Pensieri sul picco dell’acqua…

Il gruppo di iperattivi traduttori congiunti ASPO/Transition Italia, coordinato da Max Rupo (interessati a collaborare? contattate <rupo@cheapnet.it> ) ha appena sfornato un nuovo documento. Si tratta della traduzione di un’intervista apparsa sul sito del commentatore tuttologo Chris Martenson, (autore del Crash Course) un incontro tra lui e il consulente idrico Jack Keller, sull’oscuro tema del picco dell’acqua. Potete scaricare la versione integrale italiana da qui: peak_water_ITA_REV, mentre l’originale inglese si trova qui, sia in forma di podcast (audio) che di testo. Mentre ringraziamo Max, Elena e Daniele del loro lavoro, io vi faccio un riassuntino…

Jack Keller è il direttore esecutivo della Keller-Bliesner Engineering, una ditta che si occupa di irrigazione in agricoltura. E’ anche professore e consulente, e frequentatore assiduo del blog di Marteson. La chiacchierata tra i due offre un quadro delle principali tematiche legate al picco dell’acqua, tra cui… la sua esistenza.

Quando parliamo di risorse idriche, specifica Martenson, “abbiamo due tipi di acque. Le superficiali – laghi, stagni, fiumi. E poi le acque di falda, i depositi sotterranei”. Bene, spiega il prof. Keller, sovrasfruttare un fiume significa mandarlo in secca. Questo è critico sotto molti punti di vista, non ultimo il danno all’ecosistema, ma è un danno evidente e manifesto. Se il fiume è in secca, non rimane nulla da pompare. “Con le falde è diverso, perché tu puoi sfruttare acqua depositata in falda anni, o anche secoli prima. Diventa come un’estrazione mineraria.” Possiamo quindi pensare all’acqua di falda come una risorsa non rinnovabile? Secondo Keller e Martenson, in un certo senso si. “Stiamo sovrasfruttando le nostre risorse idriche di falda, estraiamo acqua come se estraessimo petrolio, e anche questa risorsa, forse la più importante, assume allora una traiettoria esponenziale”.  Inoltre, continua Keller, “la profondità da cui estraiamo acqua aumenta con il tempo. La falda si abbassa e l’estrazione di una data quantità d’acqua diventa sempre più costosa man mano che la falda si esaurisce. All’esaurimento della risorsa si aggiunge il fatto che ci vuole sempre più energia per estrarla”.

Continuando la chiacchierata, emerge un punto di vista sistemico. Il Prof. Keller suggerisce di guardarsi bene dalle grandi soluzioni ingegneristiche, pur raccontando con gusto le straordinarie imprese oversize dell’irrigazione americana. “L’acqua pesa molto, vale poco, ai costi attuali, ed è difficile da spostare. […] La realtà è che ci vogliono strutture pazzesche. Un progetto di irrigazione che conosco bene, avendoci lavorato a lungo come consulente, è l’Imperial Irrigation District della California del Sud, il più grande distretto irriguo degli Stati Uniti. Un’estensione di 200mila ettari di terra. Prendono l’acqua dal fiume Colorado e la portano nel canale All-American  […]. Ci vogliono sette giorni perché l’acqua compia il tragitto dalla diga di Boulder, vicino a Las Vegas, fino al distretto irriguo. Tanto per avere un’idea delle dimensioni di cui stiamo parlando. […] Le strutture sono semplicemente gigantesche e, proprio come  per l’industria mineraria, si pensa magari che un lavoro di ingegneria ambientale sia troppo costoso oggi, ma che diventerà più fattibile quando l’acqua costerà di più. Ma allora saranno saliti anche i prezzi di tutto il resto. Come per le miniere: tutto ciò di cui si ha bisogno per l’estrazione stessa sta salendo di costo, perché, se ci pensi, tutte quelle cose, tutto quell’acciaio, le infrastrutture… dovranno pur essere state, a loro volta, estratte da qualche parte”.

L’acqua, ribadisce più volte il prof. Keller, è una questione locale, per la quale vanno cercate soluzioni locali. Pur sottolineando che l’efficienza nel consumo, di per se, non è sufficiente (una di quelle politiche per le quali Cristiano chiamerebbe in causa “la molla”…), canta le lodi dell’irrigazione a goccia e, sempre sul tema agricolo, fornisce uno spunto per permacultori. “Se guardiamo alla rivoluzione verde”, ricorda infatti Martenson, “gran parte dell’aumento delle rese è legato all’irrigazione”. “Hai centrato il punto” risponde Keller, “i tecnici della Rivoluzione Verde sono partiti con piante autoctone che, in ogni parte del mondo, sono ben adattate a condizioni di bassa fertilità, aridità, clima variabile e imprevedibile”. Quel che abbiamo ora, grazie al lavoro di selezione, sono “varietà che producono molto di più, e con più affidabilità… ma solo se irrigate bene e fertilizzate in abbondanza”.

Insomma, piante con alti tassi di crescita ma… poca resilienza. Ci pare di capire che qui ci sia del lavoro da fare, affinché il paesaggio agricolo ritorni a somigliare all’ecosistema in cui si colloca. E così anche il paesaggio urbano: i due commentatori si soffermano sul caso di Phoenix, Arizona, una delle tante città americane che sorgono praticamente in mezzo al deserto. “Ero a Phoenix recentemente” racconta Martenson “e ho visto che loro definizione di ‘uso vantaggioso’ dell’acqua – la definizione che, secondo l’ordinamento americano, permette di utilizzare le risorse idriche, per un progetto italiano sul tema vedi “Contratti di Fiume” – “include un sacco di campi da golf. Penso che si tratti delle acque del fiume Colorado […]. Il percorso di crescita intrapreso da Phoenix è insostenibile. Per il modello particolare che hanno adottato, che richiede un utilizzo intenso di acqua in una zona arida, a me sembra un luogo in cui non vorrei investire in proprietà, casa, terreno”.

L’appunto che fa Martenson ricorda un tema esplorato a fondo nel libro “Post Carbon Cities”: le città e le province che sono state capaci di mettere in piedi strutture resilienti, in grado di adattarsi al cambiamento climatico e ai vari “picchi”, acquisiscono un vantaggio competitivo sulle altre, attraendo abitanti, famiglie e investimenti. Ma nel caso dell’arido sud-ovest degli States, sospira Keller, “non credo che ci sia un progetto. Probabilmente avremo bisogno di una grande crisi idrica, e con la crisi nascerà un piano per affrontare la crisi”.

Una crisi idrica locale, continua Martenson, si manifesterà prima o poi sotto forma di aumento dei prezzi del cibo, su scala anche globale. L’interconnessione è un tema che emerge inevitabilmente da questa chiacchierata, visto che si parla d’acqua, l’elemento che scorre, si trasforma, fluisce, e connette ogni cosa. “L’irrigazione ne consuma, rendendo la disponibilità d’acqua un fattore potenzialmente limitante per la produzione agricola proprio in paesi che oggi esportano gli alimenti. […] Possiamo cambiare tipo di alimentazione e quindi produrre cibo con meno acqua di quanta ne utilizziamo oggi.” conclude Keller. “Si tratta di utilizzare l’acqua che sappiamo di avere, escogitando modalità di utilizzarla in maniera più intelligente. […] Possiamo probabilmente diminuire lo sfruttamento delle riserve idriche, e magari considerare come ripristinarle. Far risalire le falde. Ci vorrebbe un mondo gestito con più attenzione e controllo”. O, aggiungiamo noi, con un controllo-non-controllo, una gestione diffusa, interconnessa e consapevole.  “Saper guardare alla conservazione, al rinnovarsi delle cose. Si tratterebbe di una società molto diversa”.

3 commenti
  1. Laura Bottaro
    Laura Bottaro dice:

    Meno male che esiste gente come voi! Prevedo che non resta ancora molto tempo, con queste logiche perverse di politica ed economia mondiale. C’è bisogno di far comprendere a più persone possibile che un mondo migliore può esistere. La decrescita felice sostenuta da Serge Latouche è l’unica via per uscire dal vortice in cui sembra irrimediabilmente andare l’umanità. Le risorse del pianeta non sono infinite e i potenti che governano il mondo non hanno rispetto della vita. Una nuova coscienza è necessaria perché come disse White Feather, anziano Hopi del Bear Clan “Il passato diventa più grande, e il futuro più piccolo”.

    • deborah
      deborah dice:

      Ciao laura! Eh, non so se e’ “l’unica via”… mi sa che di vie ce ne sono tante quante sono la “gente come noi”, ovvero, gli esseri umani sul pianeta… e magari anche qualche via in piu’, che so, la via delle piante e degli animali, o di ogni singola pianta o animale… la via dell’acqua, la via della tela del ragno… insomma, a me parlare di un’unica via per la salvezza sembra far parte di quel mondo che ci stiamo lasciando lentamentedolorosamente alle spalle… con una scrollata d’ali.

      E viva la saggezza indigena! 😉

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