottenere qualche miglioramento nell’efficienza. Quindi l’economia non dovrebbe scendere quanto il tasso di emissioni. E’ molto importante fare questa distinzione e naturalmente più il frutto che possiamo trovare sta in basso, e penso che ce ne siano molti di più là fuori di quanti ne abbiamo scoperti in precedenza, meno la contrazione materiale dell’economia sarà necessaria. Da alcuni dei nostri lavori provvisori abbiamo identificato alcuni miglioramenti molto significativi nell’efficienza di come facciamo ciò che facciamo; alcune tecniche, altre comportamentali. Non credo sia necessariamente disastrosa come la si dipinge da un punto di vista economico. Ciononostante qui stiamo parlando, bene che vada, di un’economia di stato stazionario. Le analisi che io ed i colleghi al Tyndall Centre abbiamo intrapreso suggeriscono che probabilmente ci dovrà essere una riduzione dei nostri consumi ed una contrazione economica. Come la possiamo vendere? Be’, l’abbiamo venduta al momento.
E’ molto chiaro che ciò che stiamo vedendo nel Regno Unito e molte parti d’Europa è al massimo stagnazione, se non una riduzione economica nel nostro livello di consumo. Quindi siamo realmente arrivati al momento topico. Non tutti troviamo questo assolutamente terribile… non che sia stato equamente distribuito, credo che sia stato distribuito iniquamente. Penso che l’equità dovrebbe essere una delle considerazioni principali in questo. Dobbiamo tener presente che anche se abbiamo una contrazione economica, il che significherà necessariamente che molte persone dovranno consumare meno. Ritengo molto chiaro su questo che gli effetti distributivi significheranno molto probabilmente che molta gente, nel Regno Unito per esempio, non vedrà una riduzione nei propri livelli di consumo o nei propri livelli di benessere, ma altri di noi nel Regno Unito, come me, dovranno certamente vedere una riduzione nel livello dei consumi . Quindi penso che gli impatti della distribuzione possono significare che potrebbe essere molto più attraente, o meno repellente, per i politici di quanto possa sembrare a prima vista.
In particolare, dato che affrontiamo molti problemi ora con la disoccupazione, la riduzione dell’assistenza sociale, ecc., problemi che colpiscono le persone in modo sproporzionato nella fascia dei redditi medio-bassi, è questa gente che potrebbe in effetti beneficiare di una transizione ad un’economia molto più efficiente e a basso tenore di carbonio. Le implicazioni dovranno ovviamente essere pensate nel processo, ma ogni governo che abbia abbracciato un’analisi più sofisticata del cambiamento climatico probabilmente riconoscerà la situazione economica in cui ci siamo comunque cacciati col nostro modello attuale. Mettete insieme queste due cose e ci sono reali opportunità ora per una transizione significativa di come e di ciò che facciamo, una transizione lontana dal modello dogmatico della crescita economica e in direzione di una alternativa stazionaria a basso tenore di carbonio.
Quale ruolo vedi, certamente in termini di approccio di Transizione – come molte risposte analoghe a tutto ciò che vengono dal basso e guidate dalla comunità – qual è la tua sensazione sul ruolo che le comunità possono svolgere nel far sì che questo accada?
Credo che l’approccio della comunità, l’approccio dal basso, sia assolutamente centrale per risolvere alcune delle sfide e dei problemi che ci troviamo ad affrontare ora. Quindi penso che le comunità siano molto importanti. Sono importanti in diversi modi. Si potrebbe pensare che le azioni individuali, di ogni famiglia, di ogni comunità locale in sé e per sé siano insignificanti, ho sentito dire questo troppo spesso. Il punto riguarda meno le emissioni di un individuo, anche se importanti, ma più l’esempio che rappresenta. Da ad altra gente l’opportunità di vedere che puoi fare le cose in modo diverso. Se le comunità, anche se fossero solo una o due comunità, cominciassero a fare le cose in modo significativamente diverso, costituiscono un esempio di quello che possiamo fare. Se quegli esempi hanno successo si possono diffondere. Una volta che si sono diffusi, i politici possono cominciare a vedere quegli esempi all’opera e possono cominciare a metter giù un programma dall’alto che coincida con quello dal basso.
Possiamo realmente indirizzare i politici dove funziona e formulare argomenti per implementare politiche che faciliterebbero questo tipo di cambiamenti.Se abbiamo intenzione di uscire dal buco nel quale ci siamo ficcati, c’è una reale possibilità di collaborazione fra azioni dal basso individuali, attraverso le comunità, ecc. e quelle dall’alto che cercano di facilitare le iniziative quando emergono. E’ il tipo di collaborazione di cui abbiamo bisogno se vogliamo vedere un cambiamento reale e sostanziale. E se vediamo questo nel Regno Unito, ciò aiuta all’interno dell’unione Europea e può indicare una transizione più ampia e globale. Credo che tutti noi abbiamo una responsabilità nel provare a portare questi cambiamenti nelle nostre vite e nel nostro ambiente circostante e questo può essere davvero significativo. Quello che facciamo noi stessi è assolutamente centrale per portare cambiamenti sostanziali.
Quale pensi che sia il ruolo degli scienziati in tutto questo? Dovrebbero concentrarsi solo sulla scienza definitivamente provata o muoversi verso una presa di posizione da attivisti come James Hansen? Come vedi questo equilibrio fra scienza ed attivismo?
Questa è una domanda molto difficile. Secondo me come scienziati dobbiamo comportarci da scienziati. Ora, siamo esseri umani, quindi la scienza non sarà mai la professione perfetta, obbiettiva e neutrale come tentano di descrivere i libri di testo. Ciononostante penso che sia molto importante nella nostra scienza rimanere neutrali e obbiettivi quanto più possiamo. La scienza non è in bianco e nero, c’è una grande incertezza in molta scienza, ci sono grandi probabilità e chiaramente il cambiamento climatico è avvolto in tutto questo. Ma penso che sia assolutamente centrale che come scienziati ci comportiamo da scienziati. Come individui, come cittadini (possiamo essere scienziati, ma siamo anche cittadini), non ci vedo niente di male nel sollevarsi e dire “penso che i miei colleghi ed altra gente di scienza abbiamo delle preoccupazioni per la società e quindi devo scegliere di agire sulla base di questa analisi”. C’è una dualità qui.
Un individuo può, come scienziato, fare il suo lavoro in modo neutrale e quindi usare quel lavoro per informare il modo in cui agisce come cittadino. Se Hansen ed altri voglio incatenarsi a dei bulldozer che costruiscono nuove autostrade, che è la loro scelta come cittadini, non sono in disaccordo con questo. Quello che non mi troverebbe d’accordo sarebbe se tutti cominciassero ad usare la scienza impropriamente per sostenere altre serie di vedute. Perché la gente, come l’analisi di Hansen, sembra più estrema, la gente quindi presume che lui stia spingendo i confini della scienza. Penso che gli scienziati che spingono i confini della scienza siano coloro che si attengono deliberatamente, e conosco molte di queste persone, ad una linea che è politicamente appetitosa, perché questo è ciò che i politici, quello che i loro padroni che li pagano, quello che la società, vogliono sentire.
Lo scienziato del clima James Hansen mentre viene arrestato durante una protesta contro l’oleodotto di Keystone XL.
In realtà credo che Hansen e alcuni di quegli scienziati che sono preparati per sollevarsi e fare dichiarazioni molto forti provenienti dalla loro ambito scientifico, siano coloro che sono più neutrali ed obbiettivi; fin troppi degli scienziati che lavorano sul cambiamento climatico sono trascinati, secondo me, da una linea politica. Sembra neutrale perché non suona estrema, è compatibile con l’ortodossia. Ma non è questo il modo in cui dovremmo fare scienza. Che rientri o meno nell’ortodossia, dovremmo essere obbiettivi, robusti, diretti e onesti riguardo la scienza.
Passi molto del tuo tempo circondato da tutti quegli studi, ricerche e pubblicazioni, tutti quei modelli che peggiorano sempre di più. Come lo affronti questo da un punto di vista personale e cosa fai nella tua vita che sia motivato da ciò che incontri nella tua vita professionale?
Devo dire che diventa sempre più difficile, ha condizionato la mia vita personale in modo considerevole durante gli ultimi anni e sta peggiorando. Trovo molto difficile impegnarmi nella scienza e quindi non collegarla a quello che noi individui, società e decisori politici stiamo facendo o non facendo in modo evidente. E’ stato molto impegnativo per me con alcuni colleghi di lavoro, meno all’interno del gruppo più ristretto nel quale sono coinvolto qui a Manchester, ma sicuramente è così col gruppo più allargato di colleghi coi quali lavoro sul cambiamento climatico, i quali, mi pare, non hanno alcun riguardo per ciò che le loro ricerche gli indicano.
Per molti, ma con eccezioni significative, il proprio lavoro sembra essere poco più di qualcosa che serve a pagarsi il mutuo. Lo trovo molto difficile. Sono dell’avviso che incomba su di noi come scienziati e cittadini il fatto che dovremmo cambiare quello che stiamo facendo nelle nostre vite e penso che la gente prenderebbe molto più in considerazione l’analisi che facciamo se decidessimo di vivere ampiamente in accordo con la nostra scienza. Secondo me, sono troppo pochi gli scienziati che lavorano sul cambiamento climatico che facciano realmente questo. Ma trovo anche sempre più difficile non sfidare amici e famiglia, che spesso sembrano ignorare completamente gli impatti delle loro azioni.
Ora sono arrivato al punto in cui penso che quando emettiamo in modo dissoluto, noi stiamo consapevolmente danneggiando la vita e le prospettive di alcune delle persone più povere della nostra comunità, sia nel Regno Unito sia, più significativamente, a livello globale. Ciononostante continuiamo oscenamente a farlo. Siamo felici di mettere pochi centesimi in una ciotola, al centro della città, per aiutare la gente che vive nelle zone più povere del mondo, ma non sembra che siamo preparati a fare cambiamenti sostanziali nel modo in cui viviamo anche quando ci rendiamo conto dell’impatto che hanno le nostre emissioni. Eppure la scienza è molto chiara su questo, sul fatto che la gente vulnerabile nelle aree più povere del mondo soffriranno ripercussioni terribili da ciò stiamo facendo ora e da quello che abbiamo già fatto.
Trovo quasi riprovevole che gli scienziati siano in grado di ignorare completamente un messaggio tanto chiaro; sappiamo che la gente che vive nella fascia costiera del Bangladesh soffrirà molto significativamente del nostro comportamento come accadrà a molta altra gente, gente povera in tutto il mondo. E noi non dimostriamo, collettivamente come società e spesso come individui, nessun interesse o compassione che siano significativi. Ho eliminato molte delle attività che seguivo in precedenza. Molte delle mia amicizie legate alle attività. Come scalatore, viaggiavo molto in aereo durante le festività. Questo è dovuto cambiare considerevolmente. Ho amici vicini del periodo in cui lavoravo per l’industria del petrolio, amici che pensano che il cambiamento climatico sia un problema serio ma che non sono preparati a fare nessun cambiamento ai propri stili di vita. Sono sorte alcune sfide serie per me nel mantenere le relazioni personali. Non voglio far finta che sia facile.
Non credo che il futuro, per coloro fra di noi che hanno la posizione molto fortunata di vivere in occidente, sia pieno di opportunità vincenti. La gente che ha sfruttato bene, che ha ricavato molto dal nostro sistema occidentale e vive stili di vita che sprecano molto carbonio, affronterà sfide difficili e non dovremmo fingere il contrario. Finché non abbracciamo strumenti alternativi per trovare valore nelle nostre vite. Penso che questa transizione da dove siamo oggi, stili di vita ad alto tenore energetico e di carbonio, agli stili di vita finali a basso tenore di carbonio sarà sia difficile sia impopolare. Ma alla fine dei conti, non vedo alternative. Riduzioni rapide e profonde delle emissioni potrebbero non essere facili, ma da 4 a 6°C in più sarebbe molto peggio.
Vedi qualche possibilità che questo possa essere guidato dal governo?
No, non credo che sarà guidato dal governo. Penso che non sarà guidato da nessuno. Penso che sarà una conseguenza emergente di una società che se ne occupa, di cui il governo è una parte e di cui cittadini e individui sono a loro volta parte, non mi è mai piaciuta particolarmente l’idea di grandi personaggi, di meravigliose guide, credo molto di più in un sistema emergente, le proprietà ed i valori che sono compresi all’interno di un sistema. Ora possiamo vedere che questo si manifesta qualche volta in un leader, ma è in realtà una conseguenza di quella società che va in una certa direzione.
Ecco perché non sono in cerca di grandi personalità che si facciano carico di tutto e di portarlo avanti. Sto cercando che tutti noi ci impegniamo e da questo emerga un nuovo modo di pensare il mondo. Date le sfide economiche, le crisi (o comunque le vogliamo chiamare) che stiamo vedendo in questo momento, questa è una vera opportunità di cambiamento. Un’opportunità che abbiamo bisogno di cogliere. Abbiamo bisogno di pensare in modo diverso, di pensare positivo, ma di riconoscere, dal mio punto di vista, che non sarà facile. Possiamo istituire questi cambiamenti noi stessi sia dal basso sia dall’alto. E’ questo il tipo di guida di cui abbiamo bisogno, la guida da parte di ognuno di noi.
Pensi che, da una prospettiva di cambiamento climatico, in realtà una prospettiva di approfondimento e peggioramento della recessione sia la cosa migliore che ci possa accadere?
Al momento vedo solo come se riguardasse tutti gli altri. L’iniquità sta aumentando, non diminuendo. Le recessioni non sono bei momenti – non siamo chiaramente tutti in recessione contemporaneamente. Molti di noi non hanno fatto alcun cambiamento, i ristoranti in cui andiamo, gli hotel in cui andiamo, le vacanze che ci prendiamo e inoltre c’è l’altro aspetto, cioè che stiamo smantellando le politiche sociali e non investiamo in infrastrutture verdi. Buttiamo costantemente soldi, un terzo di trilione nelle banche, non in una nuova rete e in un nuovo insieme di tecnologie rinnovabili o nell’adeguamento delle case. Quindi, abbiamo la prospettiva di fare le cose in modo diverso, offertaci dalla recessione, ma ci stiamo facendo sfuggire queste opportunità, giorno dopo giorno stiamo buttando via queste opportunità. Andare verso una società a basso tenore di carbonio e resiliente, potrebbe essere molto più positivo di quanto non si stia rivelando.
Bill McKibben sostiene che dobbiamo tornare a 350 ppm. E’ possibile?
Be’ lo è, a termine molto lungo. Ma non entro il tipo di quadro temporale di cui stiamo parlando al momento, a meno che le strade della geo-ingegneria funzionino, e penso che dobbiamo essere molto cauti riguardo al succhiare CO2 dall’aria quando non riusciamo ancora nemmeno a spegnere la luce quando lasciamo una stanza! Trovo che questo sia particolarmente bizzarro, ma non per dire che ora non dovremmo spendere un po’ di soldi nella ricerca di tecnologie per emissioni negative. Ritengo altamente improbabile che torneremo indietro a 350 ppm anche entro parecchie generazioni. Ciò non significa che non dovremmo averlo come obbiettivo, ma quello che penso che dovremmo cercare di fare è di stabilizzare la concentrazione più rapidamente possibile ai livelli ai quali si trova oggi.
Essi saranno più alti domani e ancora più alti dopodomani. Quello che abbiamo bisogno di fare immediatamente è di fermare questo tasso di crescita e poi togliere la CO2 via dall’atmosfera più velocemente che possiamo. Non so se saremo capaci di risucchiarla. Al momento è una cosa molto lontana. E’ un futuro alla Dr. Stranamore. Non per dire che non abbia qualche possibilità nel lungo termine, ma al momento stiamo estraendo gas di scisti e sabbie bituminose e un sacco di carbone. Stiamo per scavare sotto l’Artico. Non dobbiamo preoccuparci troppo della Geo-ingegneria per il futuro, abbiamo semplicemente bisogno di smettere di estrarre combustibili fossili dal sottosuolo, oggi.
Hai parlato della necessità di tagliare le emissioni del 10% all’anno, di quanto sarà difficile, di come non sarà una cosa facile e che condizionerà ogni aspetto di ciò fa che la gente, in particolare la gente abituata ad avere il meglio. Puoi descrivere un po’ come pensi che sarà quando ci arriveremo? Che visione hai, come pensi che saranno le cose se realmente abbiamo successo, se saremo in grado mettere insieme la volontà e lo spirito collettivo e riusciremo realmente a tirarcene fuori? Puoi descrivere come potrebbe essere arrivarci?
Questo è molto difficile… come sarà il futuro? E’ difficile per noi come scienziati ed ingegneri non imporre i nostri modi personali di vedere il mondo. Ci sono cambiamenti particolari che mi piacerebbe che il mondo raggiungesse che non sono collegati al carbonio o al clima, non metterci questi nella mia visione del futuro non è facile. Ora ho 50 anni. Ho vissuto molto bene negli anni 70 e molto bene negli anni 80. Non penso che la mia qualità di vita sia aumentata significativamente dagli anni 70 e 80, tuttavia le mie emissioni e le emissioni pro capite sono davvero schizzate in modo significativo. Così, abbiamo vissuto una buona qualità di vita, vita relativamente a più basso tenore di carbonio di quelle che viviamo oggi, non troppo tempo fa. Ora, molto di questo è stato perché consumavamo meno.
Vivevamo già vite di grande consumo e penso che se ci avessimo abbinato le conoscenze tecniche che abbiamo oggi, questo potrebbe realmente migliorare le tecnologie che usiamo nella realtà per avere stili di vita molto buoni – non stiamo parlando di tornare troppo indietro nel tempo, quando la gente era molto povera. Abbiamo avuto buoni trattamenti medici, buone scuole, buone reti di trasporto. Quindi penso che possiamo creare un’alleanza fra le nostre capacità tecniche attuali con il riconoscimento del fatto che abbiamo consumavamo considerevolmente di meno di quanto consumiamo oggi ma non avevamo stili di vita notevolmente diversi – tornare agli anni 50, 40 o 30 sarebbe molto diverso, ma non penso che questo valga per gli anni 70 e 80. Una transizione tale sarebbe certamente impegnativa, con un po’ di equità e distribuzione e con uno spostamento dell’enfasi da una società fortemente individuale e basata sul consumo ad una che abbracci di più la collaborazione.
Ammetto che questa sarebbe più attraente per me, ma riconosco che alcune persone non vedrebbero un cambiamento tale sotto una luce positiva. Ciononostante, penso che sia dura immaginare che usciamo dal buco in cui siamo senza un più alto grado di sforzo collettivo. Non credo che dovremmo cercare di tornare indietro al punto in cui non possiamo viaggiare e in cui viviamo vite austere. Con un più alto grado di equità, le scarse risorse energetiche possono essere bilanciate da vite di grande benessere. E’ un futuro di sufficienza più che di avarizia e voglie, che sia radicalmente diverso dal punto in cui siamo oggi dipenderà da quanto rispondiamo rapidamente adesso, ma non credo debba necessariamente esserlo. Avremo molte opportunità per comportarci diversamente, adottare abitudini di minor consumo e combinare questo con cambiamenti significativi nel tipo di tecnologie già disponibili e nella loro efficienza. Tutto questo potrebbe orientarci in una direzione resiliente e a basso tenore di carbonio.
Pensi che le Tradeable Energy Quotas (TEQ’s) introdotte da David Fleming possano essere uno strumento utile a questo scopo?
Io e il mio collega Richard Starkey, abbiamo lavorato molto su questo allora, infatti conoscevamo David molto bene. Sì, penso che sia certamente una strada molto seria da considerare e infatti David Maliband vi si era molto appassionato allora, la DEFRA (Departmente for Environment, Food and Rural Affairs) alla fine lo ha respinto come “uno strumento economico troppo avanti rispetto al proprio tempo”, quindi era per il futuro. Be’, forse il futuro è qui adesso e dovremmo riconsiderare di usarlo. Esso aggiunge una dimensione di equità molto buona che richiede cambiamenti più grandi da coloro di noi che emettono di più degli altri. Casualmente, è questo aspetto di onestà che potrebbe guidare l’innovazione e i primi che l’adotteranno, più che tasse o strumenti economici, per cui chi emette molto potrebbe essere in grado di comprarsi il proprio cambiamento. Penso che ci sia qualche merito significativo in questo approccio.
Approntarlo non sarà facile. Ma dobbiamo ricordare – la gente dice che sia come un razionamento – che il razionamento esiste già in ciò che chiamiamo salario, il nostro reddito. Quindi il razionamento ci è famigliare. Ci destreggiamo in continuazione con le nostre razioni di risorse a causa di quello che possiamo permetterci o no. Questa non è altro che una ulteriore razione. Non sono sicuro che sia molto difficile, come qualcuno dice di immaginare, dover razionare, in particolare se questo riguarda soltanto i consumi delle nostre famiglie, l’elettricità, il gas e così via e il consumo dei nostri veicoli. Penso che quando cominci a estenderlo oltre, questo cominci a diventare problematico ma, credo, applicato alle famiglie e ai trasporti potrebbe essere uno strumento utile nel catalizzare un impegno diffuso e più equo e nel guidare più efficacemente l’innovazione e lo sviluppo di quanto farebbero gli strumenti economici standard.
Trackbacks & Pingbacks
[…] Kevin Anderson è il Vice Direttore del britannico Tyndal Centre ed è un esperto di tendenze delle emissioni di gas serra. Nell’intervista afferma: “Penso che la retorica del fatto che non dovremmo eccedere i 2°C sia ancora presente. Ma ora non si tratta solo delle nostre emissioni. Se guardiamo le emissioni che abbiamo già immesso in atmosfera dall’inizio di questo secolo e a quelle che probabilmente emetteremo nei prossimi anni, penso che questo dica un’altra cosa. E’ difficile immaginare che, a meno che non abbiamo un cambiamento radicale del mare nelle sue attitudini nei confronti delle emissioni, eviteremo un aumento di 6°C per la fine di questo secolo.” Leggi la traduzione in italiano apparso su Transition Italia …. […]
I commenti sono chiusi.